L’analfabetismo
è un fenomeno mondiale che riguarda, secondo stime
prudenti, almeno 700 milioni di persone adulte – Le
tendenze demografiche e educative non lasciano intravedere
soluzioni nel breve termine – Il problema non riguarda
soltanto i paesi sottosviluppati: anche l’Occidente
evoluto ospita legioni di “analfabeti di ritorno” –
Intanto si manifesta sempre più un nuovo aspetto della
questione, quella che riguarda le competenze informatiche
“Il
nostro nuovo millennio, che si dice impegnato a definire e
sostenere i diritti umani, non dovrebbe inserire senza
esitazioni l’alfabetizzazione nell’elenco di quelli
inalienabili?” È quanto si chiede Nadine Gordimer, la
scrittrice sudafricana che nel 1991 ricevette il premio
Nobel per la letteratura, l’attivista dei diritti civili
che si battè contro l’apartheid e si batte, oggi, contro
la piaga dell’aids che imperversa nel suo paese. L’otto
settembre è stata celebrata la giornata mondiale contro
l’analfabetismo, un’iniziativa dell’Unesco in sé
certamente apprezzabile, perché vale a mettere in rilievo
il dramma di un mondo sterminato che non sa leggere né
scrivere, ma che come tutte le celebrazioni a data fissa
lascia un po’ di amaro, la sensazione che il tutto si
riduca a tanti bei discorsi, impegni solenni, e poi la
società internazionale torna alle sue consuete occupazioni,
del tutto dimentica dei milioni di adulti analfabeti, di
bambini che ignorano la scuola.
Intanto il fenomeno dilaga. Secondo le stime prudenti
dell’Unesco, fornite per l’occasione, gli adulti
incapaci di leggere e scrivere sono nel mondo almeno
settecento milioni, mentre più di settanta milioni di
bambini ignorano totalmente la scuola. La cifra è
variamente distribuita nel mondo: la Gordimer fa notare che
nel suo paese, il Sudafrica, l’analfabetismo arriva in
certe aree rurali a sfiorare il cinquanta per cento. Ci sono
luoghi di lavoro nei quali molti operai possono eseguire
soltanto istruzioni impartite a voce: per loro le istruzioni
scritte è come se non esistessero. Non solo: la scrittrice
premio Nobel allarga il discorso dall’analfabetismo totale
all’alfabetizzazione insufficiente: parla per esempio di
giovani che hanno i requisiti formali per accedere
all’istruzione superiore, ma il loro vocabolario e la loro
scrittura non sono all’altezza di questa ambizione.
Questo aspetto della questione non riguarda soltanto
le società in via di sviluppo come quelle sudafricana:
anche nei paesi occidentali le competenze linguistiche medie
dei giovani che si affacciano all’università sono del
tutto deludenti, mentre si registra un analfabetismo di
ritorno che in Italia, per esempio, riguarda un buon cinque
per cento della popolazione, una fetta consistente della
società, dunque, a disagio di fronte a un testo scritto o
alla necessità di redigerlo. Nadine Gordimer parla di
“minaccia dell’immagine contro la parola scritta”,
dell’ora serale di televisione che ha sostituito la favola
per milioni di bambini, delle antenne che dominano anche le
più desolate baraccopoli, di cittadine e villaggi nei quali
non esistono biblioteche, ma dove è possibile noleggiare
videocassette. Insomma il libro minacciato dalla
televisione, e più di recente anche dalla comunicazione
informatica.
Eppure anche qui si registra una drammatica cesura:
fra quanti hanno competenze informatiche e quanti ne sono
privi. Si parla infatti di analfabetismo digitale, un
fenomeno che si affianca e si sovrappone a quello classico.
Milioni di persone che magari hanno sperimentato un processo
di alfabetizzazione, sanno leggere e scrivere, ma non sono
in grado di trasferire questa competenza sulla tastiera e
sullo schermo del computer. Il fenomeno stavolta è
particolarmente visibile nei paesi più sviluppati, nei
quali il computer è ormai inserito a pieno titolo fra gli
strumenti fondamentali del vivere e del produrre. I nuovi
analfabeti condividono con quelli tradizionali
un’esclusione sociale tanto più decisiva quanto più
l’informatica è presente in ogni ramo delle attività
umane. Secondo un recente studio voluto dalla Commissione
dell’Ue, l’analfabetismo digitale riguarda il 40 per
cento della popolazione europea, e costa ai Ventisette
diversi miliardi di euro all’anno in termini di mancato
sviluppo.
Sollecitati dalla Commissione di Bruxelles, i paesi
dell’Unione probabilmente riusciranno a ridurre
gradualmente, se non proprio a colmare del tutto, il fossato
informatico. Più difficile venire a capo
dell’analfabetismo tradizionale, che le tendenze
demografiche e quelle educative sembrano destinate a
incoraggiare. Crescono infatti le popolazioni dei paesi in
via di sviluppo dove il fenomeno è più marcato, e le spese
per l’istruzione non sono quasi mai ai primi posti, come
dovrebbe essere, nei bilanci di molti stati. E così
l’analfabetismo continuerà purtroppo a mortificare la
vita di centinaia di milioni di esseri umani. Non di rado
gli stessi che sono perseguitati dalla povertà, dalla fame,
da malattie endemiche, da mancanza di ogni tipo di
assistenza. Eppure basterebbe indirizzare meglio l’uso
delle risorse per realizzare lo scenario, oggi del tutto
utopistico, di un mondo nel quale tutti siano in grado di
sfogliare un libro, di lavorare al computer, di navigare
nell’oceano della Rete.
-
r. f. l.
-
|