Avviso
per i naviganti: mai dare retta a un faro che potrebbe
anche essere qualcos’altro, una trappola per esempio,
fatta di scogli e predatori in agguato – Problema:
abitare a San Francisco, insegnare a Monterey, non
trasformarsi in tubi di scappamento – Come mai la spada
della roccia è ancora lì, a fine giugno il sole pizzica
come un granchio, e non conviene a nessuno svitare il
doblone d’oro dall’albero maestro del Pequod – Un
salvagente metaforico per le balene del Mediterraneo
Cannibal
Caro,
ti
sei profferto come traduttore di questo nostro “Esodo e
Controesodo”, e mi sembra giusto pensare a un terminale
dove “congegnare la Fantastica” significhi praticamente
assaporare le parole alla maniera dei Cannibali, come era in
principio sotto il grande equatore, in quel clima
invariabile che non conosce autunni.
Parleremo
del “Pequod”, di balene, e di fari, perché questo modo
di congegnare la Fantastica va vissuto insieme a bambini e
ragazzi del polo scolastico di Ardenza e Antignano, non
lontano da Livorno. Diciamo subito che “Ardenza”
significa “lì c’è qualcosa che arde”, che
“Antignano” ha il significato di stare “di fronte a
qualcosa che arde”. Diciamo che questo “qualcosa” era
un fuoco, un falso faro, che i Cannibali delle nostre coste
accendevano nelle notti di tempesta per attirare qualche
sventurato veliero e farlo naufragare. Loro si sarebbero
arricchiti depredandolo. Poi quelli di Antignano avrebbero
depredato quelli dell’Ardenza. E’ una storia
“movimentale” che bambini e ragazzi del polo in cui
stavo congegnando la Fantastica conoscono nei particolari.
Quando me la raccontarono, proposi la lettura di “Moby
Dick”, da cui arrivammo alla considerazione che le balene
del Mediterraneo, che fanno la spola tra la Sardegna e
Marsiglia, non sarebbero mai cadute nella trappola tesa da
quelli di Ardenza ai velieri di passaggio… Ma, perché?
In
questo modo si rimase due anni a parlare madre lingua
inglese con la Nancy, che veniva da San Francisco, e
insegnava là italiano in una scuola di Monterey. Nancy e
suo marito Arlen partono tutte le mattine da San Francisco
e, dopo due ore d’automobile, incolonnati in
un’autostrada che ha dieci corsie di scorrimento, arrivano
a Monterey. Nancy insegna italiano, Arlen è maestro in un
istituto per disabili. Lui è ebreo, lei di origine
irlandese. Nancy mi diceva che, tutti i giorni, era come
fare esodo e controesodo. E mi diceva che lei e suo marito
si sentivano ridotti a “tubi di scappamento”. In Italia,
si sentiva più “in carne”. I paesi li chiamava
“caseifici”, diceva che le piacevano perché parevano
“nati dalla terra come una fioritura”. Lo scorso anno e
questo, ha portato con sé Jeffy di otto anni e Corinne di
cinque. Suo figlio e sua figlia, rispettivamente. I fine
settimana, abbiamo fatto “esodo e controesodo” per la
Toscana insieme. La volta che raggiungemmo, a San Galgano,
la famosa “Spada della Roccia”, Jeffy mi chiese come mai
la Spada era ancora lì quando lui aveva letto che Re Artù
l’aveva tolta…
“Perché
tu capissi il significato di quel che avevi letto”, lo
riprese Nancy.
L’esodo
e controesodo più lungo fu fino a Napoli e Pompei. Erano
gli ultimi giorni del mese di giugno di quest’anno.
Cannibal Caro, segnati questa, perché è divertente. Dopo
avere visitato Pompei, siamo a Napoli, al Museo Nazionale,
nella grande sala dove c’è la Meridiana Astronomica, e
c’è Atlante in “esodo” con la sfera celeste sulle
spalle. Ecco qui Corinne ai piedi di Atlante:
Aspetto
che arrivi mezzogiorno, quando il sole mette il suo occhio
nel forellino alto nel soffitto e fa cadere sopra la
meridiana un cerchietto luminoso all’inizio del Cancro
sfiorando i Gemelli. Invito Jeffy e Corinne a dire quello
che vedono loro. Corinne mette l’occhio fino a incontrare
il sole nel forellino e dice “Ahi!… Il sole pizzica come
un granchio!”.
Le
dico: “Brava!… Infatti siamo entrati nella costellazione
del Cancro… Hai assaggiato il sole come un cannibale
assaggerebbe un uomo cotto dal sole!”.
Jeffy,
nel frattempo, fa il gesto di staccare dalla meridiana il
doblone d’oro che è comparso come inchiodato lì sopra
l’albero maestro del Pequod, la famosa baleniera
protagonista con Moby Dick, la balena, del romanzo di
Melville. E ripete a memoria questo passo del romanzo:
“E’ l’ombelico del bastimento, questo doblone qua, e
tutti sono in fregola di schiodarlo. Ma se vi svitate
l’ombelico, che succede?”… Questo è il problema
odierno, Cannibal Caro. Sai tradurmelo in un’altra domanda?
Ecco
la traduzione di Cannibal Caro:
-
Mi sono messo in bocca
-
un pìcciolo picciòlo di ciliegia
-
e c’ho fatto un nodo
-
come ho imparato a fare dal mio babbo
-
da piccolo, facendo in modo
-
di usare lingua denti bocca
-
della mia pìcciola gabbia
-
come un Cannibal Caro, che sono io.
-
Io mi ricordo un nodo o è il nodo
-
che mi ricorda il modo
-
in cui l’avevo fatto in bocca da piccolo?
-
O è la memoria di un bambino
-
che s’imbocca in questo modo?
Giovan
Battista Vico mi assicurò che solo così una parola diventa
una “pìcciola metafora”. E le balene del Mediterraneo
sono salve.
Filippo Nibbi
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