Un
programma della Banca Mondiale per aggredire una delle
piaghe del nostro tempo: quei 125 milioni di bambini ai
quali è ancora negata, nonostante i progressi registrati
negli ultimi decenni, la stessa istruzione di base –
Per raggiungere in tredici anni l’obiettivo EFA (Education
For All: istruzione per tutti) è necessario uno sforzo
finanziario mondiale – L’annuncio a Washington il 21
aprile: ma sulla stampa europea è stato quasi ignorato
Sui
giornali di lunedì 22 aprile, almeno sui quattro o cinque
che sfogliamo abitualmente e sui molti altri che consultiamo
in rete, quella notizia l’abbiamo cercata invano. Tutta
presa dall’attualità politica internazionale e dalle
solite risse nazionali, la stampa italiana aveva
praticamente ignorato un annuncio che il giorno prima era
stato dato a Washington: sicuramente più importante di
almeno il novanta per cento delle notizie pubblicate quel
lunedì, se non la più importante in assoluto. Né del
resto quell’annuncio ha occupato grandi spazi sulla stampa
straniera di cui abbiamo frugato alcune edizioni online. Il
presidente della Banca Mondiale, l’australiano James
Wolfensohn, aveva presentato un piano complesso quanto
ambizioso: realizzare entro il 2015 l’obiettivo EFA:
Education For All, istruzione per tutti. Quanto un simile
programma sia complesso e ambizioso è implicito in una
cifra: ci sono nel mondo 125 milioni di bambini per i quali
la scuola, si badi, la stessa scuola di base,
l’insegnamento primario, insomma la pura e semplice
alfabetizzazione, non è che un’astrazione, un miraggio.
La
Banca Mondiale, organizzazione internazionale che si
articola in una Banca internazionale per la ricostruzione e
lo sviluppo, in una Associazione internazionale per lo
sviluppo e in una Corporazione finanziaria internazionale,
ha il compito statutario di finanziare progetti nei paesi in
via di sviluppo, attraverso la concessione di prestiti
alimentati sia dal proprio bilancio, sia da capitali
rastrellati sul mercato. Assieme al Fondo monetario
internazionale, che ha ugualmente sede a Washington e si
occupa di stabilizzazione finanziaria concedendo prestiti a
paesi che abbiano i bilanci in deficit, la Banca è stata
non di rado criticata, soprattutto dai movimenti no global
o new global che dir si voglia, per le
condizioni politiche e finanziarie cui a volte vengono
vincolati i finanziamenti. Stavolta il piano annunciato da
Wolfensohn è stato invece accolto dai gruppi che nel mondo
si occupano di problemi dello sviluppo. Si tratta, ha
commentato un portavoce delle organizzazioni non governative
impegnate nella campagna per l’istruzione planetaria,
della “migliore opportunità nella presente generazione di
mandare a scuola tutti i bambini del mondo”.
Di
fronte all’enormità del problema, l’obiettivo si limita
realisticamente a una istruzione di base: per trarre
benefici reali, sia pure modesti, i bambini hanno bisogno di
un minimo di cinque o sei anni di scuola. I ricercatori ai
quali la Banca Mondiale si è rivolta per fondare
scientificamente la sua iniziativa hanno spostato l’ottica
dalla semplice frequenza scolastica a un parametro più
alto: il completamento dell’istruzione elementare. Questo
ha portato ovviamente a un apparente peggioramento
statistico del fenomeno: se erano 32 i paesi lontani dall’EFA
considerando il vecchio parametro, in riferimento al nuovo
sono diventati 88. Inutile specificare: si tratta
dell’immenso desolato Sud del pianeta, dove più o meno
gravi carenze scolastiche sono parte di una condizione
generalizzata di degrado.
Fra
quegli 88 paesi, stimano gli esperti della Banca, ce n’è
una sessantina nei quali l’obiettivo EFA appare
raggiungibile: se solo vi saranno applicate corrette
politiche dell’istruzione, con l’appoggio finanziario
della comunità internazionale. Più difficile il discorso
nell’altra trentina di paesi, i più poveri, i più
lontani dalla meta. Per centrare la piena scolarizzazione,
quei paesi dovrebbero registrare tassi di crescita
eccezionali. Qui gli specialisti interpellati da Wolfensohn
si lasciano andare a un discreto ottimismo: per quanto
estremamente ardui, quei traguardi secondo loro non sono
fuori portata. Per raggiungerli, o almeno per avvicinarli,
servono soluzioni creative, molte risorse per affrontare la
povertà, il massiccio ricorso alle tecnologie informatiche.
In
47 paesi in via di sviluppo, oggetto di uno studio
approfondito, la condizione per raggiungere la scuola per
tutti è un aumento graduale degli stanziamenti specifici
superiore al cento per cento: la spesa media annuale
dovrebbe infatti passare dai 7,4 miliardi di dollari ai 16,4
nel 2015. Chiaro che un simile incremento di risorse non può
essere alimentato soltanto dall’interno dei singoli paesi,
e che occorre dunque un massiccio sforzo finanziario della
comunità internazionale. Ma non c’è dubbio che ne vale
la pena, avverte Josef Ritzen, il vicepresidente della Banca
Mondiale che coordina il settore dello sviluppo umano.
Ritzen,
che fu ministro dell’istruzione nel governo olandese, fa
notare infatti che “una delle armi più potenti contro la
povertà è un’istruzione di qualità per tutti i
bambini”. La realizzazione del diritto alla scuola, uno
dei cardini della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, è infatti non soltanto un dovere morale in sé,
ma anche il modo di aiutare i paesi meno fortunati a
realizzare le proprie potenzialità di sviluppo economico, a
farsi largo nel mercato planetario. Insomma mandiamoli a
scuola quei 125 milioni di bambini e il mondo sarà più
giusto, più equilibrato, meno soggetto ai tumultuosi
contraccolpi delle migrazioni per fame. Si accorgano almeno
di questo, quei giornali europei che sono così sensibili al
problema dei clandestini stranieri.
a.v.
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