Cinquantasettemila
scuole fra pubbliche e private, otto milioni di studenti,
720 mila insegnanti – Sono le cifre dell’anno
scolastico appena partito – Giuseppe Fioroni, ministro
della pubblica istruzione, dice di aver voluto
“riconsegnare la scuola al buon senso e alla saggezza
degli insegnanti” – Non più piani di riforma
radicale, ma una correzione dell’ordine delle priorità:
le tre “I” sono importanti, ma non quanto le capacità
fondamentali, come il calcolo e la grammatica
Una scuola sempre più affollata e sempre più
etnicamente differenziata. Il dato che più colpisce, fra
quelli forniti dal ministero della Pubblica Istruzione in
occasione dell’avvio del nuovo anno scolastico, è infatti
quello relativo alla presenza straniera nelle nostre scuole.
Gli alunni provenienti da altre lingue e culture hanno
superato il mezzo milione, e sono mediamente il 5,6 per
cento della popolazione scolastica. Nella scuola primaria
questa presenza ha raggiunto il 6,8 per cento. In alcune
articolazioni territoriali, come il comune di Milano o la
provincia di Mantova, è arrivata al 14 per cento.
Nell’insieme, oltre otto milioni di alunni e circa 720
mila docenti si sono messi al lavoro a metà settembre. Si
conferma una massiccia prevalenza femminile nel corpo
docente: più dei quattro quinti in generale, addirittura il
99,50 per cento nella scuola dell’infanzia. Per quanto
riguarda le varie scuole, sono appena un terzo le ragazze
negli istituti tecnici, il 70 per cento nei licei classici.
Di fronte a questo variegato universo, il ministro
della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni ha suggerito un
approccio pragmatico. “Ho voluto riconsegnare la scuola
– ha detto – al buonsenso e alla saggezza degli
insegnanti”. Rispetto ai predecessori, Fioroni ha
decisamente corretto la tendenza a prospettare riforme a 360
gradi, al posto della tradizionale palingenesi riformista ha
proposto invece un solido ancoraggio a certi valori
tradizionali. Anche se non si vuole negare l’importanza di
materie come l’inglese o l’informatica, ha detto il
ministro, va sottolineato che “i nostri bambini devono
imparare bene l’italiano, la matematica, la storia e la
geografia”.
Le cosiddette “indicazioni nazionali”, che
segnalano gli obiettivi di fondo da raggiungersi in un
contesto di autonomia dei singoli istituti, insistono
infatti su questo genere di priorità, che corregge
drasticamente l’impostazione che fu cara al ministro
Letizia Moratti, la scuola fondata sulle “tre I”
(inglese, internet, impresa). Una formula fortemente
criticata di chi ritiene che all’obiettivo alto della
formazione non sia lecito sostituire quello decisamente
minimalista della preparazione di forza-lavoro: tale pareva
lo spirito della riforma proposta dal governo di
centro-destra. Ora l’accento torna sulle capacità
fondamentali: la grammatica, il calcolo, mentre finalmente
viene dato spazio alla musica. Il gran ritorno delle
tabelline vuole anche essere una prima risposta
all’emergenza matematica, la grave carenza che in questa
materia si manifesta in ogni ordine e grado scolastico.
Si discute d’altra parte sull’utilità della
cosiddetta ricorrenza nell’apprendimento della storia, le
indicazioni prevedono infatti la scansione dei periodi fra
il triennio della primaria e la successiva secondaria di
primo grado. Lo studio della storia viene dunque disperso,
in pratica, lungo l’arco dell’obbligo scolastico, con la
terza media consacrata al Novecento. C’è chi preferisce
la scansione tradizionale: l’intera vicenda umana alle
elementari, e poi di nuovo in forma più approfondita nei
tre anni successivi, nei quali alla storia antica seguono la
moderna e la contemporanea. È bene che la questione venga
discussa, bisogna infatti considerare che le indicazioni
vengono proposte in via sperimentale: fra due anni si
traccerà un bilancio che consentirà di meglio definire le
scelte.
Intanto compie un’altra piroetta il livello
dell’obbligo scolastico, che il ministro Berlinguer aveva
portato a 15 anni e la Moratti aveva riportato a 14, cioè
al limite di “almeno otto anni” di scuola indicato dalla
Costituzione. Ora l’obbligo scolastico sale a 16 anni. È
infine in vista un altro ritorno alla tradizione, il
ministero sta infatti resuscitando gli esami di riparazione,
che furono eliminati dalla scuola elementare e dalla media
di primo grado nel 1977, dalla media di secondo grado nel
1995. Al posto del meccanismo dei “debiti”, si tornerà
a “rimandare a settembre” in una o più materie. Si fa
notare che quest’anno oltre un terzo degli alunni ha avuto
la promozione nonostante più o meno gravi lacune in una o
più discipline. In futuro, per costoro si prospettano
estati di studio, in preparazione degli esami di settembre.
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a. v.
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