Un sasso nello stagno Un anno fa usciva il
numero inaugurale di questo periodico: è dunque il caso di
tentare un primo bilancio – Nonostante le difficoltà, e qualche
chiusura, abbiamo fatto un bel po’ di strada – In particolare
siamo riusciti ad avviare una sinergia d’intenti anche con chi
non è strettamente coinvolto con le problematiche educative – E
proprio nei giorni scorsi è scattata una nostra iniziativa,
appoggiata da altre organizzazioni e resa possibile dalla
generosità popolare, a favore dei piccoli profughi del Kosovo Cari lettori, è
passato esattamente un anno dal primo numero del Foglio Lapis. Il
nostro fogliettino abbiamo cercato di farlo arrivare su tutti i
tavoli giusti in Italia affinché chi ne ha la possibilità si
adoperi per cambiare in meglio le cose della scuola. Ne abbiamo
fatta di strada insieme, anche proprio nel senso materiale dei
chilometri e dei tanti amici sostenitori che si sono aggregati e
hanno percorso con noi quelle parti del territorio italiano
maggiormente colpite dal preoccupante fenomeno dell’evasione dalla
scuola dell’obbligo di tanti, ancora troppi bambini. Siamo
soddisfatti di essere riusciti a realizzare il nostro progetto,
quello cioè di creare una sinergia a livello nazionale tra quanti
anche al di fuori dell’ambito strettamente scolastico hanno a
cuore questo gravissimo problema. Nelle nostre intenzioni ci siamo
ben guardati dal farci portatori di… ricette, ma anche abbiamo
gridato allo scandalo senza cercare di individuare le cause e le
possibili soluzioni applicabili. Nel nostro Foglio Lapis abbiamo
dato voce agli esperti, a quelle persone cioè che in materia di
disagio scolastico e devianza giovanile hanno esperienze specifiche
accumulate in anni di esperienza lavorativa. Fin dall’inizio
abbiamo sinceramente sperato che grazie anche alla nostra opera,
un’organizzazione come la nostra in futuro non abbia più ragione
di esistere. Perché la scuola di base bisognerebbe arrivare
a farla frequentare da tutti i bambini, così come è
doveroso assicurare loro il diritto alla vita e al nutrimento.
Durante questo anno a volte non è stato facile, invece, il rapporto
con certe burocrazie competenti in materia di minori a rischio e di
disagio scolastico, mentre alcune promesse di collaborazione che ci
furono fatte all’inizio non sono state mantenute. Speriamo che lo
siano nel prossimo futuro, ora che ci siamo fatti le ossa e non si
può più semplicemente liquidare la nostra organizzazione, così
spartana e così scollegata dai tradizionali circuiti politici, come
una fastidiosa spina nel fianco per gli addetti ai lavori. Per
quanto ci riguarda, non cesseremo mai di sottolineare l’urgenza di
un impegno totale delle autorità competenti al fine di garantire
l’applicazione della norma costituzionale che assicura
l’istruzione di base a tutti. Abbiamo in progetto di occuparci
seriamente dell’handicap come causa di mancata o imperfetta
scolarizzazione. Riteniamo doveroso non demandare esclusivamente
alle organizzazioni composte per lo più dai genitori dei bambini
colpiti il compito di porre l’accento su questo particolare
aspetto. Una società civile si riconosce anche dalle strutture e
dall’apparato organizzativo che mette a disposizione dei disabili.
L’emergenza della guerra balcanica ci ha dato lo spunto per
occuparci dei piccoli profughi ospiti del nostro Paese. In
collaborazione con un’altra organizzazione nazionale,
l’Associazione Centro per lo sviluppo creativo “Danilo Dolci”,
e altre locali come l’ARCI Ragazzi di Arezzo o gli scouts di
Lecce, abbiamo allestito una ludoteca e assicurato una presenza di
volontari animatori provenienti da tutta Italia nel campo profughi
Lorizzonte di Squinzano, nei pressi di Lecce. L’immagine che
vedete in questa pagina, quella bambina con la sua bambola destinata
a farle dimenticare la guerra, vi mostra proprio una delle sale
della ludoteca, piena dei giocattoli e dei materiali didattici e da
disegno donati dai cittadini di Arezzo. Il nostro bilancio di un
anno sarebbe incompleto se non ricordassimo l’intesa raggiunta con
le autorità del ministero della Difesa, che ci ha permesso di
lanciare una indagine conoscitiva sull’esperienza scolastica dei
giovani richiamati alla leva in alcune province del Sud, o la
preziosa ospitalità che ci è stata offerta su una importante
pubblicazione, “Dalla lira all’euro”, del ministero del Tesoro
e Bilancio. Ci preme anche accennare ai contatti che speriamo
proficui avviati, d’intesa con il Centro “Danilo Dolci”, con
il mondo imprenditoriale a proposito di un altro progetto, sul quale
contiamo di informarvi diffusamente non appena se ne sarà
consolidata l’attuazione, a favore dei ragazzi in una delle zone
più a rischio d’Italia. Tutto questo ci conforta, perché
dimostra che siamo riusciti a realizzare quell’impegno sinergico
con l’intero tessuto sociale cge cercavamo, ma soprattutto perché
dimostra che questo nostro primo anno di Foglio Lapis non è stato
vano.
Marilena Farruggia Venturi Il
sorriso del piccolo profugo Sono bambini, si sono
lasciati alle spalle la guerra e hanno bisogno di giocare –
Lanciata nel campo d’accoglienza Lorizzonte in Puglia
l’iniziativa della Lapis e del Centro per lo sviluppo creativo D.
Dolci – Una ludoteca e un programma di animazioni – Come i
ragazzi dell’ARCI di Arezzo hanno trasformato tre stanze nel paese
dei balocchi Sembrerà strano, ma il 4 maggio ho visto al
campo profughi Lorizzonte di Squinzano, in provincia di Lecce,
bambini kosovari pieni di gioia: infatti, per iniziativa della Lapis
e dell’Associazione per lo sviluppo creativo Danilo Dolci, si è
aperta una ludoteca messa insieme con il materiale che i cittadini
di Arezzo hanno generosamente donato. Il 25 aprile alcuni ragazzi,
volontari dell’ARCI Arezzo, accompagnati da Marilena Farruggia
Venturi presidente della Lapis, hanno portato giochi, pannelli
disegnati, travestimenti, quaderni, matite e materiale didattico di
vario genere, e hanno allestito una ludoteca così bella che farebbe
invidia ad alcune delle scuole italiane. La Lapis raccoglie
volontari da tutte le parti d’Italia (possono mettersi in contatto
anche tramite il sito Internet dell’associazione, che è riportato
sotto la testata di questo periodico) e li organizza in gruppi di
cinque persone. Il primo gruppo, composto da Francesco, Piero,
Annalisa, Luca e Alessandro, ha avuto l’incarico
dell’inaugurazione, che è avvenuta lunedì 4 maggio; il primo
incontro degli animatori con i bambini c’è la mattina,
all’aperto perché meglio ci si affiati tra sé: un piccolo corteo
musicale richiama l’attenzione nel cortile interno del campo, con
l’esecuzione di melodie improvvisate. Alcuni animatori ballano con
i bambini al suono del flauto, del djambé e dei sonagli; gli
strumenti passano dagli animatori ai profughi, anche quelli più
grandi. Poi si passa ai giochi, improvvisati anche questi, per
permettere di esprimersi liberamente in maniera creativa: i bambini
sono letteralmente entusiasti. Tutto il campo può partecipare della
gioia dei piccoli: è nato un teatro, con i profughi affacciati alle
finestre e alle terrazze ad osservare, e in mezzo lo spettacolo dei
bambini. Alla fine della mattinata risulta difficile per gli
animatori interrompere i giochi: i bambini li seguono, li baciano,
gli saltano addosso, gli stringono la mano, semplicemente li
toccano. Nel pomeriggio, alle 15 si aprono le tre sale della
ludoteca: già i bambini fanno la fila all’entrata, ma
l’inaugurazione è una grossa sorpresa per tutte le oltre
cinquecento persone che sono attualmente ospitate nel campo. Tra i
bambini, i primi a entrare girano per le stanze piano piano, la
bocca che si spalanca, gli occhi grande per lo stupore, increduli i
più grandicelli: a poco a poco le stanze si riempiono, alcuni
genitori accompagnano i più piccoli, bambini di tutte le età
frullano da una stanza all’altra; una è dedicata ai più piccoli,
vi sono raggruppati tutti i giochi più semplici; in terra c’è un
grande strato di linoleum disegnato, dove i bambini possono stare
senza sporcarsi: un’altra stanza è stata attrezzata come teatrino
per le marionette, ci sono le seggioline da bambini, un separé per
i travestimenti (ho visto uscire dalla ludoteca, accompagnata forse
dalla mamma, tutta eccitata, una bambina con un vestito rosa da
ballerina: voleva farsi vedere dagli
altri e farsi fare una foto); poi scaffali con bambole,
macchine giocattolo, costruzioni. Una radio diffonde musica allegra,
qualcuno balla, qualcuno ti propone di giocare con lui. Dice Genz,
13 anni, uno dei pochissimi ragazzi (tre) che parlano italiano:
“E’ bello che ci sia la ludoteca con gli animatori, al campo è
facile annoiarsi”; sta quasi tutto il pomeriggio con una parrucca
da capellone, occhiali colorati e una finta chitarra, facendo finta
di essere un famoso cantante albanese al quale dice di assomigliare.
La terza sala è attrezzata per disegnare, con i tavolini, la
cancelleria; ai bambini si propone di fare un disegno, scriverci il
proprio nome e attaccarlo alle pareti; alla fine tra i disegni di
case, alberi, fiori, montagne, uccelli, ce n’è qualcuno segnato
dalla guerra: si legge UCK, Ibrahim Rugosa e le firme dei bambini;
Genz disegna la cartina geografica del sud dell’Adriatico: da una
parte la Puglia, dall’altra i Balcani e in corrispondenza del
Kosovo un volto: dice che quello è Gesù. Durante la conferenza
stampa convocata per l’inaugurazione Annalisa e Piero sono
soddisfatti: “Si tratta – dice Piero – di un’esperienza
particolare, sotto molti punti di vista: per un verso, per noi
animatori è un’esperienza nuova e motivante quella di avere a che
fare con bambini che non parlano la nostra lingua, si è
“costretti” a cercare livelli di comunicazione molto profondi,
ad usare diversi linguaggi: inoltre è straordinaria la carica
affettiva che portano questi bambini: in così poco tempo si è
formata unità tra noi e loro, anche a noi risulta difficile
lasciarli la sera; non vorrei lasciarli mai”. Annalisa,
rappresentante dell’associazione Diesis Teatrango, a Squinzano con
la Lapis: “Stiamo pensando a come organizzare la ludoteca,
probabilmente faremo dei turni: per i bambini è importante anche
giocare all’aperto, quella di stamattina è stata un’esperienza
straordinaria per tutti, anche per noi volontari”. Nelle sale
della ludoteca frequenti sono gli incontri con gli sguardi
riconoscenti dei genitori, qualcuno ti stringe la mano; la chiusura
è alle 17,30, l’ora della cena per i bambini, e siamo alle
solite: non vogliono uscire, i genitori devono insistere. E’ un
gran lavoro rimettere tutto a posto, ci vogliono ore; ma nel
frattempo, di tanto in tanto, bambini suonano alla porta: Francesco
gioca ancora nei corridoi con loro; tra le stanze dove sono i letti;
le otto sono passate, i bambini dovrebbero essere a dormire, per
gioco Francesco fa la ninnananna a un grosso peluche, con i piccoli
che ridono contenti tutti intorno; poi Piero ha un’idea: li fa
entrare, sono una quindicina, nella sala antistante la ludoteca, li
fa sedere tutti in terra e gli fa fare la ninnananna l’uno
all’altro; è un momento molto bello: a un certo punto Luca si
distende con un bambino che gli fa la ninnananna, tutti gli altri
gli fanno la ninnananna, scherzano, lo toccano, lo chiamano. I volti
dei bambini sono raggianti, ora sono sereni, e quando alcuni
genitori vengono a prenderli (ancora una volta sorpresi di quanto
vedono) li seguono senza piangere: ci si saluta, ci si dà
appuntamento al giorno dopo. Enrico, volontario di Biella, da quasi
due mesi con i profughi, e Marco, obiettore di coscienza che opera
nel campo, sono contenti dell’iniziativa: “E’ importante
pensare ai bambini, che per loro la situazione sia il meno pesante
possibile, c’è bisogno di volontari che pensino continuamente ai
piccoli”. La presidente Marilena Farruggia Venturi: “Ora che la
ludoteca è operativa, il passo successivo della Lapis sarà quello
di integrare le attività degli operatori che vengono da fuori con
quelle dei locali: ciò permetterebbe di garantire una più sicura
continuità all’attività di animazione: è possibile che gli
sforzi vengano uniti a quelli degli scout e di un’altra
associazione di Lecce; dagli incontri che ci sono stati sembra
probabile”. La mia esperienza al campo è durata un solo giorno,
ma l’indomani mattina, quando sono venuto via ho portato con me
l’idea che, almeno nelle stanze della ludoteca, per i bambini
profughi di Squinzano “la vita è bella”.
Sandro Mazzi L’
operazione Nontiscordardimè Una domenica
d’aprile all’insegna delle scuole pulite – L’iniziativa di
Legambiente in collaborazione con il Corriere Scuola ha portato
decine di migliaia di alunni, genitori e insegnanti a rimettere in
ordine aule e spazi esterni – Il problema della coscienza
ambientale: una evoluzione positiva nell’esperienza di Ermete
Realacci Nontiscordardimé, operazione scuole pulite. Questa la parola d’ordine per una giornata molto particolare, dedicata a una iniziativa senza precedenti. Era il 24 aprile: in oltre undicimila classi (circa 250 mila studenti) di 1500 scuole di ogni ordine sparse nell’intero Paese alunni, genitori e insegnanti si sono dati da fare per migliorare l’ambiente fisico della scuola. Promossa da Legambiente con la collaborazione del Corriere Scuola, l’operazione Nontiscordardimé ha dunque visto decine di migliaia di persone al lavoro con scope, aspirapolvere, pennelli, vernici. Hanno rimosso rifiuti, intonacato pareti, ridipinto suppellettili, piantumato spazi esterni. Sul significato dell’iniziativa, e più in generale sui problemi della diffusione di una coscienza ecologica nel nostro Paese, abbiamo interpellato Ermete Realacci, presidente di Legambiente. Noi della LAPIS abbiamo girato in lungo e in largo l’universo scolastico italiano. Abbiamo potuto vedere scuole che sembrano carceri, abbiamo ascoltato il lamento dell’insegnante di storia dell’arte che non riesce, nel degrado di un’aula abbandonata a se stessa, a insegnare la sua materia, abbiamo sentito gli operatori della comunità Jonathan di Scosciano annunciare la rivoluzione delle tendine, cioè l’introduzione di pratiche concrete di intervento attivo sull’ambiente, una didattica del rispetto e della cura ambientale. Ora io vorrei sapere: perché in Italia il
senso della pulizia generalmente non va oltre le pareti domestiche? “Ovviamente ci sono ragioni antiche, ma
ci sono molte Italie, non è che i comportamenti sono gli stessi
ovunque. Dove c’è stato in passato un processo di civilizzazione,
di acculturamento in cui la percezione del bene comune era più
visibile, persino nel gusto estetico e materiale, in genere hai
comportamenti più coerenti. Però voglio dire una cosa, ci sono
stati negli ultimi anni modifiche abbastanza forti nel sistema di
comportamento degli italiani, che se si riescono a incrociare con le
politiche pubbliche hanno effetti assolutamente positivi. Ricordo
quando come Legambiente organizzammo una decina di anni fa la prima
iniziativa di volontariato ambientale: fu l’operazione Spiagge
pulite, una domenica di maggio con la gente che andava a ripulire
gli arenili dai rifiuti. Riuscimmo ad organizzare questa iniziativa
in 25-30 posti, partecipò qualche migliaio di persone. Erano
considerati dei mezzi matti o nella migliore delle ipotesi degli
individui bizzarri o dei boyscouts cresciuti male”. E adesso? “Adesso la situazione è profondamente
cambiata, per esempio la nostra iniziativa più grossa di
volontariato ambientale, l’operazione Ripuliamo il mondo che si fa
in genere l’ultima o penultima domenica di settembre, l’anno
scorso è stata fatta in 3500 luoghi differenti di 1300-1400 comuni
e vi hanno partecipato fra le 400 e le 500 mila persone. Sono numeri
impressionanti, ma soprattutto colpisce il fatto che c’è stata
una modifica dell’immagine di queste persone. Oggi chi si occupa
di difendere un’area verde, di ripulire un giardino non è più un
matto, è un opinion leader. E’ un po’ figlia di questa
evoluzione anche questa iniziativa nelle scuole. E’ l’incrocio
di due meccanismi differenti. Da un lato si tratta di aprire la
scuola all’esterno, verso il territorio, dall’altro la comunità
deve riappropriarsi della scuola come interesse generale”. Il preside di Lampedusa ci ha raccontato che
i suoi ragazzi buttavano le carte per terra perché non c’erano
cestini, e che ha dovuto lottare con il comune perché ne
installassero. E’ mai possibile? “Proprio a questo vuole dare risposta
questa iniziativa Nontiscordardimé, che non sarebbe stata possibile
anche solo pochi anni fa. La controprova che qualcosa sta cambiando
nella mentalità degli italiani è nella raccolta differenziata dei
rifiuti. Si riteneva che fosse impraticabile in Italia: invece
dovunque il sistema sia stato bene impostato la risposta dei
cittadini è assolutamente in linea con quella dei cittadini di
altri Paesi europei che consideriamo più avanzati. C’è quindi un
problema di intreccio fra una maturazione dei comportamenti e una
risposta delle politiche”. La buona volontà individuale non basta “Certo. E’ chiaro che se uno vuole
non può fare la raccolta da solo, la si può fare solo se c’è un
sistema che la organizza. Non vorrei che la parola d’ordine
dell’italiano sozzone sia un po’ un alibi per tutti, in
particolare per l’assenza di politiche efficienti. La nostra
iniziativa nelle scuole va in questa direzione, perché punta a
stanare sia la pigrizia dei cittadini, dei genitori, il loro scarso
senso di proprietà rispetto al sistema scolastico, all’edificio
della scuola, sia anche le lungaggini burocratiche, la pigrizia
dell’istituzione che per questioni di timbri e di bolli
semplicemente lascia degradare la situazione”. Ancora una domanda: come hanno accolto
questa azione i piccoli delle elementari? “I bambini delle elementari sono più
disponibili, entusiasti e anche più stimolanti da questo punto di
vista. Noi facciamo molte attività con loro. Recentemente sono
state chiuse al traffico circa 200 strade in 400 comuni italiani,
con un’iniziativa che si chiamava Cento strade per giocare. Era
rivolta soprattutto a bambini delle elementari ed era anche
un’azione di protesta contro il traffico. A Roma c’è stata una
manifestazione di diecimila bambini che hanno occupato la zona di
Piazza Barberini, Via del Tritone, ecc. E’ stata una cosa
divertentissima e molto colorata, si sono divertiti molto anche
loro. In realtà i piccoli delle prime classi sono quelli che più
spesso sono in grado di aggiungere una loro creatività alle
iniziative che proponiamo: dunque ci permettono di premere
indirettamente sui genitori”. Handicap
contro handicap Personale di sostegno
ai piccoli disabili reclutato in famiglie già alle prese con gravi
situazioni di disagio – La denuncia di Fernando Mascara,
dell’associazione Orizzonte di Francavilla al Mare – Occorre più
flessibilità nel rapporto fra questi ausiliari e la popolazione
scolastica “Da queste parti esiste poco il
sociale, perché essendoci una mentalità un po’ provinciale tutto
è affidato alla famiglia, al mutuo aiuto della parentela. Ma questo
non basta a risolvere i problemi dei disabili, soprattutto in
relazione alla scuola. Un po’ di sociale esiste soltanto in
seguito all’immigrazione, siamo nelle vicinanze di Pescara e
quindi il fenomeno è piuttosto accentuato. Dunque soltanto da poco
cerchiamo di organizzarci con il trasporto, l’assistenza
domiciliare, la terapia extrazonale”. Fernando Mascara, responsabile dell’Associazione Orizzonte di Francavilla al Mare, illustra la sua esperienza di operatore sociale nelle tematiche del rapporto scuola-disabili. Una esperienza che si intreccia con quella personale: Mascara vive infatti il problema della disabilità all’interno stesso della sua famiglia. In che cosa consiste la vostra attività
associativa? “Noi cerchiamo di essere presenti nelle
scuole, dunque ci siamo inseriti in molti consigli di circolo, nei
consigli d’istituto, nei gruppi H”. Vogliamo spiegare che cosa sono i gruppi H? “Sono articolazioni dei circoli, che
affrontano le tematiche relative all’handicap. Per esempio la
distribuzione degli insegnanti di sostegno, la promozione di un
maggior numero di assegnazioni da parte del provveditorato, alla
quale normalmente il provveditorato risponde che non può far nulla
perché il ministero ha tagliato i fondi con la finanziaria…
Cerchiamo insomma di indirizzare la scuola, ma anche
l’amministrazione comunale, molto in ritardo nel rispetto di
questi diritti. Anche perché si tratta di piccole cifre, a
Francavilla abbiamo 31 disabili nella scuola elementare, 38 alla
media. Dunque, con una popolazione di circa 25 mila abitanti
l’amministrazione comunale non si muove per una manciata di voti.
Hanno altro a che pensare…”. Ho notato che in Italia, a differenza di
quello che si può sperimentare in altre parti d’Europa, i piccoli
disabili non si vedono: perché è già difficile portarli in
giro… Com’è dalle tue parti la situazione del volontariato? “Non è molto presente, come dicevo
prima, a causa della prevalenza tradizionale di un mutuo aiuto
all’interno della famiglia. C’è molto da fare in proposito:
bisogna convincere le famiglie interessate che se ci uniamo forse ci
danno retta. Bisogna anche provvedere alla formazione delle persone
incaricate dell’assistenza. Si tratta infatti molto spesso di
persone che a loro volta si trovano in situazioni di disagio”. In che senso? “Per esempio donne che hanno il marito
in carcere… Oppure marito e moglie disoccupati, o infine il marito
latitante e figlio tossicodipendente… Insomma gente che ha bisogno
di essere assistita, altro che fare assistenza. Come si può
pretendere che una persona in queste condizioni possa serenamente
aiutare il minore a scuola?”. Ma perché vengono incaricate queste
persone? “Il ragionamento che fa
l’amministrazione comunale è questo: visto che queste persone
vanno aiutate, invece che dargli dei soldi a fondo perduto diamogli
dunque una parvenza di lavoro, aiutiamole mandandole a scuola”. Insomma, invece di mandare personale
qualificato… “Nella nostra situazione prevale chi ha
meno titoli e maggior bisogno. Noi cerchiamo di fare il possibile,
formando un po’ questo personale, tentando di dire che chi
frequenterà questi nostri corsi potrà avere un piccolo punteggio
in più”. Questi corsi li avete già avviati? “Dovremmo finalmente partire. In
passato la vecchia amministrazione non ci riconosceva, pur avendo
noi un riconoscimento dalla regione come iscritti all’Albo del
volontariato, diceva che non eravamo in grado di conferire dei
titoli a questo personale. La nuova amministrazione sembra invece
intenzionata a prenderci sul serio”. Chi terrà questi corsi? “Personale da noi reclutato a titolo di
volontariato, e qualcuno dei nostri soci: abbiamo per esempio uno
psicologo, alcuni medici, alcuni infermieri professionali”. Ma io mi chiedo una cosa: perché queste
cose non le fa lo Stato? “Qualcosa fa: per esempio la Provincia
ha organizzato qualche corso: ma a che serve se poi
l’amministrazione comunale preferisce chi ha meno titoli. Bisogna
anche considerare che questo personale è sottopagato”. Che cosa si può fare per ovviare a questa
situazione? Che messaggio possiamo lanciare? “Noi stiamo cercando piccole cose,
senza grandi spese. Per esempio abbiamo suggerito al Comune
l’impiego di obiettori di coscienza per il servizio di
accompagnamento. A livello nazionale, poi, bisognerebbe insistere su
una maggiore flessibilità del rapporto fra insegnanti di sostegno e
popolazione scolastica. Questo rapporto è uno ogni 128 bambini e in
certe aree può anche andar bene, non so. Da noi in Abruzzo, con
tante comunità montane e difficoltà di collegamenti, è del tutto
inadeguato. E poi bisognerebbe applicare le norme, che ci sono ma
restano sulla carta. Infine ricorrere agli organi di controllo per
impugnare certe decisioni amministrative”. Il problema è serio, visto che un bambino
disabile senza assistenza finisce facilmente con l’evadere la
scuola dell’obbligo… “Proprio per questo abbiamo scritto al
provveditore che se non veniva migliorato il rapporto fra insegnanti
di sostegno e popolazione scolastica ci saremmo mobilitati con
denunce per abuso di potere o per omissione di atti d’ufficio, o
infine invitando i genitori a tenere i figli a casa…”
Magì
- Magiò Il gioco della
“doppia vita” applicato all’attualità e al rito – Come il
tema classico del dottor Jekyll e di mister Hyde può applicarsi
alla favola di Pinocchio – I sentieri della fantasia, luogo
d’incontro fra bambini e adulti Scriveva Gianni Rodari: Un tema caro ai narratori di avventure (psicologiche, poliziesche o fantastiche) è quello della “doppia vita”. Infinite storie hanno preceduto o seguito, per questa strada, i tragici casi del dottor Jekyll e di mister Hyde. E’ una situazione che si assicura la popolarità più drammatica in tempo di guerra, quando tutti gli stronzi diventano missili e le bugie diventano “bombe” sotto gli occhi di tutti. Ho conosciuto bambini che avevano a loro volta una doppia vita: in casa e in famiglia erano bambini come gli altri; quando si appartavano, vivevano in un paese immaginario, che aveva un nome di fantasia, leggi, abitazioni, costumi di fantasia. Per mesi essi continuarono a raccontarsi le avventure del loro paese segreto finché, crescendo, lo abbandonarono e dimenticarono la sua esistenza… E’ in virtù delle risorse straordinarie della fantasia, che proprio nelle situazioni più drammatiche – come è ora in Albania – nasce un popolo nuovo in un paese segreto che viene concesso dal Cielo inviando aiuti del tutto divini ma anche umanitari. Ho provato a proporre a un gruppo di bambini il tema del personaggio che vive una doppia vita. E’ bastato spingere appena appena sul pedale del grottesco ed abbiamo ottenuto: un dottor Trombetti, medico chirurgo, che di notte faceva il cipresso sul viale del cimitero; casalinghe che di nascosto, all’insaputa di tutti, erano locomotive ferroviarie giunte per portare in salvo tutto un popolo. Un bambino disegnò due verghe verso il cielo con sopra una di queste locomotive… ma era partito dal reale! Perché aveva visto veramente i binari spezzati dalle bombe rizzarsi in alto: e il treno dietro! Abbiamo ottenuto anche bambini che, finiti i compiti, diventavano cinghiali alla macchia: erano così tanti, da riempire tutti i boschi del Kosovo, e divoravano i serbi che avevano distrutto le loro case… Con questo gioco ha veramente a che fare l’esercizio fantastico che ho visto eseguire in diverse scuole dove i bambini erano invitati a disegnare i “grabdi” come oggetti o come animali. Un bambino vedeva suo padre nell’ombrello, la madre in una vasca da bagno, Milosevic era tirannosauro. Un altro bambino, giocando con la chiave zoologica, disegnava una madre-leonessa e un padre-cammello. La medre-leonessa lo difendeva dai serbi, il padre-cammello lo portava in Albania, in salvo… Peccato, quel giorno, non aver sottomano uno psicoanalista che aiutasse a interpretare i simboli scelti dai bambini per rappresentare i “grandi”!… Con cautela, però. Molta della logica infantile sfugge anche all’osservazione dello psicoanalista. Ancora più indietro nel tempo, un bambino mi disse che, quando Pinocchio divenne bambino in carne e ossa per sempre, la sua doppia vita consisteva nel diventare Pidocchio. Da uno diventava cento, mille, milioni. Invadeva tutte le teste, anche quella del re. E la testa del re, con la corona, diventava la città medievale di Pidocchio. Gli feci disegnare Pidocchio. Eccolo. Dissi al Bambino: “A me pare un Angiolo, questo Pidocchio!”. Il Bambino mi disse che i Pidocchi erano gli angioli custodi dei poveri, perché facevano “grattare la testa al re”. Il gioco della “doppia vita” da bambini è vissuto con fantasia. Da “grandi” diventa ripetitivo, se non si diventa bambini. Ecco come la Cecilia di Monte San Savino, ha coltoli senso del gioco della doppia vita durante la “messa” e l’ha “messo” in poesia: Di facile lettura è invece il gioco
psicologico, vero e proprio psicodramma, anche se di poche pretese,
che consiste nello scambio dei ruoli. Era lo scorso anno, agli inizi
di maggio, nella scuola elementare di Montespertoli (Firenze), in
quinta. Dissi ai bambini davanti al loro maestro: “Questa mattina,
per un’ora, il maestro sarà uno scolaro, e lo scolaro Giancarlo
sarà il maestro”… Giancarlo mi venne vicino e mi disse ridendo,
facendo ridere l’intera classe: “Siamo stati in pensione
per te!”… Oppure: uno scolaro sarà il maestro: altri due
saranno due genitori ansiosi che vengono a scuola a informarsi sul
comportamento di Pinocchio, rappresentato da un quarto ragazzo o
ragazza. Molte verità sul rapporto tra bambini e adulti possono
essere scoperte solo se colte di sorpresa… per così dire, sui
sentieri della fantasia. Poi, sul materiale offerto
dall’invenzione, diventa possibile la discussione, il vero e
proprio ragionamento di ricerca.
Filippo Nibbi
(7- con
Quando
la malattia è causa di dispersione Secondo il dott. Italo Farnetani, pediatra e
giornalista, a volte cause organiche di per sé abbastanza banali,
come una semplice asma o una sordità monolaterale, provocano
conseguenze gravi nella capacità di apprendimento – Di qui
insuccessi scolastici che a volte sfociano negli abbandoni – Il
problema è attutito e in parte risolto quando almeno la famiglia
funziona: adeguati interventi di educazione permanente potrebbero
migliorare questa funzionalità – L’importanza della
teledidattica Proseguiamo la pubblicazione delle
relazioni svolte al convegno di studi sul tema L’evasione
scolastica, una sfida per la società, organizzato ad Arezzo il 25 e
26 ottobre 1997. In questo numero l’intervento del dott. Italo
Farnetani, pediatra e giornalista La domanda è questa: la salute è causa di dispersione scolastica? Cioè, quanto incide la malattia, l’assenza di salute sulla dispersione scolastica? Io credo che sia importante che la LAPIS, cui faccio tutti gli auguri possibili, intervenga anche in questo settore. C’è una dispersione scolastica ufficiale e c’è una dispersione sommersa… Vi faccio un esempio: il bambino asmatico che per una cosa banale che sarebbe possibile gestire potrebbe avere una vita di relazione normale, a scuola fa molti giorni di assenza, poi sceglie le superiori più facili, poi ha questo ambiente di iperprotezione, ecco questa è una perdita di tante potenzialità di fronte alla quale io credo si debba agire. A proposito di rifiuto scolastico io credo che, come ormai molti studi dimostrano, per la fobia scolare, per l’insuccesso scolastico (se voi vedete anche le ultime conferenze per esempio della Società francofona di pediatria) non è colpa della scuola ma è colpa della famiglia che non funziona. Quando la famiglia funziona gli insegnanti possono essere cattivi, duri, severi: la famiglia assorbe tutti i problemi. Voi sapete che la scolarizzazione significa fare interessare i ragazzi a cose che altrimenti non riavrebbero riguardati. Indubbiamente quando c’è la famiglia che funziona qualunque problema riesce a recepirlo. Per cui come si può rispondere a questa domanda, se la salute è causa di dispersione scolastica? Dovrebbe essere no, in realtà la risposta è sì e ci vorrebbe poco per fare andare le cose nel verso giusto… Il ragazzo dice: professore, sto malissimo. E il professore: non è previsto dai programmi ministeriali. Quando arriva il ragazzo che per esempio è allergico alla polvere il preside o il direttore didattico gli chiedono il fatidico certificato medico. Il certificato è come la famosa croce di cavaliere oil sigaro di Giolitti: non si nega a nessuno, uno fa effettivamente la certificazione che il bambino è allergico alla polvere e non può andare alla lavagna, tutti sono contenti però quello è un bambino che prima o poi la scuola perderà, che avrà una carenza dell’apprendimento. Ecco una vignetta: c’è la famosa Mafalda che dice: cosa succede? E il padre dice: vedi che fa i capricci il bambino? E Mafalda dice: bisogna essere comprensivi perché queste brave persone prima di noi non hanno allevato mai nessuno, siamo le loro cavie familiari. Si è parlato qui di educazione permanente e questo mi ha fatto molto piacere. Tra l’altro qui ad Arezzo ha lavorato per tanti anni un paladino dell’ducazione permanente, Mario Mencarelli, e io credo che l’educazione permanente sia da praticare anche con le famiglie. Ricordo una riunione di genitori organizzata dal Cicognini di Prato in collaborazione con l’università di Firenze; una mamma arrivò arrabbiatissima con Berlinguer perché voleva spostare l’obbligo scolastico a quindici anni: mi ruba il figlio un anno di più! Perché il bambino lo voleva mandare subito a lavorare. E aveva il complesso di essere stata un cattivo genitore. Noi si dettero delle informazioni banalissime su quali dovessero essere i requisiti del genitore, quella si alzò e mi disse: guardi, mi ha fatto passare il più bel San Valentino (la riunione si era fatta quel giorno) della mia vita. Questo per dimostrare che talvolta poche informazioni semplici, lineari possono insegnare anche ai genitori a non essere sperimentatori sui propri figli. L’insuccesso scolastico, che poi è la base dell’abbandono, è provocato principalmente da cause organiche non diagnosticate. E qui bisogna agire. Cause organiche non diagnosticate sono responsabili soprattutto dell’insuccesso scolastico alla scuola elementare e alla scuola media. Perché sicuramente queste malattie prima o poi vengono diagnosticate, sicuramente lo sono entro i 14 anni. Prendiamo il caso del bambino che è ipoacusico, cioè ci sente poco, affetto per esempio da parotite epidemica cioè gli orecchioni che è la principale causa di sordità monolaterale nel bambino. Chiaramente se un bambino ha una sordità dall’orecchio destro è bene metterlo rivolto verso la cattedra con l’orecchio sinistro. Sembra una cosa banale ma questo vuol dire che se sbaglia fila del banco il bambino non sentirà la maestra e avrà un ritardo dell’apprendimento. Il bambino che ci vede male, il bambino asmatico, il bambino iperattivo con deficit dell’attenzione, uno di quelli che danno noia. Oggi sono allergici, allergici ai coloranti: sono tutte situazioni che se noi si conoscono, e se il direttore didattico o il preside interviene, dà consigli ai genitori: soprattutto può dirgli, guarda, anche se tuo figlio ha una ipoacusia non mollare… qui purtroppo c’è questa dissociazione: se la situazione è grave si prende l’insegnante d’appoggio e c’è una legge ben precisa, però in tutte queste situazioni intermedie, il bambino che ci sente un po’ meno, ci vede un po’ meno, è asmatico, questo viene perso. Poi malattie croniche, di lunga durata mal gestita. Il bambino che ha una malattia cronica, la forma più brutta, un tumore, bisogna che si mantenga sempre ai livelli superiori delle proprie possibilità. Questo è il caso per esempio, torno a dire, del bambino asmatico, del bambino diabetico, del bambino con fibrosi cistica, con morbo celiaco, con altre patologie, per esempio le cardiopatie, queste sono tutte situazioni che bisogna che la scuola non li perda perché se la scuola si inserisce in un approccio sbagliato, iperprotettivo, chiaramente succede che questo bambino non potrà mai ottenere i risultati che vuole. Poi i disturbi di relazione: e questi sono molto importanti. Il problema delle malattie, come si può ovviare a tutte queste cose. Abbiamo già visto quali possono essere le cause. Prima di tutto bisogna sempre mantenere il bambino e l’adolescente ai livelli superiori che le proprie possibilità gli consentono: questo guardate, se io ho detto che il rifiuto scolastico è colpa della famiglia, qui la scuola si deve far carico di questi problemi. E quando c’è un paziente, un bambino, un alunno cioè con una malattia, è sempre bene che la scuola lavori perché questo possa sfruttare appieno le proprie possibilità. E qui ritorna il discorso dell’educazione permanente con i genitori, di non avere mai tempo di dare coraggio e insistere con questi genitori perché il figlio possa arrivare ai livelli superiori dell’istruzione. Poi chiaramente si possono attivare anche delle situazioni, per esempio in caso di malattia cronica in cui sono necessarie lunghe permanenze in ospedale, attivare la scuola in ospedale, attivare la scuola in ospedale, che è una forma per combattere la dispersione scolastica, delle forme di teledidattica. Comunque di fronte alla malattia deve intervenire la scuola perché se il bambino fa troppe assenze non dire beh lui poverino è malato, è bene che stia a casa, no… Tra l’altro la scuola in ospedale, io sono stato tra quelli che l’hanno più pubblicizzata, la mia è però una raccomandazione, perché chiaramente non tutti i direttori didattici e i presidi soprattutto quelli lontani un po’ dai punti di formazione permanente, agiscono a questi livelli. Tra l’altro ci sono in grossi ospedali delle sezioni staccate… e poi chiaramente anche quando ci sono questi discorsi di un eccessivo numero di assenze bisogna che la scuola dica noi non è che stigmatizziamo la cosa però cerchiamo di capire il problema anche dal punto di vista scientifico. Una volta c’erano i medici scolastici: erano una figura professionale molto valida, perché erano quelli a cui il direttore didattico o il preside si poteva rivolgere per avere un parere. Oggi invece il discorso è più sfumato. Per cui direi: sulla malattia non un approccio pietistico ma un approccio moderno. La malattia è compatibile con la normale vita di relazione, se non lo è bisogna renderlo possibile, comunque ai livelli più alti dell’istruzione. Poi come struttura si dovranno attivare molti strumenti: dalla legge 104 alla scuola in ospedale ala teledidattica, però bisogna sempre cercare di fare questa opera capillare. A livello psicologico, ecco, a livello psicologico, quando il bambino o l’alunno rifiuta la scuola, ha l’insuccesso scolastico, la fobia scolare, c’è sempre un problema di base. Noi abbiamo detto: la scuola può causare rifiuto scolastico, insuccesso scolastico solo nel momento in cui stigmatizza il rifiuto e la difficoltà scolastica. L’esempio di un bambino con fobia scolare con l’insegnante che dice, se non ho i compiti non lo posso valutare, non lo posso portare agli scrutini. E ‘ successo. Voi tenete presente che la fobia scolare, cioè il ragazzo che ha paura di andare a scuola e ha voglia di stare a casa anche per mesi, prende sempre ragazzi di famiglie di alto livello socioculturale. Cioè quelle in cui le famiglie hanno investito nella scuola per i figli. Chiaramente le persone, gli alunni, i bambini che vivono in famiglie in cui la cultura non ha avuto importanza sicuramente si disinteressano della scuola. La fobia scolare prende le famiglie di alto livello socioculturale. Ecco, talvolta gli insegnanti si impuntano, stigmatizzano questa cosa, fanno una barriera con la scuola e il ragazzo a questo punto si perde. A volte poi è la famiglia che non funziona, che non sa aiutare il figlio. Cioè il discorso è questo: se il ragazzo va male a scuola, cioè ha un rifiuto scolastico, chiaramente la famiglia gli deve spiegare che ha sempre l’appoggio, i genitori gli vogliono bene indipendentemente dai rifiuti scolastici. E’ ovvio che se la scuola funziona gli può dare un aiuto, può aiutare il ragazzo a passare questo momento di crisi, altrimenti cosa avviene? Il ragazzo, l’alunno che ha dei problemi personali, non trovando aiuto nei genitori deve orientare tutele proprie forze psicoaffettive a vincere la depressione, a vincere i problemi che ha, e chiaramente non si può occupare della scuola. Ecco perché rifiuta la scuola: non solo perché le sue forze sono intente a vincere la depressione ma soprattutto perché ha paura di confrontarsi con i coetanei con cui si sente inadeguato. E qui si va nella psicopatologia.
|
|