Riparte
il confronto parlamentare sulla riforma della scuola e
parte la sperimentazione in circa duecento
istituti-campione – Ma c’è uno sfondo di incertezza
che non sembra fatto per facilitare le cose – Le voci
insistenti sulle pesanti riduzioni degli organici sono
state smentite dal ministero dell’istruzione, ma non dal
tesoro – E per finire una disputa di cui non c’era
proprio bisogno, quella sul crocifisso nelle aule
scolastiche, e altrove
Il
nuovo anno scolastico è partito con il consueto calendario
differenziato: si è cominciato il 9 settembre in Piemonte
poi via via si sono mosse le altre regioni, fino alla
Sicilia che ha aperto le lezioni l’ultimo giorno del mese.
Da ottobre tutti a scuola dunque, mentre in un parlamento
diviso fra posizioni inconciliabili riprendeva la
discussione sul disegno di legge delega che contiene la
controversa riforma Moratti. Intanto, fra silenzi e
smentite, una ridda di voci sui limiti di spesa contribuiva
a turbare l’atmosfera. Si parlava per esempio di una
correzione all’insù del rapporto medio fra alunni e
classi, solo un ragazzo in più: un tocco di bacchetta
magica che avrebbe permesso di eliminare alcune migliaia di
classi, riducendo di alcune decine di migliaia il fabbisogno
di docenti, e di alcune centinaia di milioni di euro i
bilanci pubblici. E’ arrivata puntuale la smentita del
ministero dell’istruzione, ma certo sarebbe stata più
rassicurante, per la folla dei docenti in cerca di cattedra,
quella del ministero del tesoro.
E’
fuori discussione che i
vincoli di bilancio non si possono ignorare, in questa
stagione di congiuntura stagnante, entrate in calo e
finanziarie severe: ma quello che si vorrebbe capire è
quale ordine di priorità venga assegnato alla scuola
pubblica. Il fatto che questo aggettivo, pubblica, sia
scomparso dall’insegna del ministero dell’istruzione, e
l’evidente predilezione che l’attuale maggioranza di
governo manifesta per l’istruzione privata, fanno infatti
temere che la scuola pubblica dovrà subire in prima persona
le conseguenze di una politica della lesina. Dall’alto
della sua autorevolezza istituzionale, il presidente della
repubblica ha messo implicitamente in guardia contro una
simile tentazione. La scuola pubblica, ha detto Carlo
Azeglio Ciampi inaugurando la ripresa delle lezioni con un
discorso al Vittoriano di Roma, è al centro del nostro
ordinamento educativo. Insomma se il piatto piange si cerchi
di tagliare spese meno essenziali: questo, se è consentita
l’interpretazione, il messaggio presidenziale.
C’è
incertezza anche sul via alla sperimentazione che viene
attuata in circa duecento istituti, un campione che
corrisponde al tre per cento del totale: incertezza che si
riferisce da un lato all’ammontare dei fondi disponibili,
dall’altro alle direttive di attuazione. Dei quattro punti
che caratterizzano il progetto - maestro prevalente al posto
dell’attuale struttura modulare, iscrizioni anticipate,
insegnamento dell’inglese fin dalla prima elementare, uso
del computer - almeno gli ultimi tre richiedono risorse
finanziarie aggiuntive. Tutti e quattro necessitano inoltre
di una chiara impostazione metodologica. Altrimenti, come ha
fatto notare un sindacalista, si tratta non di una
sperimentazione capace di fornire elementi utili per
valutare il progetto di riforma, ma di pura e semplice
improvvisazione.
A
inquinare ancor più l’atmosfera, in questa inquieta
ripresa autunnale, è intervenuta una polemica della quale
proprio non si avvertiva il bisogno. Rifacendosi a una
vecchia norma, che da qualche tempo in molti istituti è
caduta in desuetudine, Letizia Moratti ha annunciato misure
per garantire la presenza del crocifisso nelle aule
scolastiche. Subito è divampata la polemica, anche perché
la dichiarazione del ministro si affiancava alla proposta di
legge che in quegli stessi giorni era stata presentata da un
gruppo di deputati, volta a imporre la presenza del simbolo
cristiano in tutti gli uffici pubblici: stazioni, carceri,
ospedali e così via. Una guerra di religione? No di certo,
e non a caso la reazione delle autorità ecclesiastiche alle
due iniziative è stata piuttosto tiepida. Nella proposta
parlamentare era facile del resto leggere in controluce la
sua vera motivazione: si voleva sottolineare un elemento
dell’identità nazionale in polemica con la sempre più
forte presenza straniera. Si voleva agitare il crocifisso
contro i cosiddetti “invasori”, clandestini o meno: e
questo nel momento stesso in cui entravano in vigore le
nuove norme restrittive sull’immigrazione.
Ha poca
importanza, per questi crociati dell’intolleranza così
sensibili alle sirene della xenofobia, la semplice
constatazione che la nostra è una costituzione laica, che
garantisce cioè la libertà religiosa ma non prevede una
religione di stato. Che dunque alla luce della legge
fondamentale della repubblica non è lecito imporre, in
particolare nella prospettiva di una società sempre più
accentuatamente interculturale e perciò necessariamente
multireligiosa, il simbolo di una fede, per quanto
prevalente e indissolubilmente legata alla nostra tradizione
storica e culturale. Il meno che si possa dire è che si
tratta di iniziative inopportune, anche volendo ignorare
altre argomentazioni di principio. Per esempio che è
inaccettabile fare del crocifisso un’arma politica, e che
un simbolo di quel significato e di quel valore non può
essere trasformato per decreto in un arredo polemico e
provocatorio.
a. v.
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