Il
bilancio dei primo dodici mesi di applicazione della norma
che vieta di portare in classe simboli ostentatamente
religiosi è considerato positivo dalle autorità francesi
– Sono 143 gli alunni che hanno lasciato la loro scuola
per non avere voluto adeguarsi alla legge: di questi, 96
si sono iscritti a istituti privati o al Centro nazionale
d’insegnamento a distanza, 47 sono stati espulsi – Ma
in molte famiglie, si assicura, il divieto è stato
vissuto come una liberazione
A
un anno dalla sua entrata in vigore, la legge francese che
in nome della laicità dell’istruzione vieta
l’esibizione a scuola di simboli religiosi può vantare
secondo le autorità scolastiche un bilancio positivo. La
norma fu varata il 15 marzo 2004, e come si ricorderà fu
accolta da reazioni polemiche soprattutto da parte delle
comunità musulmane, visto che era stata concepita
soprattutto per contrastare l’abitudine di molte ragazze
islamiche di frequentare le lezioni con il capo velato,
secondo la tradizione coranica. Il bilancio del primo
periodo di applicazione della norma, che corrisponde
all’anno scolastico 2004-05, è contenuto in un rapporto
che Hanifa Chérifi, ispettrice generale dell’educazione
nazionale, ha presentato al ministro Gilles de Robien.
Nell’anno in questione, dunque, sono stati 639 i
casi registrati di ostentazione di simboli religiosi, e già
questo dato conferisce alla legge un forte valore
deterrente, visto che l’anno precedente il fenomeno aveva
avuto una rilevanza quantitativa all’incirca doppia. Fra i
simboli contestati figurano undici turbanti sikh e due
grandi croci cristiane: per il resto, cioè per la
stragrande maggioranza degli episodi, si è trattato di veli
islamici. La maggiore densità di casi si è registrata,
ovviamente, nelle aree a più forte densità immigratoria:
in particolare Strasburgo, Lilla e la grande banlieue
parigina.
Nella maggior parte dei casi, esattamente 496, gli
alunni hanno accettato di togliere gli oggetti contestati:
la loro è stata insomma la pacifica contestazione di una
legge che disapprovano, ma alla quale non intendono
sottrarsi. Degli altri 143 alunni, gli irriducibili, 96
hanno volontariamente lasciato i rispettivi istituti
scolastici iscrivendosi a scuole private, che sono fuori
della portata della legge, o frequentando i corsi del Centro
nazionale d’insegnamento a distanza. Le espulsioni si sono
dunque ridotte a 47 casi, dei quali 44 per porto di velo
islamico e gli altri tre per il turbante sikh. Ventotto fra
gli espulsi hanno scelto la via giudiziaria facendo ricorso.
Circa la metà dei ricorsi sono già stati esaminati, e ogni
volta i provvedimenti di espulsione sono stati confermati
dal giudice.
Secondo l’ispettrice Chérifi è possibile
affermare, sulla base d’informazioni raccolte presso
insegnanti e dirigenti d’istituto, che molte ragazze e
molte famiglie hanno vissuto l’applicazione della legge
come la liberazione da un obbligo sgradito. Tuttavia la
questione non può considerarsi definitivamente risolta, si
avverte nel rapporto, visto che negli strati più ortodossi
delle minoranze musulmane e delle comunità sikh la norma è
considerata un vero e proprio sopruso. Si fa anche notare
che molte ragazze accettano sì di togliere il velo
all’entrata nelle classi, ma poi se lo rimettono in capo
quando escono da scuola. Cosa che del resto è nel loro
pieno diritto.
r.f.l.
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