FOGLIO LAPIS - MAGGIO 2002

 
 

Un programma della Banca Mondiale per aggredire una delle piaghe del nostro tempo: quei 125 milioni di bambini ai quali è ancora negata, nonostante i progressi registrati negli ultimi decenni, la stessa istruzione di base –  Per raggiungere in tredici anni l’obiettivo EFA (Education For All: istruzione per tutti) è necessario uno sforzo finanziario mondiale – L’annuncio a Washington il 21 aprile: ma sulla stampa europea è stato quasi ignorato

 

Sui giornali di lunedì 22 aprile, almeno sui quattro o cinque che sfogliamo abitualmente e sui molti altri che consultiamo in rete, quella notizia l’abbiamo cercata invano. Tutta presa dall’attualità politica internazionale e dalle solite risse nazionali, la stampa italiana aveva praticamente ignorato un annuncio che il giorno prima era stato dato a Washington: sicuramente più importante di almeno il novanta per cento delle notizie pubblicate quel lunedì, se non la più importante in assoluto. Né del resto quell’annuncio ha occupato grandi spazi sulla stampa straniera di cui abbiamo frugato alcune edizioni online. Il presidente della Banca Mondiale, l’australiano James Wolfensohn, aveva presentato un piano complesso quanto ambizioso: realizzare entro il 2015 l’obiettivo EFA: Education For All, istruzione per tutti. Quanto un simile programma sia complesso e ambizioso è implicito in una cifra: ci sono nel mondo 125 milioni di bambini per i quali la scuola, si badi, la stessa scuola di base, l’insegnamento primario, insomma la pura e semplice alfabetizzazione, non è che un’astrazione, un miraggio.

La Banca Mondiale, organizzazione internazionale che si articola in una Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, in una Associazione internazionale per lo sviluppo e in una Corporazione finanziaria internazionale, ha il compito statutario di finanziare progetti nei paesi in via di sviluppo, attraverso la concessione di prestiti alimentati sia dal proprio bilancio, sia da capitali rastrellati sul mercato. Assieme al Fondo monetario internazionale, che ha ugualmente sede a Washington e si occupa di stabilizzazione finanziaria concedendo prestiti a paesi che abbiano i bilanci in deficit, la Banca è stata non di rado criticata, soprattutto dai movimenti no global o new global che dir si voglia, per le condizioni politiche e finanziarie cui a volte vengono vincolati i finanziamenti. Stavolta il piano annunciato da Wolfensohn è stato invece accolto dai gruppi che nel mondo si occupano di problemi dello sviluppo. Si tratta, ha commentato un portavoce delle organizzazioni non governative impegnate nella campagna per l’istruzione planetaria, della “migliore opportunità nella presente generazione di mandare a scuola tutti i bambini del mondo”.

Di fronte all’enormità del problema, l’obiettivo si limita realisticamente a una istruzione di base: per trarre benefici reali, sia pure modesti, i bambini hanno bisogno di un minimo di cinque o sei anni di scuola. I ricercatori ai quali la Banca Mondiale si è rivolta per fondare scientificamente la sua iniziativa hanno spostato l’ottica dalla semplice frequenza scolastica a un parametro più alto: il completamento dell’istruzione elementare. Questo ha portato ovviamente a un apparente peggioramento statistico del fenomeno: se erano 32 i paesi lontani dall’EFA considerando il vecchio parametro, in riferimento al nuovo sono diventati 88. Inutile specificare: si tratta dell’immenso desolato Sud del pianeta, dove più o meno gravi carenze scolastiche sono parte di una condizione generalizzata di degrado.

Fra quegli 88 paesi, stimano gli esperti della Banca, ce n’è una sessantina nei quali l’obiettivo EFA appare raggiungibile: se solo vi saranno applicate corrette politiche dell’istruzione, con l’appoggio finanziario della comunità internazionale. Più difficile il discorso nell’altra trentina di paesi, i più poveri, i più lontani dalla meta. Per centrare la piena scolarizzazione, quei paesi dovrebbero registrare tassi di crescita eccezionali. Qui gli specialisti interpellati da Wolfensohn si lasciano andare a un discreto ottimismo: per quanto estremamente ardui, quei traguardi secondo loro non sono fuori portata. Per raggiungerli, o almeno per avvicinarli, servono soluzioni creative, molte risorse per affrontare la povertà, il massiccio ricorso alle tecnologie informatiche.

In 47 paesi in via di sviluppo, oggetto di uno studio approfondito, la condizione per raggiungere la scuola per tutti è un aumento graduale degli stanziamenti specifici superiore al cento per cento: la spesa media annuale dovrebbe infatti passare dai 7,4 miliardi di dollari ai 16,4 nel 2015. Chiaro che un simile incremento di risorse non può essere alimentato soltanto dall’interno dei singoli paesi, e che occorre dunque un massiccio sforzo finanziario della comunità internazionale. Ma non c’è dubbio che ne vale la pena, avverte Josef Ritzen, il vicepresidente della Banca Mondiale che coordina il settore dello sviluppo umano.

Ritzen, che fu ministro dell’istruzione nel governo olandese, fa notare infatti che “una delle armi più potenti contro la povertà è un’istruzione di qualità per tutti i bambini”. La realizzazione del diritto alla scuola, uno dei cardini della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è infatti non soltanto un dovere morale in sé, ma anche il modo di aiutare i paesi meno fortunati a realizzare le proprie potenzialità di sviluppo economico, a farsi largo nel mercato planetario. Insomma mandiamoli a scuola quei 125 milioni di bambini e il mondo sarà più giusto, più equilibrato, meno soggetto ai tumultuosi contraccolpi delle migrazioni per fame. Si accorgano almeno di questo, quei giornali europei che sono così sensibili al problema dei clandestini stranieri.

 

 

a.v.

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