FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2009

 
 

I problemi non mancano: dalla condizione dei docenti precari alla controversa questione del maestro unico e del tempo pieno, fino a una presenza crescente di alunni stranieri che conferma ancora una volta la sfida, tipica di questa fase storica, dell’incombente società multiculturale – Ma in testa a tutti i problemi, al solito, c’è l’insufficienza delle risorse disponibili – O per meglio dire il loro uso non esattamente ottimale – A quando la presa di coscienza della centralità della scuola?

 

Quello che si è appena iniziato è il centoquarantanovesimo anno scolastico dell’Italia unita, il sessantacinquesimo dell’Italia democratica, il nono del nuovo secolo e del nuovo millennio. È partito con il tradizionale caloroso augurio del presidente Giorgio Napolitano e con l’impegno del ministro Mariastella Gelmini di perseguire e premiare il merito. È partito, anche, con la spettacolare manifestazione degli insegnanti precari incatenati davanti al ministero di Viale Trastevere, con cortei di protesta contro le risorse sempre più scarse, con una polemica dai toni asperrimi fra sindacati e governo, fra opposizione e maggioranza. È partito, perfino, nell’incertezza e nell’allarme suscitati da una dichiarazione quanto meno avventata del sottosegretario alla sanità: la prospettiva dell’epidemia d’influenza suina, aveva detto Ferruccio Fazio, potrebbe indurci a rinviare l’apertura delle scuole. Prontamente richiamato dal suo stesso governo, Fazio ha subito rettificato: era un’ipotesi estrema…

Dunque la scuola ha riavviato i motori, i quasi otto milioni di alunni degli istituti statali elementari e secondari hanno ripreso il loro posto nei banchi, gli insegnanti sono di nuovo alle prese con i mille problemi connessi con il loro lavoro così prezioso e così sottostimato. Come sempre sapranno svolgerlo, nella maggioranza, con il massimo di efficacia consentita dal contesto in cui devono operare. Anche senza considerare i limiti mortificanti delle retribuzioni, con certo tali da assicurare ai docenti il prestigio sociale cui hanno diritto, è un contesto in cui il precariato rischia, nella migliore delle ipotesi, di rimanere tale, in cui servizi essenziali come il sostegno ai disabili o l’assistenza linguistica agli alunni stranieri non sono affrontati da organici sufficienti, in cui la stessa edilizia vede troppo spesso rinviati, per ragioni di bilancio, interventi di provata urgenza.

Attorno a questo universo scolastico percorso da tante inquietudini si è sviluppato un dibattito dai toni polemici insolitamente accesi, con reciproche accuse di pura propaganda o falsa informazione fra opposizione politica e sindacati da una parte, maggioranza parlamentare e governo dall’altra. C’è qualcosa di mortificante in tutto questo: è mai possibile che nemmeno la scuola possa godere di un approccio non condizionato dall’appartenenza politica? Lo scambio di opinioni è davvero disarmante per la mancanza persino ostentata di un minimo di sintonia: per esempio il ministro Gelmini fa sapere che l’introduzione del maestro unico piace alla maggioranza delle famiglie, il suo predecessore Giuseppe Fioroni obietta che l’approvano solo due genitori su cento. Il ministro dice che il tempo pieno è stato potenziato, l’opposizione accusa che in realtà si spaccia per tempo pieno il semplice doposcuola, che tempo pieno non è.

La Gelmini promette un tetto del 30 per cento di stranieri in ogni singola classe, i sindacati degli insegnanti fanno notare che in non poche classi si supera addirittura, in alcuni casi di molto, il vecchio tetto del 50 per cento. Del resto è certamente opportuno che si curi questo aspetto della presenza di alunni immigrati, ma non è soltanto così che si risolve il problema. Bisogna che quei ragazzi, soprattutto quelli di recente arrivo nel nostro paese, siano aiutati a superare la barriera della lingua. E intendiamoci: non soltanto loro. Qualunque cosa dicano gli intolleranti schierati sulla linea del Piave, il problema di un’accettabile conoscenza dell’italiano non riguarda soltanto gli stranieri. Ci sono anche molti nostri piccoli connazionali, provenienti da contesti disagiati, che la nostra lingua la masticano a malapena. Anche loro, ovviamente, vanno aiutati a superare l’handicap. E poi tutti quanti stimolati all’abitudine della lettura. Altrimenti continueremo a produrre matricole universitarie che nei test d’ingresso rivelano di non sapere che cosa diavolo vogliano dire parole come procrastinare, o velleitario.

Tutto questo chiama in causa il problema delle risorse, che sono insufficienti e addirittura calanti. Anche qui si mobilitano contrastanti categorie mentali: da una parte si parla di tagli, dall’altra di razionalizzazione della spesa. Nelle statistiche comparate internazionali il sistema italiano figura fra gli ultimi posti in fatto di rendimento, ma non certo in materia di spesa: evidente indicazione che quei soldi vengono spesi male. Il fatto è che la spesa andrebbe non solo razionalizzata, ma anche aumentata, perché le esigenze di un’istruzione moderna, multiculturale e orientata al futuro lo impongono. Sembrerà purtroppo utopistico con i tempi che corrono, ma bisogna che la società italiana, e il potere amministrativo e politico che essa esprime, prendano finalmente coscienza dell’assoluta centralità del sistema educativo. Altrimenti dovremo rassegnarci a una scuola che, come tanti anni fa diceva il maestro televisivo Alberto Manzi, “ha un solo problema, i ragazzi che perde”.

                                                          Alfredo Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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