Gli
studenti stranieri sono ormai il 3,5 per cento della
popolazione scolastica – C’è chi parla di
“invasione islamica”, ma nelle comunità immigrate la
maggioranza è costituita da cristiani – I musulmani
sono un terzo del totale – Fra gli alunni immigrati
delle scuole italiane, 48 per cento di cristiani e 41 di
musulmani – Ma ci sono anche buddisti, confuciani,
induisti, sikh – I molti aspetti problematici di una
istituzione sempre più nettamente multiculturale
Nell’anno
scolastico in corso la scuola italiana ospita 282 mila
alunni stranieri, che rappresentano il 3,5 per cento del
totale. Una presenza considerevole, ma assai inferiore a
quella che si registra in altri paesi europei. In Gran
Bretagna la percentuale di stranieri fra gli studenti
raggiunge il 14 per cento, in Germania siamo al 10, in
Francia al 4 per cento. Ma ciò che rende appariscente il
fenomeno in Italia è la sua relativa novità: ancora una
decina di anni or sono gli alunni di diversa provenienza
nazionale erano appena trentamila, una quantità quasi
irrilevante nell’universo scolastico italiano. Inoltre il
dato medio del 3,5 per cento è la risultante nazionale di
realtà territoriali tutt’altro che omogenee. Infatti la
presenza straniera supera il sei per cento nelle scuole del
Nordest e lo sfiora in quelle del Nordovest, mentre nelle
regioni meridionali è inferiore all’un per cento.
Le punte massime
si registrano in Lombardia: a Milano si registra una
percentuale “tedesca”: oltre dieci stranieri ogni cento
studenti; nella provincia di Mantova il dato è superiore al
nove per cento. Inoltre il fenomeno appare in crescita, e si
calcola che fra dieci anni sarà superata la soglia del sei
per cento sul totale della popolazione scolastica. Insomma
sarà sempre più una scuola-arcobaleno. Già oggi sono
rappresentati in misura maggiore o minore quasi tutti i
paesi del mondo: ai primi tre posti si collocano
l’Albania, il Marocco, la Romania (rispettivamente con il
18, il 15 e il 10 per cento del totale di alunni stranieri),
in largo vantaggio sulla Cina (cinque per cento) e sugli
altri paesi.
La scuola
multiculturale, tipica della nuova Europa in formazione, si va dunque assestando anche in Italia.
Purtroppo il fenomeno evolve senza una programmazione
mirata: spesso i ragazzi stranieri vengono assegnati alle
classi semplicemente sulla base dell’età, senza che
nessuno si prenda la briga di adeguare la distribuzione a
un’analisi delle precedenti esperienze scolastiche. In
certi casi si cerca di mettere a punto un sistema di quote,
cioè una distribuzione omogenea degli stranieri fra le
scuole e le classi; in altri si propone, come è avvenuto
recentemente a Milano, la creazione di una classe di soli
alunni musulmani. Una proposta certamente animata dalle
migliori intenzioni, ma prontamente e giustamente respinta
dall’autorità scolastica. Non è certo creando ghetti che
si affronta la grandiosa questione interculturale.
Per molti degli
studenti immigrati, quelli che più di recente sono arrivati
in Italia, si pone immediatamente il problema della lingua.
A volte non conoscono che poche parole d’italiano, e con
quel bagaglio insufficiente sono esposti a un confronto
mortificante con i loro compagni. Ci sono insegnanti che
cercano di colmare almeno in parte queste drammatiche lacune
acquistando dizionari e manuali di conversazione nelle
lingue più ostiche. Il problema può essere avviato a
soluzione, evidentemente, soltanto con appositi corsi di
lingua, che precedano quando possibile l’avvio
dell’esperienza scolastica o quanto meno l’accompagnino.
La situazione è
aggravata dal fatto che è assai diffuso, proprio nelle aree
di maggior presenza straniera, un clima generale
d’intolleranza nei confronti degli immigrati, che si
ripercuote doppiamente sulla scuola. Da una parte
ostacolando ogni proposta che, come quella appena accennata,
tenda a impiegare risorse per favorire una corretta
integrazione degli alunni immigrati. Dall’altra
riproponendosi proprio all’interno delle classi, dove sono
frequenti i casi di ragazzi italiani che, riecheggiando
certi commenti casalinghi sull’attualità internazionale,
investono i loro compagni stranieri con le critiche più
ingenerose.
Esiste in molte
aree del paese, investendo anche la scuola, una vera e
propria psicosi dell’”invasione islamica”. Uno
scenario che vede l’Italia e l’Europa minacciate di
annientamento culturale, cui si sfuggirebbe soltanto
attraverso la crociata, lo “scontro di civiltà”. Una
visione quanto meno arcaica dei rapporti fra i popoli, e che
si basa su approssimazioni e semplificazioni. Tanto per
cominciare l’idea diffusa che l’ondata migratoria sia
soprattutto musulmana è contraddetta dalle cifre. Secondo
valutazioni non ufficiali, ma considerate attendibili, oltre
il 50 per cento degli immigrati è costituito da cristiani,
sia pure suddivisi fra le varie denominazioni, con una netta
prevalenza di cattolici e ortodossi. I musulmani sono un
terzo del totale. Nelle scuole, abbiamo un 48 per cento di
cristiani e un 41 per cento che si riconosce nell’Islam.
Ma la psicosi esiste, alimentata dall’attualità
internazionale e da certe frettolose analisi. Essa impedisce
che si tratti con la dovuta attenzione il problema delle
varie fedi e sensibilità religiose ormai ampiamente
rappresentate nelle scuole italiane.
La risposta laica
del governo francese al problema del velo islamico, risolto
con la proibizione imparziale di ostentare qualunque simbolo
religioso, affronta una parte della questione. Ma il
problema è molto più vasto, e investe la stessa didattica.
Non riguarda soltanto l’Islam, né soltanto la religione.
Riguarda per esempio anche la storia: sembra infatti
improbabile trasmettere a alunni cinesi, o colombiani, la
nostra visione eurocentrica delle scoperte geografiche. E
nel parlare di crociate a un uditorio misto di piccoli
italiani e arabi bisognerà pure tener conto della
percezione mediorientale di quella stagione storica.
Sono questioni
complesse e delicate, che vanno affrontate senza pregiudizi,
e soprattutto avendo ben chiari alcuni punti fermi: il
principio di uguaglianza, il diritto all’istruzione, il
dovere di rispettare le identità nazionali, culturali e
religiose, la libertà d’insegnamento. Avendo anche ben
chiaro che la società multiculturale, dunque la
scuola-arcobaleno, corrisponde a una irreversibile tendenza
storica, destinata a caratterizzare questo inizio del terzo
millennio. Che la si voglia o no, la realtà è questa: per
il bene di tutti è necessario gestirla al meglio.
-
r.f.l.
-
|