Otto
milioni e mezzo di studenti di nuovo in classe con i loro
900 mila insegnanti - È ripartita la scuola italiana ma
la graduale attuazione della riforma Moratti comincerà
soltanto il prossimo anno – Per ora ci si limita a
alcune anticipazioni su scala ridotta, come
l’introduzione dell’informatica e della lingua inglese
nei primi due anni della primaria – Sul tappeto i
problemi di sempre, a cominciare da una cronica penuria di
risorse
La scuola
italiana ha ripreso l’attività dispiegando una volta
ancora i grandi numeri della sua demografia: otto milioni e
mezzo di studenti, quasi novecentomila insegnanti, e i
numeri purtroppo assai ridotti dei suoi bilanci. Come al
solito il piatto piange, e le disponibilità finanziarie
degli istituti, che dovrebbero dare anima e vigore ai
progetti dell’autonomia, bastano a malapena per gestire
l’ordinaria amministrazione. La disastrosa condizione
delle finanze pubbliche penalizza particolarmente la scuola:
gli istituti attendono ancora trasferimenti per decine di
milioni di euro dal 2001 e dal 2002. I docenti, questa
categoria lacerata dalla contraddizione fra la cruciale
importanza del ruolo e la risibile gratificazione in termini
di prestigio sociale e trattamento economico, si sono
rimessi al lavoro con le frustrazioni di sempre, mentre nel
loro settore marginale continua, come titolano i giornali,
“il caos dei precari”. Gli uni e gli altri poi,
insegnanti di ruolo e precari, continuano a vivere una
condizione inedita nel mondo civile: devono in pratica
aggiornarsi a proprie spese. In agitazione anche i dirigenti
scolastici, alle prese con un contratto scaduto da quasi due
anni. Senza contare i problemi dell’edilizia: anche se si
registra qualche miglioramento ancora si lamenta la scarsa
sicurezza di molti, di troppi edifici scolastici,
soprattutto al Sud. Altre questioni irrisolte di particolare
gravità quelle che rendono la vita difficile a certi gruppi
minoritari dell’utenza scolastica, dai disabili non
adeguatamente assistiti agli stranieri afflitti
dall’handicap linguistico.
Di fronte alla
vastità di questi problemi si fa balenare una cifra
imponente: 8320 milioni di euro. È l’importo del piano
programmatico finanziario per la scuola varato per i cinque
anni compresi fra il 2004 e il 2008. È un bel mucchio di
soldi, anche se spalmato nel quinquennio, soprattutto in
considerazione del fatto che la politica della lesina
dettata dalle difficoltà di bilancio ha penalizzato
particolarmente proprio l’istruzione. Se il progetto sarà
perfezionato dalla conferenza unificata stato-regioni e
quindi definitivamente approvato dal governo, quella somma
sarà stanziata anno dopo anno attraverso i tradizionali
strumenti delle leggi finanziarie. Nel piano programmatico
si precisa che gli otto miliardi di euro serviranno per
finanziare la riforma, l’autonomia, le dotazioni
tecnologiche, le attività motorie, la valorizzazione e
l’aggiornamento dei docenti, l’orientamento,
l’educazione permanente, l’edilizia scolastica. Per
quanto accolto con molte speranze da chi considera
essenziali alcuni fra questi obiettivi, l’annuncio ha
suscitato anche qualche perplessità, sia perché manca
un’articolazione dei finanziamenti per ognuna delle loro
destinazioni, sia perché non è chiaro se si tratterà
interamente di risorse nuove o se in parte saranno coperte
da un riorientamento di risorse già destinate alla scuola.
Soltanto con
l’anno scolastico 2004-05, il prossimo, dovrebbe dunque
cominciare la graduale attuazione della riforma per il primo
ciclo, dalla scuola materna alla primaria fino alla
secondaria. Per ora partono, ma in via sperimentale e non
sistematica, alcune anticipazioni contenute nel progetto di
innovazione, in particolare si comincerà a introdurre nelle
prime due classi della primaria l’insegnamento
dell’informatica e quello della lingua inglese. La portata
dell’esperimento si preannuncia del resto episodica e
assai limitata. Dipende infatti dall’iniziativa dei
singoli istituti, che nell’ambito della loro autonomia
sono invitati dal ministero a lanciare due ore alla
settimana, una d’inglese e una d’informatica. Ma questo
presuppone, a parte la buona volontà, alcune condizioni
assai concrete: disponibilità di denaro, di computer, di
insegnanti. È un po’ come l’anticipo delle iscrizioni
(due anni e mezzo di età per la materna, cinque e mezzo per
la prima classe primaria), un’altra innovazione che si
voleva radicale e che le difficoltà attuative hanno
lasciato in pratica allo stadio sperimentale.
“Anno nuovo,
scuola vecchia”, titola un quotidiano sintetizzando così
il visibile contrasto fra le ambizioni di rinnovamento e i
problemi della concretizzazione. Problemi che non sono
soltanto organizzativi e finanziari, ma anche politici.
Continua infatti in margine al lento cammino della riforma
il grande dibattito su un’idea di scuola ben lontana
dall’essere convincente per tutti: c’è in proposito
l’auspicio che i ritardi possano permettere in sede di
strumenti attuativi qualche accomodamento sui punti più
controversi. Insomma da parte di chi critica la riforma si
esplora la possibilità di operazioni destinate a limitare i
danni, mentre le ristrettezze finanziarie delle scuole
pubbliche fanno risaltare per contrasto, riattizzando una
polemica ormai storica, la decisione governativa di
finanziare indirettamente la scuola privata, concedendo
sussidi alle famiglie che vi iscrivono i figli.
a.v.
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