FOGLIO LAPIS - OTTOBRE 2004

 
 

Gli studenti stranieri sono ormai il 3,5 per cento della popolazione scolastica – C’è chi parla di “invasione islamica”, ma nelle comunità immigrate la maggioranza è costituita da cristiani – I musulmani sono un terzo del totale – Fra gli alunni immigrati delle scuole italiane, 48 per cento di cristiani e 41 di musulmani – Ma ci sono anche buddisti, confuciani, induisti, sikh – I molti aspetti problematici di una istituzione sempre più nettamente multiculturale

 

 

Nell’anno scolastico in corso la scuola italiana ospita 282 mila alunni stranieri, che rappresentano il 3,5 per cento del totale. Una presenza considerevole, ma assai inferiore a quella che si registra in altri paesi europei. In Gran Bretagna la percentuale di stranieri fra gli studenti raggiunge il 14 per cento, in Germania siamo al 10, in Francia al 4 per cento. Ma ciò che rende appariscente il fenomeno in Italia è la sua relativa novità: ancora una decina di anni or sono gli alunni di diversa provenienza nazionale erano appena trentamila, una quantità quasi irrilevante nell’universo scolastico italiano. Inoltre il dato medio del 3,5 per cento è la risultante nazionale di realtà territoriali tutt’altro che omogenee. Infatti la presenza straniera supera il sei per cento nelle scuole del Nordest e lo sfiora in quelle del Nordovest, mentre nelle regioni meridionali è inferiore all’un per cento.

Le punte massime si registrano in Lombardia: a Milano si registra una percentuale “tedesca”: oltre dieci stranieri ogni cento studenti; nella provincia di Mantova il dato è superiore al nove per cento. Inoltre il fenomeno appare in crescita, e si calcola che fra dieci anni sarà superata la soglia del sei per cento sul totale della popolazione scolastica. Insomma sarà sempre più una scuola-arcobaleno. Già oggi sono rappresentati in misura maggiore o minore quasi tutti i paesi del mondo: ai primi tre posti si collocano l’Albania, il Marocco, la Romania (rispettivamente con il 18, il 15 e il 10 per cento del totale di alunni stranieri), in largo vantaggio sulla Cina (cinque per cento) e sugli altri paesi.

La scuola multiculturale, tipica della nuova Europa in  formazione, si va dunque assestando anche in Italia. Purtroppo il fenomeno evolve senza una programmazione mirata: spesso i ragazzi stranieri vengono assegnati alle classi semplicemente sulla base dell’età, senza che nessuno si prenda la briga di adeguare la distribuzione a un’analisi delle precedenti esperienze scolastiche. In certi casi si cerca di mettere a punto un sistema di quote, cioè una distribuzione omogenea degli stranieri fra le scuole e le classi; in altri si propone, come è avvenuto recentemente a Milano, la creazione di una classe di soli alunni musulmani. Una proposta certamente animata dalle migliori intenzioni, ma prontamente e giustamente respinta dall’autorità scolastica. Non è certo creando ghetti che si affronta la grandiosa questione interculturale.

Per molti degli studenti immigrati, quelli che più di recente sono arrivati in Italia, si pone immediatamente il problema della lingua. A volte non conoscono che poche parole d’italiano, e con quel bagaglio insufficiente sono esposti a un confronto mortificante con i loro compagni. Ci sono insegnanti che cercano di colmare almeno in parte queste drammatiche lacune acquistando dizionari e manuali di conversazione nelle lingue più ostiche. Il problema può essere avviato a soluzione, evidentemente, soltanto con appositi corsi di lingua, che precedano quando possibile l’avvio dell’esperienza scolastica o quanto meno l’accompagnino.

La situazione è aggravata dal fatto che è assai diffuso, proprio nelle aree di maggior presenza straniera, un clima generale d’intolleranza nei confronti degli immigrati, che si ripercuote doppiamente sulla scuola. Da una parte ostacolando ogni proposta che, come quella appena accennata, tenda a impiegare risorse per favorire una corretta integrazione degli alunni immigrati. Dall’altra riproponendosi proprio all’interno delle classi, dove sono frequenti i casi di ragazzi italiani che, riecheggiando certi commenti casalinghi sull’attualità internazionale, investono i loro compagni stranieri con le critiche più ingenerose.

Esiste in molte aree del paese, investendo anche la scuola, una vera e propria psicosi dell’”invasione islamica”. Uno scenario che vede l’Italia e l’Europa minacciate di annientamento culturale, cui si sfuggirebbe soltanto attraverso la crociata, lo “scontro di civiltà”. Una visione quanto meno arcaica dei rapporti fra i popoli, e che si basa su approssimazioni e semplificazioni. Tanto per cominciare l’idea diffusa che l’ondata migratoria sia soprattutto musulmana è contraddetta dalle cifre. Secondo valutazioni non ufficiali, ma considerate attendibili, oltre il 50 per cento degli immigrati è costituito da cristiani, sia pure suddivisi fra le varie denominazioni, con una netta prevalenza di cattolici e ortodossi. I musulmani sono un terzo del totale. Nelle scuole, abbiamo un 48 per cento di cristiani e un 41 per cento che si riconosce nell’Islam. Ma la psicosi esiste, alimentata dall’attualità internazionale e da certe frettolose analisi. Essa impedisce che si tratti con la dovuta attenzione il problema delle varie fedi e sensibilità religiose ormai ampiamente rappresentate nelle scuole italiane.

La risposta laica del governo francese al problema del velo islamico, risolto con la proibizione imparziale di ostentare qualunque simbolo religioso, affronta una parte della questione. Ma il problema è molto più vasto, e investe la stessa didattica. Non riguarda soltanto l’Islam, né soltanto la religione. Riguarda per esempio anche la storia: sembra infatti improbabile trasmettere a alunni cinesi, o colombiani, la nostra visione eurocentrica delle scoperte geografiche. E nel parlare di crociate a un uditorio misto di piccoli italiani e arabi bisognerà pure tener conto della percezione mediorientale di quella stagione storica.

Sono questioni complesse e delicate, che vanno affrontate senza pregiudizi, e soprattutto avendo ben chiari alcuni punti fermi: il principio di uguaglianza, il diritto all’istruzione, il dovere di rispettare le identità nazionali, culturali e religiose, la libertà d’insegnamento. Avendo anche ben chiaro che la società multiculturale, dunque la scuola-arcobaleno, corrisponde a una irreversibile tendenza storica, destinata a caratterizzare questo inizio del terzo millennio. Che la si voglia o no, la realtà è questa: per il bene di tutti è necessario gestirla al meglio.

 

                                             r.f.l.
                                         

                                                                                                 

 

 
 

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