FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2009

 
 

Riflessioni in margine al festival della filosofia, di sui si è svolta recentemente la nona edizione nelle sedi tradizionali di Modena, Carpi e Sassuolo – Una manifestazione ormai affermata, capace di attrarre un pubblico incredibilmente assortito, non escluse le scolaresche – Il tema di quest’anno era la comunità, cioè precisamente il destinatario di un’iniziativa il cui carattere di spettacolarità non è altro, in fondo, che un falso problema

 

Il 18, 19 e 20 settembre si è tenuta la nona edizione del celebre festival modenese della filosofia. Nelle sedi di Modena, Carpi e Sassuolo ben centocinquantamila persone si sono mosse tra lezioni tenute da grandi filosofi italiani e stranieri, spazi affidati ad artisti di varia natura, esposizioni, mostre e attività di intrattenimento. Davvero numerosi i frammenti di società coinvolti nell’evento che quest’anno si è concentrato proprio sul tema della “comunità”. Il pubblico era incredibilmente vario per età e apparenza. Molti anche i giovani e i giovanissimi accompagnati da professori o genitori.

Un panorama complessivo, questo, che fa piacere osservare, stanchi di sentire parlare del disinteresse delle masse alla cultura così continuamente da darlo ormai segretamente per scontato. La folla riunita in piazza sotto gli amplificatori era qualcosa che svegliava sensibilmente e positivamente l’entusiasmo umano per la partecipazione, entusiasmo che si respirava e che ha reso il dinamismo uno dei caratteri fondamentali della manifestazione.

Spettacolo o cultura? E’ naturale chiederselo. In questi anni si fa un gran parlare di blockbuster, termine utilizzato per designare qualcosa che riscontri grande consenso popolare e che generi consumo. E Eva Illouz a Sassuolo ci parla del governo delle emozioni, delle emozioni che i media tendono a ordinare in un repertorio culturale comune. Emozioni che, quindi, finiscono col vedere neutralizzate le proprie sfumature (si pensi all’insistenza di Kundera sul concetto di kitsch, che non è altro che massificazione e appiattimento del sentimento e, quindi, delle idee e che si traduce in alienazione e sottomissione).

Ma l’evento culturale di massa, per definizione, trae a sé anche occhi che altrimenti starebbero alla larga dall’oggetto in questione. Generalmente l’oggetto presentato ha la medesima dignità che avrebbe in un altro contesto. Quindi il problema sta eventualmente nel modo in cui l’occhio può essere indotto ad osservare piuttosto che nell’oggetto in sé.

É una delicatissima trama di interazioni. Comunque sembra valga la pena correre il rischio. Per risolvere il problema bisognerebbe poter educare lo sguardo. Cosa, se non l’oggetto culturale può farlo? E come, se non con una apertura della cultura alle masse, perché no, in modo spettacolare anche.

Sono molti i musicisti che hanno scoperto la propria vocazione da piccoli avendo avuto occasione di ascoltare soltanto musica pensata in termini di consumo. Quindi accantoniamo ora il problema della percentuale di spettacolarità della cosa.

Le esposizioni erano estremamente interessanti e in linea con il dinamismo della manifestazione e con il suo carattere di accessibilità (in piazza non distributori di sigarette, ma distributori di libretti con il sunto di lezioni risalenti alle scorse edizioni del festival).

La comunità, che, come detto, è stata tema delle giornate artistico-filosofiche, non può che fondarsi proprio su quelle basi di filantropia e sensibilità che l’approccio alla cultura sviluppa tanto efficacemente. E poi succede che il ragazzo in autobus abbia la sensibilità di vedere, di capire il riposo del compagno di viaggio e quindi di abbassare il volume delle cuffie. (Perché probabilmente non è un problema di rispetto nel senso generalmente inteso, quanto di comprensione, di empatia, di sensibilità). E poi succede che l’imprenditore ci pensi due volte prima di costruire stabili che non siano sicuri.

Il tema della comunità sembrava perfettamente collimare con il senso sociale del tipo di organizzazione del festival.

                                                                                                          

 

                                                               Laura Venturi           


                                                  

 
 

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