Per
il ministro Letizia Moratti va tutto bene, a parte il
rapporto studenti/docenti ancora lontano dalla media
europea – Per disinnescare lo scontro sindacale e
politico, la titolare dell’istruzione assicura che
l’applicazione della riforma sarà flessibile – Per
uno dei predecessori della Moratti, Tullio De Mauro, il
quadro è invece decisamente negativo: la scuola italiana
è inefficiente e ne risultano milioni di analfabeti e
semianalfabeti – Le sconfortanti cifre dell’Ocse
Nell’intervista
che all’inizio dell’anno scolastico ha rilasciato al
settimanale Panorama, Letizia Moratti ha parlato di
una scuola complessivamente in ordine, registrando il neo più
appariscente nel rapporto studenti/insegnanti: siamo a nove
e mezzo-dieci, un dato un pochino più alto di quelli degli
anni precedenti ma ancora lontano dalla media europea di
quindici studenti per docente. Tutto va bene, dunque, nel
pianeta scuola nell’anno di grazia 2004/05? Naturalmente
è stato chiesto al ministro come la sua visione ottimistica
possa conciliarsi con la durezza dello scontro politico e
sindacale attorno alla riforma, che proprio con l’avvio di
questo anno scolastico entra nel vivo e riguarda cinque dei
quasi nove milioni di studenti, tutti quelli compresi fra la
scuola per l’infanzia e il primo anno delle secondarie di
primo grado. Nella sua risposta, la responsabile governativa
dell’istruzione parla di riforma ad applicazione
flessibile, di un sistema cioè che prevede verifiche sul
campo.
Il segnale di
apertura di Letizia Moratti cade in un contesto come sempre
turbato. Poiché la crisi congiunturale riduce gli introiti
fiscali e dunque nei bilanci pubblici il piatto piange, si
sono imposti drastici tagli che in buona misura hanno
investito anche la scuola. Ridotti i fondi destinati al
tempo pieno, alla scuola per l’infanzia, al sostegno per
gli studenti disabili. Inoltre si denunciano problemi di
graduatorie, di precariato, di retribuzioni insoddisfacenti
per gli insegnanti. Ciò che rende paradossale
quest’ultimo punto è il fatto che, come conferma l’Ocse
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)
nel suo ultimo studio sull’istruzione nei trenta paesi
membri, la scuola degli insegnanti meno pagati è fra quelle
che impegnano di più i rispettivi bilanci. La spesa per
studente è infatti in Italia (circa 6800 dollari nella
primaria e 8300 nella secondaria) superiore alla media Ocse
(rispettivamente 4800 e 6500 dollari). L’arcano si spiega
facilmente: ci sono da noi meno studenti per insegnante e
meno ore di lezione; ci sono inoltre rigidità burocratiche
e un’organizzazione amministrativa non precisamente tarata
per trarre il massimo dalle risorse disponibili.
Il rapporto Ocse
non si limita a segnalare questo dato. Contiene anche, come
ogni anno, una sorta di classifica dei sistemi scolastici
nei trenta paesi membri stilata in base ai risultati, ai
tassi di scolarizzazione ai vari livelli, alle linee di
tendenza verso l’istruzione superiore: in questa
classifica l’Italia occupa un ventiseiesimo posto non
proprio esaltante. Nel comunicato che accompagna la
pubblicazione dello studio c’è un’osservazione di
estremo interesse: “si stima che l’impatto a lungo
termine, nell’area Ocse, di un anno di istruzione
supplementare sia un incremento della produzione economica
in una misura compresa fra il tre e il sei per cento”. Su
questa valutazione dovrebbero attentamente riflettere certi
politici, economisti, osservatori italiani, quelli convinti
che innalzare l’età dell’obbligo scolastico sia un
lusso costoso quanto inutile. Al contrario: è un modo per
aumentare la ricchezza nazionale. Visto che quei signori
“con i piedi per terra” ragionano unicamente in termini
di prodotto interno lordo, è bene che sappiano che proprio
la scuola può imprimere vigore al loro diletto indicatore
economico: in poche parole che la scuola è un investimento
dalla resa sicura, sia pure a lunga scadenza. Ma hanno
abbastanza cervello per accettare questa realtà e farsene
una ragione?
Negli stessi
giorni in cui fra mille nubi sindacali e finanziarie
prendeva il via l’anno scolastico, e il ministro
dell’istruzione ribadiva la propria fiducia nella riforma
che porta il suo nome, il predecessore di Letizia Moratti,
Tullio De Mauro, dava alle stampe un libro-intervista, La
cultura degli italiani (a cura di Franco Erbani, editore
Laterza) in cui accusa la classe politica di snobbare la
scuola, di ignorarla, di danneggiarla. Di non avere
confidenza con i problemi educativi. Fortemente critico con
l’attuale titolare di Viale Trastevere (definita “poco
competente in fatto di scuola”), salva invece il ministro
che lo ha preceduto, Luigi Berlinguer. Ma anche per lui ci
sono riserve, come quella di aver voluto fare una riforma
scolastica a tutto campo che urtando troppi interessi lo ha
costretto nell’angolo. O quella di non averne discusso le
linee con il corpo docente, protagonista frustrato e
depresso della commedia scolastica italiana.
Il linguista De
Mauro passa in rassegna nel suo libro le desolanti
statistiche della scolarizzazione italiana: solo il 42 per
cento della popolazione adulta ha il diploma di scuola media
superiore (dato medio europeo al 59 per cento); laureati
soltanto nove italiani su cento (in Europa sono mediamente
21). E poi i dati sulla capacità di lettura: due milioni di
analfabeti (non sono in grado di leggere un testo
semplicissimo di tre parole), quindici milioni di
semianalfabeti (si bloccano davanti a un testo appena più
complesso), altri milioni di italiani che rischiano a loro
volta di perdere le precarie capacità acquisite a scuola, e
come conseguenza ovvia i due terzi della popolazione che non
leggono né libri né giornali. È abbastanza sorprendente,
di fronte a queste cifre, che l’ex ministro promuova a
pieni voti la vecchia scuola elementare (“una delle
migliori del mondo”). Ora, è certamente vero che
l’istruzione primaria italiana è ormai per tradizione
considerata il fiore all’occhiello del nostro sistema
educativo, ma non è proprio la scuola elementare il luogo
dell’alfabetizzazione? C’è dunque qualcosa che non
quadra, se nonostante il loro passaggio infantile attraverso
questa istituzione esemplare tanti cittadini refrattari alla
lettura, tanti analfabeti di ritorno affollano il Bel Paese.
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Alfredo Venturi
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