FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2007

 
 

Negli Stati Uniti si dibatte da tempo sulle bande organizzate di giovanissimi che proliferano negli istituti secondari – Studenti coinvolti in violenti riti d’iniziazione, altri impegnati in attività illecite imposte come segno di fedeltà al gruppo – L’opinione pubblica è allarmata, anche perché non di rado la criminalità  vera e propria è lo sbocco inevitabile di queste situazioni – Il ricordo di un cittadino di mezza età: negli anni Settanta a New York era anche peggio

 

Dodici secondi, misurati cronometro alla mano. Tanto dura la pesante iniziazione di un ragazzo americano che voglia aderire alla Black Spade Organization, una banda affiliata con la cosiddetta Folk Nation che è diffusa in tutti gli Stati Uniti. Il rito si svolge generalmente in un bagno maschile della scuola, di solito una secondaria superiore, e consiste in una scarica di pugni al corpo, da parte di due ragazzi che si accaniscono contro la recluta. Dodici secondi, cronometrati da un terzo giustiziere, e la testa salva per regolamento. La relativa brevità dell’esecuzione e il fatto che non si colpisca al capo non escludono, ovviamente, che il ragazzo esca dall’esperienza dolorante e pieno di lividi, quando non gli va anche peggio. Eppure lo ha voluto, è stato lui che ha chiesto di entrare fra i Black Spades.

E ora che succederà? Presto il neofita verrà invitato a dar prova della sua fedeltà all’organizzazione. Come? Per esempio commettendo atti di vandalismo, o una bella rapina, o almeno un’aggressione. Il fenomeno dilaga, i casi si moltiplicano e si cerca di correre ai ripari. Così nelle scuole, quelle stesse scuole americane alle quali si accede attraverso un metal detector come negli imbarchi aeroportuali, si organizzano incontri con i genitori per insegnare a scoprire nei figli i segni caratteristici dell’appartenenza a una gang: per esempio l’uso di particolari segni con le mani, o un particolare stile d’abbigliamento.

Sui giornali e nelle trasmissioni televisive un’opinione pubblica allarmata esprime le sue preoccupazioni. Molti temono, confortati del resto dalle statistiche fornite dalle autorità giudiziarie, che la criminalità organizzata sia lo sbocco naturale di questo genere di esperienze, preceduto di solito dall’espulsione dalla scuola. Altri sottolineano come alcune bande abbiano una connotazione etnica che le rende ancor più pericolose nel rapporto con gli altri gruppi: per esempio ci sono bande di ispanici, o di neri, o di bianchi con rigorosa esclusione delle altre etnie.

Alcuni tentano l’analisi del fenomeno. Perché questi liceali vogliono affiliarsi alle organizzazioni? Si parla di famiglie disagiate: provate a chiedere, suggerisce per esempio uno degli intervenuti nel dibattito, quanti di quei ragazzi siano figli di madri single. Si invitano i genitori a passare più tempo con i loro figli. Altri al contrario pensano che sia l’eccesso di premure a determinare la crisi. Secondo questa interpretazione viene infatti mortificata l’aspirazione degli adolescenti a considerarsi cresciuti (lo stesso effetto viene attribuito al recente innalzamento dell’età minima per potere acquistare alcolici): i ragazzi si sentirebbero dunque inchiodati all’infanzia e reagirebbero cercando altri modi di sentirsi adulti.

Si parla di scuole troppo grandi, nelle quali i rapporti umani sono per forza difficili: quanti capi d’istituto conoscono per nome più di un decimo dei loro allievi? A proposito di nomi: c’è chi suggerisce di pubblicarli, ogni volta che vengono alla luce episodi violenti attribuibili alle bande giovanili, aggirando la legge che protegge la privacy dei minorenni. C’è chi invita la polizia a picchiare duro, chi al contrario chiede che gli agenti non si comportino a loro volta come i membri di una gang.

Fenomeno nuovo? No di certo. Un lettore del Washington Post ricorda la sua esperienza degli anni Settanta, quando era studente liceale a New York City. Il nostro mondo, racconta, era dominato da gruppi denominati Savage Nomads o Black Assassins, tutti i ragazzi della nostra generazione erano in pratica loro ostaggi. Non potevamo per esempio portare berretti o giacche di un certo colore, perché era il “loro” colore: se t’incontravano così abbigliato erano guai. Secondo questo lettore una gang come quella di cui si parla in questi giorni, che limita il pedaggio dell’iniziazione a dodici secondi di botte risparmiando la testa, non è poi il peggio del peggio.

                                                          f. s.   
                                         

    


                                                  

 
 

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