FOGLIO LAPIS - OTTOBRE 2002

 
 

Riparte il confronto parlamentare sulla riforma della scuola e parte la sperimentazione in circa duecento istituti-campione – Ma c’è uno sfondo di incertezza che non sembra fatto per facilitare le cose – Le voci insistenti sulle pesanti riduzioni degli organici sono state smentite dal ministero dell’istruzione, ma non dal tesoro – E per finire una disputa di cui non c’era proprio bisogno, quella sul crocifisso nelle aule scolastiche, e altrove

 

Il nuovo anno scolastico è partito con il consueto calendario differenziato: si è cominciato il 9 settembre in Piemonte poi via via si sono mosse le altre regioni, fino alla Sicilia che ha aperto le lezioni l’ultimo giorno del mese. Da ottobre tutti a scuola dunque, mentre in un parlamento diviso fra posizioni inconciliabili riprendeva la discussione sul disegno di legge delega che contiene la controversa riforma Moratti. Intanto, fra silenzi e smentite, una ridda di voci sui limiti di spesa contribuiva a turbare l’atmosfera. Si parlava per esempio di una correzione all’insù del rapporto medio fra alunni e classi, solo un ragazzo in più: un tocco di bacchetta magica che avrebbe permesso di eliminare alcune migliaia di classi, riducendo di alcune decine di migliaia il fabbisogno di docenti, e di alcune centinaia di milioni di euro i bilanci pubblici. E’ arrivata puntuale la smentita del ministero dell’istruzione, ma certo sarebbe stata più rassicurante, per la folla dei docenti in cerca di cattedra, quella del ministero del tesoro.

E’ fuori discussione che  i vincoli di bilancio non si possono ignorare, in questa stagione di congiuntura stagnante, entrate in calo e finanziarie severe: ma quello che si vorrebbe capire è quale ordine di priorità venga assegnato alla scuola pubblica. Il fatto che questo aggettivo, pubblica, sia scomparso dall’insegna del ministero dell’istruzione, e l’evidente predilezione che l’attuale maggioranza di governo manifesta per l’istruzione privata, fanno infatti temere che la scuola pubblica dovrà subire in prima persona le conseguenze di una politica della lesina. Dall’alto della sua autorevolezza istituzionale, il presidente della repubblica ha messo implicitamente in guardia contro una simile tentazione. La scuola pubblica, ha detto Carlo Azeglio Ciampi inaugurando la ripresa delle lezioni con un discorso al Vittoriano di Roma, è al centro del nostro ordinamento educativo. Insomma se il piatto piange si cerchi di tagliare spese meno essenziali: questo, se è consentita l’interpretazione, il messaggio presidenziale.

C’è incertezza anche sul via alla sperimentazione che viene attuata in circa duecento istituti, un campione che corrisponde al tre per cento del totale: incertezza che si riferisce da un lato all’ammontare dei fondi disponibili, dall’altro alle direttive di attuazione. Dei quattro punti che caratterizzano il progetto - maestro prevalente al posto dell’attuale struttura modulare, iscrizioni anticipate, insegnamento dell’inglese fin dalla prima elementare, uso del computer - almeno gli ultimi tre richiedono risorse finanziarie aggiuntive. Tutti e quattro necessitano inoltre di una chiara impostazione metodologica. Altrimenti, come ha fatto notare un sindacalista, si tratta non di una sperimentazione capace di fornire elementi utili per valutare il progetto di riforma, ma di pura e semplice improvvisazione.

A inquinare ancor più l’atmosfera, in questa inquieta ripresa autunnale, è intervenuta una polemica della quale proprio non si avvertiva il bisogno. Rifacendosi a una vecchia norma, che da qualche tempo in molti istituti è caduta in desuetudine, Letizia Moratti ha annunciato misure per garantire la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. Subito è divampata la polemica, anche perché la dichiarazione del ministro si affiancava alla proposta di legge che in quegli stessi giorni era stata presentata da un gruppo di deputati, volta a imporre la presenza del simbolo cristiano in tutti gli uffici pubblici: stazioni, carceri, ospedali e così via. Una guerra di religione? No di certo, e non a caso la reazione delle autorità ecclesiastiche alle due iniziative è stata piuttosto tiepida. Nella proposta parlamentare era facile del resto leggere in controluce la sua vera motivazione: si voleva sottolineare un elemento dell’identità nazionale in polemica con la sempre più forte presenza straniera. Si voleva agitare il crocifisso contro i cosiddetti “invasori”, clandestini o meno: e questo nel momento stesso in cui entravano in vigore le nuove norme restrittive sull’immigrazione.

Ha poca importanza, per questi crociati dell’intolleranza così sensibili alle sirene della xenofobia, la semplice constatazione che la nostra è una costituzione laica, che garantisce cioè la libertà religiosa ma non prevede una religione di stato. Che dunque alla luce della legge fondamentale della repubblica non è lecito imporre, in particolare nella prospettiva di una società sempre più accentuatamente interculturale e perciò necessariamente multireligiosa, il simbolo di una fede, per quanto prevalente e indissolubilmente legata alla nostra tradizione storica e culturale. Il meno che si possa dire è che si tratta di iniziative inopportune, anche volendo ignorare altre argomentazioni di principio. Per esempio che è inaccettabile fare del crocifisso un’arma politica, e che un simbolo di quel significato e di quel valore non può essere trasformato per decreto in un arredo polemico e provocatorio.

                                a. v.

 

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