L’esperienza
degli ultimi decenni insegna che a una più diffusa
scolarizzazione corrispondono inevitabilmente più elevati
tassi di dispersione – Più di recente una nuova
evoluzione demografica ha preso a incidere sulle
situazioni connesse al disagio scolastico – Si tratta
della presenza crescente sui banchi di bambini e ragazzi
stranieri – Un altro rapporto molto stretto lega il
fenomeno della dispersione ai problemi della legalità e
della criminalità minorile
Soltanto il 73 per cento di chi frequenta la scuola
secondaria italiana di secondo grado arriva al diploma: ciò
significa che un ragazzo ogni quattro si perde per strada.
È un dato che come al solito ci penalizza nel confronto
internazionale, crea pesanti problemi sociali e anche,
attraverso le ripetenze che spesso precedono gli
abbandoni, oneri finanziari aggiuntivi. Non è un mistero
che la tendenza alla “manica larga” nelle valutazioni
scolastiche, tipica di questi ultimi anni, riflette
l’obiettivo di non accrescere ulteriormente, attraverso
le ripetenze, la densità della popolazione scolastica.
Sul piano della dispersione, che non riguarda soltanto la
secondaria superiore ma sopravvive anche nelle classi
precedenti, configurandosi così come evasione
dell’obbligo scolastico, il ministro Giuseppe Fioroni ha
promesso un piano di prevenzione. Dovrebbe fondarsi
sull’individuazione di apposite “chiavi didattiche”
e di “percorsi capaci di rimotivare”, oltre che sugli
spazi aperti dall’autonomia nei singoli istituti e su
qualche energico ritocco alla formazione dei docenti.
Purtroppo non sembra possibile immaginare che,
nonostante gli sforzi, il fenomeno della dispersione sia
destinato a ridimensionarsi nel breve periodo. Esso
dipende, in buona misura, da oggettive tendenze
demografiche. Del resto è sempre stato così Quasi non
esisteva quando l’istruzione era riservata a pochi, è
venuto clamorosamente alla ribalta con l’avvento della
scuola di massa. È stato spesso pudicamente coperto da
statistiche minimizzanti. Quando nel 1999 la Lapis rese
pubblici i risultati di un’indagine che d’intesa con
il comando della regione militare Sud era stata condotta
su un campione significativo di giovani di leva in tre
province, il clamore fu grande. Era infatti emerso che il
dieci per cento dei 3368 ragazzi interpellati non aveva
completato la scuola media, e che il sei per cento
addirittura non aveva finito le elementari. Tutti casi in
buona parte sfuggiti alle statistiche ufficiali.
È probabile che un altro fattore demografico,
crescente in questi ultimi anni e destinato a crescere
ulteriormente, debba essere preso in considerazione per
prevedere l’evoluzione di questo fenomeno. Si tratta del
peso crescente degli alunni stranieri, che già oggi
costituiscono oltre il cinque per cento della popolazione
scolastica. Poiché il dieci per cento delle nascite è
costituito da bambini stranieri, mentre l’immigrazione,
cioè l’apporto di altri bambini nati all’estero, non
accenna a ridimensionarsi, è prevedibile che nel giro di
alcuni anni fra il dieci e il quindici per cento degli
alunni avrà origine straniera. Come si riferisce in altro
articolo di questo stesso numero del Foglio Lapis,
questo comporta numerosi problemi. Sono proprio quei
problemi, complessivamente unificabili sotto l’etichetta
del disagio scolastico, che determinano o favoriscono la
dispersione.
Spesso il fenomeno degli abbandoni viene messo in
relazione con l’illegalità. Effettivamente in aree
dominate dalla criminalità organizzata, si pensi a certi
quartieri di Napoli, la dispersione è particolarmente
elevata: c’è una domanda da parte della delinquenza
organizzata di manodopera minorile, particolarmente adatta
allo spaccio di droga, per esempio, in quanto non
penalmente perseguibile. Non di rado questa esperienza,
una volta venuto meno il vantaggio giuridico della minore
età, viene completata con una sorta di iniziazione alla
criminalità e con il definitivo reclutamento nelle bande
mafiose.
Ma non è soltanto l’illegalità a nutrire il
fenomeno della dispersione: un alto tasso di abbandoni
nella scuola secondaria di secondo grado viene registrato
anche in aree, come il Nordest, in cui non esistono
fenomeni di criminalità capillare. Sono aree di intensa
attività produttiva, e in questi casi è il mercato del
lavoro legale ad attirare i ragazzi fuori dalla scuola. In
una visione purtroppo abbastanza diffusa, l’alternativa
percepita è fra il perdere tempo sui banchi e il
guadagnarsi un salario, generalmente nel piccolo
stabilimento artigiano. Tocca evidentemente alla scuola
curare la propria immagine, convincere la società
circostante che frequentarla è tutt’altro che una
perdita di tempo, e che nonostante l’apparente vantaggio
immediato la rinuncia a completare gli studi prima o poi
si finirà col pagarla.
v. a.
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