Due
parallele evoluzioni stanno modificando l’assetto della
scuola italiana, che sposta sempre più il suo baricentro
verso le regioni settentrionali mentre la componente
straniera degli alunni ha ormai superato il cinque per
cento – È in corso anche un massiccio trasferimento di
docenti dalle scuole del Sud, che in un decennio si sono
alleggerite di circa 240 mila studenti, a quelle del Nord
frequentate da 300 mila alunni in più – La difficile
scommessa multiculturale
Con la ripresa autunnale la popolazione scolastica
italiana ha raggiunto quest’anno quota sette milioni e 736
mila. Si registra un leggero incremento, esattamente di 21
mila unità, rispetto allo scorso anno scolastico, ma si
tratta di un valore complessivo che non corrisponde certo a
una tendenza omogenea. Infatti soltanto nel Centronord ci
sono davvero più studenti, precisamente 49 mila nelle
regioni settentrionali e 10 mila in quelle centrali. La
somma algebrica con il dato negativo delle regioni
meridionali, dove la popolazione scolastica è diminuita di
38 mila unità, porta al valore nazionale di 21 mila
studenti in più. È come se la scuola spostasse sempre più
il suo baricentro verso Nord, nella scia di una tendenza
demografica che vede il Mezzogiorno caratterizzato da un
minore tasso di natalità, da una più ridotta offerta di
lavoro che spinge molti giovani verso altre regioni, e
infine da una meno folta presenza di immigrati. Il fenomeno
è ormai in corso da tempo: nell’ultimo decennio la
popolazione scolastica meridionale si è ridotta di 240 mila
studenti, mentre quella del Centronord ha fatto registrare
un aumento di 300 mila, che restituisce il segno più al
saldo nazionale.
Questo saldo positivo è evidentemente dovuto
all’apporto degli alunni immigrati, che hanno ormai
superato il mezzo milione, ben oltre il cinque per cento del
totale. Ma il dato percentuale medio non rende giustizia al
fenomeno, che è fortemente squilibrato nel territorio
nazionale: mentre la presenza straniera è infatti molto più
ridotta a Sud, in certe regioni settentrionali
caratterizzate da quelle intense attività produttive che
attraggono forti flussi migratori, in particolare Veneto e
Lombardia, si arriva a concentrazioni molto più alte. È
precisamente in queste parti d’Italia che il fenomeno
assume caratteri a volte problematici: nella società e
conseguentemente nell’istituzione educativa. La forte
presenza straniera pone infatti la scuola di fronte a una
sfida che la trova complessivamente impreparata, anche se la
buona volontà e lo spirito d’iniziativa di molti
insegnanti riescono qualche volta a superare almeno in parte
le carenze organizzative.
Gli alunni stranieri sono spesso svantaggiati da seri
problemi di comunicazione, poiché non sempre padroneggiano
la lingua italiana. Questo li pone in crisi non soltanto in
materia di rendimento scolastico, ma anche nei rapporti con
i compagni, perché rende più difficile la socializzazione.
Inoltre questo handicap fa sì che spesso i ragazzi
stranieri vengano collocati in classi inferiori rispetto
alla loro età, dettaglio che complica non poco la relazione
con i compagni italiani più piccoli. Uno studio recente
dell’Istituto di scienze della cognizione del CNR rivela
fra l’altro un generalizzato malessere degli insegnanti di
fronte all’incalzare del fenomeno multiculturale. Il corpo
docente si sente abbandonato a se stesso e invoca due rimedi
giudicati essenziali: corsi di alfabetizzazione per i
ragazzi stranieri e intervento sistematico dei mediatori
culturali.
Un altro problema rivelato dall’indagine del CNR
riguarda il rapporto della scuola con le famiglie dei
ragazzi immigrati. Si tratta di un rapporto tanto difficile
quanto necessario, con famiglie che a volte ostacolano,
volontariamente o no, l’integrazione dei loro figli nella
scuola e dunque nella società italiana. Alcune difficoltà
sono oggettive e difficilmente sormontabili: si cita per
esempio il fatto che gli alunni stranieri non amano invitare
a casa loro i compagni italiani, e questo non per scarso
senso di ospitalità e tanto meno per ostilità, ma per il
fatto che spesso vivono in abitazioni piccole e modeste che
non amano mostrare agli amici. La scarsa frequentazione
comporta un rischio evidente, quello di generare estraneità.
Sono problemi che i bambini della scuola primaria sono
istintivamente portati a superare, ma che poi
s’ingigantiscono con il passare degli anni, fino a
diventare preoccupanti nella scuola superiore, dove si
registrano spesso quei pregiudizi venati di razzismo,
espressi da parte della società italiana impaurita dal
terrorismo e dall’”invasione”, e per conseguenza
portata alla diffidenza se non alla xenofobia, che erano
rimasti estranei alla natura generosa dei più piccoli. Si
segnala a questo punto l’emergere minaccioso di due tipi
di bullismo: quello di cui i ragazzi stranieri sono oggetto,
in quanto esseri diversi, fragili, vulnerabili, sui quali si
esercita una ben nota propensione al sopruso, e quello di
cui invece, per reazione alle loro difficoltà e al loro
isolamento, proprio loro sono protagonisti attivi.
La scuola multiculturale procede dunque fra non poche
difficoltà, e certo si pone con urgenza il problema di
affrontarne i nodi. Non sarà facile, perché molti fra quei
nodi sono la risultante di radicati atteggiamenti sociali, e
dunque la terapia dovrebbe indirizzarsi alla società prima
ancora che alla scuola. Ma questo non significa che
l’istituzione educativa debba starsene con le mani in
mano. Deve anzi agire, e deve farlo su due piani. Da una
parte sforzandosi di diffondere i valori della tolleranza,
della convivenza, del rispetto reciproco fra le culture.
Dall’altra rimuovendo gli ostacoli individuali che
impediscono a molti ragazzi stranieri di usufruire appieno
della nostra scuola: per esempio, come chiedono gli
insegnanti interpellati dal CNR, promuovendo corsi di lingua
italiana e dando spazio alla figura insostituibile del
mediatore culturale.
Fredi Sergent
|