FOGLIO LAPIS - OTTOBRE 2003

 
 

Otto milioni e mezzo di studenti di nuovo in classe con i loro 900 mila insegnanti - È ripartita la scuola italiana ma la graduale attuazione della riforma Moratti comincerà soltanto il prossimo anno – Per ora ci si limita a alcune anticipazioni su scala ridotta, come l’introduzione dell’informatica e della lingua inglese nei primi due anni della primaria – Sul tappeto i problemi di sempre, a cominciare da una cronica penuria di risorse

 

La scuola italiana ha ripreso l’attività dispiegando una volta ancora i grandi numeri della sua demografia: otto milioni e mezzo di studenti, quasi novecentomila insegnanti, e i numeri purtroppo assai ridotti dei suoi bilanci. Come al solito il piatto piange, e le disponibilità finanziarie degli istituti, che dovrebbero dare anima e vigore ai progetti dell’autonomia, bastano a malapena per gestire l’ordinaria amministrazione. La disastrosa condizione delle finanze pubbliche penalizza particolarmente la scuola: gli istituti attendono ancora trasferimenti per decine di milioni di euro dal 2001 e dal 2002. I docenti, questa categoria lacerata dalla contraddizione fra la cruciale importanza del ruolo e la risibile gratificazione in termini di prestigio sociale e trattamento economico, si sono rimessi al lavoro con le frustrazioni di sempre, mentre nel loro settore marginale continua, come titolano i giornali, “il caos dei precari”. Gli uni e gli altri poi, insegnanti di ruolo e precari, continuano a vivere una condizione inedita nel mondo civile: devono in pratica aggiornarsi a proprie spese. In agitazione anche i dirigenti scolastici, alle prese con un contratto scaduto da quasi due anni. Senza contare i problemi dell’edilizia: anche se si registra qualche miglioramento ancora si lamenta la scarsa sicurezza di molti, di troppi edifici scolastici, soprattutto al Sud. Altre questioni irrisolte di particolare gravità quelle che rendono la vita difficile a certi gruppi minoritari dell’utenza scolastica, dai disabili non adeguatamente assistiti agli stranieri afflitti dall’handicap linguistico.

Di fronte alla vastità di questi problemi si fa balenare una cifra imponente: 8320 milioni di euro. È l’importo del piano programmatico finanziario per la scuola varato per i cinque anni compresi fra il 2004 e il 2008. È un bel mucchio di soldi, anche se spalmato nel quinquennio, soprattutto in considerazione del fatto che la politica della lesina dettata dalle difficoltà di bilancio ha penalizzato particolarmente proprio l’istruzione. Se il progetto sarà perfezionato dalla conferenza unificata stato-regioni e quindi definitivamente approvato dal governo, quella somma sarà stanziata anno dopo anno attraverso i tradizionali strumenti delle leggi finanziarie. Nel piano programmatico si precisa che gli otto miliardi di euro serviranno per finanziare la riforma, l’autonomia, le dotazioni tecnologiche, le attività motorie, la valorizzazione e l’aggiornamento dei docenti, l’orientamento, l’educazione permanente, l’edilizia scolastica. Per quanto accolto con molte speranze da chi considera essenziali alcuni fra questi obiettivi, l’annuncio ha suscitato anche qualche perplessità, sia perché manca un’articolazione dei finanziamenti per ognuna delle loro destinazioni, sia perché non è chiaro se si tratterà interamente di risorse nuove o se in parte saranno coperte da un riorientamento di risorse già destinate alla scuola.

Soltanto con l’anno scolastico 2004-05, il prossimo, dovrebbe dunque cominciare la graduale attuazione della riforma per il primo ciclo, dalla scuola materna alla primaria fino alla secondaria. Per ora partono, ma in via sperimentale e non sistematica, alcune anticipazioni contenute nel progetto di innovazione, in particolare si comincerà a introdurre nelle prime due classi della primaria l’insegnamento dell’informatica e quello della lingua inglese. La portata dell’esperimento si preannuncia del resto episodica e assai limitata. Dipende infatti dall’iniziativa dei singoli istituti, che nell’ambito della loro autonomia sono invitati dal ministero a lanciare due ore alla settimana, una d’inglese e una d’informatica. Ma questo presuppone, a parte la buona volontà, alcune condizioni assai concrete: disponibilità di denaro, di computer, di insegnanti. È un po’ come l’anticipo delle iscrizioni (due anni e mezzo di età per la materna, cinque e mezzo per la prima classe primaria), un’altra innovazione che si voleva radicale e che le difficoltà attuative hanno lasciato in pratica allo stadio sperimentale.

Anno nuovo, scuola vecchia”, titola un quotidiano sintetizzando così il visibile contrasto fra le ambizioni di rinnovamento e i problemi della concretizzazione. Problemi che non sono soltanto organizzativi e finanziari, ma anche politici. Continua infatti in margine al lento cammino della riforma il grande dibattito su un’idea di scuola ben lontana dall’essere convincente per tutti: c’è in proposito l’auspicio che i ritardi possano permettere in sede di strumenti attuativi qualche accomodamento sui punti più controversi. Insomma da parte di chi critica la riforma si esplora la possibilità di operazioni destinate a limitare i danni, mentre le ristrettezze finanziarie delle scuole pubbliche fanno risaltare per contrasto, riattizzando una polemica ormai storica, la decisione governativa di finanziare indirettamente la scuola privata, concedendo sussidi alle famiglie che vi iscrivono i figli.

 

                                                                                a.v.

 

 

 

 

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