FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2007

 
 

L’analfabetismo è un fenomeno mondiale che riguarda, secondo stime prudenti, almeno 700 milioni di persone adulte – Le tendenze demografiche e educative non lasciano intravedere soluzioni nel breve termine – Il problema non riguarda soltanto i paesi sottosviluppati: anche l’Occidente evoluto ospita legioni di “analfabeti di ritorno” – Intanto si manifesta sempre più un nuovo aspetto della questione, quella che riguarda le competenze informatiche

 

Il nostro nuovo millennio, che si dice impegnato a definire e sostenere i diritti umani, non dovrebbe inserire senza esitazioni l’alfabetizzazione nell’elenco di quelli inalienabili?” È quanto si chiede Nadine Gordimer, la scrittrice sudafricana che nel 1991 ricevette il premio Nobel per la letteratura, l’attivista dei diritti civili che si battè contro l’apartheid e si batte, oggi, contro la piaga dell’aids che imperversa nel suo paese. L’otto settembre è stata celebrata la giornata mondiale contro l’analfabetismo, un’iniziativa dell’Unesco in sé certamente apprezzabile, perché vale a mettere in rilievo il dramma di un mondo sterminato che non sa leggere né scrivere, ma che come tutte le celebrazioni a data fissa lascia un po’ di amaro, la sensazione che il tutto si riduca a tanti bei discorsi, impegni solenni, e poi la società internazionale torna alle sue consuete occupazioni, del tutto dimentica dei milioni di adulti analfabeti, di bambini che ignorano la scuola.

Intanto il fenomeno dilaga. Secondo le stime prudenti dell’Unesco, fornite per l’occasione, gli adulti incapaci di leggere e scrivere sono nel mondo almeno settecento milioni, mentre più di settanta milioni di bambini ignorano totalmente la scuola. La cifra è variamente distribuita nel mondo: la Gordimer fa notare che nel suo paese, il Sudafrica, l’analfabetismo arriva in certe aree rurali a sfiorare il cinquanta per cento. Ci sono luoghi di lavoro nei quali molti operai possono eseguire soltanto istruzioni impartite a voce: per loro le istruzioni scritte è come se non esistessero. Non solo: la scrittrice premio Nobel allarga il discorso dall’analfabetismo totale all’alfabetizzazione insufficiente: parla per esempio di giovani che hanno i requisiti formali per accedere all’istruzione superiore, ma il loro vocabolario e la loro scrittura non sono all’altezza di questa ambizione.

Questo aspetto della questione non riguarda soltanto le società in via di sviluppo come quelle sudafricana: anche nei paesi occidentali le competenze linguistiche medie dei giovani che si affacciano all’università sono del tutto deludenti, mentre si registra un analfabetismo di ritorno che in Italia, per esempio, riguarda un buon cinque per cento della popolazione, una fetta consistente della società, dunque, a disagio di fronte a un testo scritto o alla necessità di redigerlo. Nadine Gordimer parla di “minaccia dell’immagine contro la parola scritta”, dell’ora serale di televisione che ha sostituito la favola per milioni di bambini, delle antenne che dominano anche le più desolate baraccopoli, di cittadine e villaggi nei quali non esistono biblioteche, ma dove è possibile noleggiare videocassette. Insomma il libro minacciato dalla televisione, e più di recente anche dalla comunicazione informatica.

Eppure anche qui si registra una drammatica cesura: fra quanti hanno competenze informatiche e quanti ne sono privi. Si parla infatti di analfabetismo digitale, un fenomeno che si affianca e si sovrappone a quello classico. Milioni di persone che magari hanno sperimentato un processo di alfabetizzazione, sanno leggere e scrivere, ma non sono in grado di trasferire questa competenza sulla tastiera e sullo schermo del computer. Il fenomeno stavolta è particolarmente visibile nei paesi più sviluppati, nei quali il computer è ormai inserito a pieno titolo fra gli strumenti fondamentali del vivere e del produrre. I nuovi analfabeti condividono con quelli tradizionali un’esclusione sociale tanto più decisiva quanto più l’informatica è presente in ogni ramo delle attività umane. Secondo un recente studio voluto dalla Commissione dell’Ue, l’analfabetismo digitale riguarda il 40 per cento della popolazione europea, e costa ai Ventisette diversi miliardi di euro all’anno in termini di mancato sviluppo.

Sollecitati dalla Commissione di Bruxelles, i paesi dell’Unione probabilmente riusciranno a ridurre gradualmente, se non proprio a colmare del tutto, il fossato informatico. Più difficile venire a capo dell’analfabetismo tradizionale, che le tendenze demografiche e quelle educative sembrano destinate a incoraggiare. Crescono infatti le popolazioni dei paesi in via di sviluppo dove il fenomeno è più marcato, e le spese per l’istruzione non sono quasi mai ai primi posti, come dovrebbe essere, nei bilanci di molti stati. E così l’analfabetismo continuerà purtroppo a mortificare la vita di centinaia di milioni di esseri umani. Non di rado gli stessi che sono perseguitati dalla povertà, dalla fame, da malattie endemiche, da mancanza di ogni tipo di assistenza. Eppure basterebbe indirizzare meglio l’uso delle risorse per realizzare lo scenario, oggi del tutto utopistico, di un mondo nel quale tutti siano in grado di sfogliare un libro, di lavorare al computer, di navigare nell’oceano della Rete.

                                                          r. f. l. 
                                         

    


                                                  

 
 

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