Il
ricatto del terrorismo mediorientale di ispirazione
islamista ha gettato un’ombra sull’inizio dell’anno
scolastico - Due vite minacciate e la pretesa di bloccare
la legge sul velo - La compattezza dell’opinione
pubblica, compresa la folta componente musulmana ostile
alla norma contestata, ha impedito che la delicata materia
venisse affidata a strumenti così impropri -
Per l’applicazione della nuova disciplina è
stato scelto un approccio morbido
Lo
scorso due settembre è stato una data importante
nell’attualità francese, e lo è stato per due ragioni
strettamente intrecciate. Quel giorno dodici milioni di
studenti riprendevano il loro posto nelle aule dei circa 70
mila istituti scolastici. E quel giorno entrava in vigore la
legge del 15 marzo, che in nome del carattere storicamente
laico della scuola pubblica vieta l’ostentazione in aula
di segni e simboli religiosi. Più nota come legge sul velo,
poiché l’elemento statistico che l’ha determinata è la
presenza nella società francese, e dunque nella scuola, di
una folta minoranza islamica che impone o consiglia alle sue
donne di coprirsi il capo in pubblico, la norma riguarda in
realtà i segni e i simboli di tutte le religioni,
vietandoli imparzialmente tutti. Non si può portare a
scuola la kippah ebraica, e nemmeno una “croce di
dimensioni manifestamente eccessive”. Nulla, insomma, che
travalichi il privato e si faccia pubblica dichiarazione di
appartenenza.
Si
può pensare quel che si vuole di questa legge, che non a
caso è stata approvata in Francia dopo un accesissimo
dibattito, ma non certo che una normativa riferita alla
scuola pubblica possa dipendere da altri che dagli organi
previsti dalle procedure democratiche nazionali. Di questo
è assolutamente convinta l’opinione pubblica francese: e
infatti se la legge sul velo l’aveva profondamente divisa,
con una minoranza non soltanto di fede musulmana
risolutamente contraria, la pretesa di imporre una diversa
disciplina della materia dall’esterno, impiegando le armi
del terrore e del ricatto, l’ha saldamente riunita. È
accaduto che in Irak due giornalisti francesi, Christian
Chesnot e Georges Malbrunot, sono stati rapiti, mostrati in
un video nella loro mortificante condizione di prigionieri,
e la loro sopravvivenza subordinata, appunto,
all’affossamento della norma che impedisce alle ragazze
musulmane di andare a scuola con capo coperto.
I
terroristi di Baghdad contavano con questa impresa di
approfondire il solco che l’iter di formazione della legge
sull’ostentazione dei simboli religiosi aveva scavato
nell’opinione francese. Speravano di introdurre nel paese
europeo con più folta presenza islamica il germe dello
scontro di civiltà: ma hanno sbagliato i loro conti.
Facendo balenare nel buio della sconvolgente attualità
internazionale un promettente spiraglio di luce, le
organizzazioni rappresentative dell’Islam di Francia hanno
fatto sapere al mondo che si può essere buoni musulmani e
buoni francesi. Una lezione che va ben oltre i confini
dell’Esagono: dunque si può essere buoni musulmani e
buoni europei. I francesi di fede islamica hanno detto forte
e chiaro che a loro avviso la legge sul velo è sbagliata ma
è pur sempre una legge dello stato nel quale si riconoscono
come cittadini, e non tocca certo a terroristi stranieri il
compito di interferire in una materia che è soltanto
nazionale e tale deve restare. Parallelamente, i musulmani
di Francia hanno unito i loro sforzi a quelli del governo di
Parigi per ottenere il rilascio dei due giornalisti
prigionieri.
Indipendentemente
dal merito, dal giudizio cioè sull’opportunità o meno
della norma entrata in vigore con la ripresa scolastica,
questa vicenda rappresenta una vistosa sconfitta sia dei
terroristi, sia di quei propagatori di veleni che
identificano senz’altro l’Islam con la violenza armata e
nello spirito di una inconfessata nostalgia crociata
vorrebbero gestire a cannonate l’emergenza delle
immigrazioni fuori controllo. Naturalmente a Parigi e
dintorni si è temuto, sotto quella tremenda spada di
Damocle, che qualcuno potesse progettare di pescar nel
torbido, e che i primi giorni di scuola potessero dare adito
a incidenti. Non è accaduto nulla: molte ragazze si sono
presentate col velo ma a richiesta degli insegnanti o dei
capi d’istituto, a volte su preghiera degli stessi
compagni, lo hanno tolto e riposto nello zaino, sia pure
protestando la propria personale contrarietà. Due settimane
più tardi il ministro dell’educazione nazionale François
Fillon ha potuto tracciare un bilancio confortante: soltanto
un centinaio i casi di ragazze che hanno rifiutato di
adeguarsi alla legge.
Per
loro, del resto, non scatteranno misure repressive. Prima di
tutto si cercherà di proseguire con l’opera di
persuasione, presso le interessate e le loro famiglie. Poi,
se questi tentativi non produrranno risultati, le allieve
ribelli potranno essere espulse dalle rispettive scuole ma
iscritte gratuitamente al Cned (Centro nazionale
d’insegnamento a distanza). Ma si spera di ridurre al
minimo questo estremo ripiego: noi vogliamo conservare a
scuola tutti gli studenti, compresi quelli che si trovano in
contraddizione con la legge, fanno sapere al ministero
dell’educazione nazionale. Non a caso alcune decine di
ragazze, che avevano deciso di aggirare la legge
iscrivendosi senz’altro al Cned, sono state rifiutate e
rinviate alla scuola ordinaria: l’insegnamento a distanza
sarà l’ultima spiaggia, dopo l’eventuale fallimento dei
tentativi di integrazione. Per chi proprio non se la sente
di accettare la norma, c’è anche la possibilità di
ricorrere alla scuola privata. Ce ne sono molte di
ispirazione musulmana, in tutta la Francia, al riparo dal
divieto del velo che ovviamente si limita alle scuole
pubbliche. Proprio questo due settembre è stata inaugurata
a Lilla, nel nord della Francia, una scuola islamica
femminile, affollata fin dal primo giorno di ragazze
felicemente velate, e del tutto in regola con la legge.
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a.v.
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