FOGLIO LAPIS - OTTOBRE 2002

 
 

Avviso per i naviganti: mai dare retta a un faro che potrebbe anche essere qualcos’altro, una trappola per esempio, fatta di scogli e predatori in agguato – Problema: abitare a San Francisco, insegnare a Monterey, non trasformarsi in tubi di scappamento – Come mai la spada della roccia è ancora lì, a fine giugno il sole pizzica come un granchio, e non conviene a nessuno svitare il doblone d’oro dall’albero maestro del Pequod – Un salvagente metaforico per le balene del Mediterraneo

 

Cannibal Caro,

     ti sei profferto come traduttore di questo nostro “Esodo e Controesodo”, e mi sembra giusto pensare a un terminale dove “congegnare la Fantastica” significhi praticamente assaporare le parole alla maniera dei Cannibali, come era in principio sotto il grande equatore, in quel clima invariabile che non conosce autunni.

Parleremo del “Pequod”, di balene, e di fari, perché questo modo di congegnare la Fantastica va vissuto insieme a bambini e ragazzi del polo scolastico di Ardenza e Antignano, non lontano da Livorno. Diciamo subito che “Ardenza” significa “lì c’è qualcosa che arde”, che “Antignano” ha il significato di stare “di fronte a qualcosa che arde”. Diciamo che questo “qualcosa” era un fuoco, un falso faro, che i Cannibali delle nostre coste accendevano nelle notti di tempesta per attirare qualche sventurato veliero e farlo naufragare. Loro si sarebbero arricchiti depredandolo. Poi quelli di Antignano avrebbero depredato quelli dell’Ardenza. E’ una storia “movimentale” che bambini e ragazzi del polo in cui stavo congegnando la Fantastica conoscono nei particolari. Quando me la raccontarono, proposi la lettura di “Moby Dick”, da cui arrivammo alla considerazione che le balene del Mediterraneo, che fanno la spola tra la Sardegna e Marsiglia, non sarebbero mai cadute nella trappola tesa da quelli di Ardenza ai velieri di passaggio… Ma, perché?

In questo modo si rimase due anni a parlare madre lingua inglese con la Nancy, che veniva da San Francisco, e insegnava là italiano in una scuola di Monterey. Nancy e suo marito Arlen partono tutte le mattine da San Francisco e, dopo due ore d’automobile, incolonnati in un’autostrada che ha dieci corsie di scorrimento, arrivano a Monterey. Nancy insegna italiano, Arlen è maestro in un istituto per disabili. Lui è ebreo, lei di origine irlandese. Nancy mi diceva che, tutti i giorni, era come fare esodo e controesodo. E mi diceva che lei e suo marito si sentivano ridotti a “tubi di scappamento”. In Italia, si sentiva più “in carne”. I paesi li chiamava “caseifici”, diceva che le piacevano perché parevano “nati dalla terra come una fioritura”. Lo scorso anno e questo, ha portato con sé Jeffy di otto anni e Corinne di cinque. Suo figlio e sua figlia, rispettivamente. I fine settimana, abbiamo fatto “esodo e controesodo” per la Toscana insieme. La volta che raggiungemmo, a San Galgano, la famosa “Spada della Roccia”, Jeffy mi chiese come mai la Spada era ancora lì quando lui aveva letto che Re Artù l’aveva tolta…

Perché tu capissi il significato di quel che avevi letto”, lo riprese Nancy.

L’esodo e controesodo più lungo fu fino a Napoli e Pompei. Erano gli ultimi giorni del mese di giugno di quest’anno. Cannibal Caro, segnati questa, perché è divertente. Dopo avere visitato Pompei, siamo a Napoli, al Museo Nazionale, nella grande sala dove c’è la Meridiana Astronomica, e c’è Atlante in “esodo” con la sfera celeste sulle spalle. Ecco qui Corinne ai piedi di Atlante:

 

 

Aspetto che arrivi mezzogiorno, quando il sole mette il suo occhio nel forellino alto nel soffitto e fa cadere sopra la meridiana un cerchietto luminoso all’inizio del Cancro sfiorando i Gemelli. Invito Jeffy e Corinne a dire quello che vedono loro. Corinne mette l’occhio fino a incontrare il sole nel forellino e dice “Ahi!… Il sole pizzica come un granchio!”.

Le dico: “Brava!… Infatti siamo entrati nella costellazione del Cancro… Hai assaggiato il sole come un cannibale assaggerebbe un uomo cotto dal sole!”.

Jeffy, nel frattempo, fa il gesto di staccare dalla meridiana il doblone d’oro che è comparso come inchiodato lì sopra l’albero maestro del Pequod, la famosa baleniera protagonista con Moby Dick, la balena, del romanzo di Melville. E ripete a memoria questo passo del romanzo: “E’ l’ombelico del bastimento, questo doblone qua, e tutti sono in fregola di schiodarlo. Ma se vi svitate l’ombelico, che succede?”… Questo è il problema odierno, Cannibal Caro. Sai tradurmelo in un’altra domanda?

Ecco la traduzione di Cannibal Caro:

 

     Mi sono messo in bocca
     un pìcciolo picciòlo di ciliegia
     e c’ho fatto un nodo
     come ho imparato a fare dal mio babbo
     da piccolo, facendo in modo
     di usare lingua denti bocca
     della mia pìcciola gabbia
     come un Cannibal Caro, che sono io.
     Io mi ricordo un nodo o è il nodo
     che mi ricorda il modo
     in cui l’avevo fatto in bocca da piccolo?
     O è la memoria di un bambino
     che s’imbocca in questo modo?

 

Giovan Battista Vico mi assicurò che solo così una parola diventa una “pìcciola metafora”. E le balene del Mediterraneo sono salve.

 

                                                Filippo Nibbi

                                

 

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