FOGLIO LAPIS - LUGLIO 2002

 
 

L’amara vicenda di Franco Revil, un maestro valdostano suicida perché le autorità scolastiche lo avevano sospeso dall’insegnamento – La ragione è di quelle che fanno discutere: da una parte si parla di maltrattamenti, dall’altra di una bonaria tirata d’orecchie a un’allieva – Il figlio dell’insegnante apre un sito Internet per ricordare la figura di Revil e difenderne la memoria

 

E’ in apparenza una mattina come le altre, nella scuola elementare di Verrès, in Valle d’Aosta. C’è il solito irrequieto vocìo, nelle classi. In particolare in quella del maestro Franco Revil: eccolo richiamare dalla cattedra una bambina piuttosto indisciplinata che è salita sul davanzale della finestra. Lei torna al banco, ma poi ripete più volte la sua piccola bravata. Il maestro si alza, si avvicina alla finestra, prende la bambina per un orecchio e la riporta al suo posto. Ecco, questo gesto provoca una catena di eventi che si conclude nel modo più tragico: il suicidio di Revil. Un cappio al collo, poi un dettaglio angosciante: c’è un estremo ripensamento, l’uomo cerca di liberarsi ma ormai è troppo tardi, non ce la fa. Lo trovano morto.

Così si è conclusa, in una fredda giornata d’inverno, la vita di un maestro di 59 anni. Stava per andare in pensione dopo avere insegnato per 35 anni, ben sette cicli di scuola elementare. Abitava a Brusson, un paesino della valle di Champoluc dal quale scendeva ogni mattina verso la scuola di Verrès. Nella piccola cerchia montana, quella morte voluta ha fatto sensazione. Revil era ovviamente ben noto a tutti, in una popolazione composta quasi esclusivamente di suoi ex allievi, era anche molto stimato e molto amato. Lo dimostrano le espressioni di cordoglio dei cittadini di Verrès, e anche le lettere dei suoi bambini, tenere e accorate espressioni di rimpianto.

Morire per una tirata d’orecchi? Vediamo un po’ com’è andata. E’ accaduto che quel gesto ha innescato una fatale procedura burocratica. Infatti i genitori della bambina hanno denunciato il fatto, e in vista del processo per maltrattamento l’autorità scolastica ha decretato la sospensione dall’insegnamento. Che cosa deve essere passato a quel punto nella mente di Revil si può abbastanza facilmente immaginare: una intera vita professionale è stata messa in discussione, l’uomo che ha formato tante generazioni di ragazzi è finito sotto processo, per un gesto che nel sentire comune è considerato del tutto normale ma che per una parte dell’opinione corrente è, al contrario, intollerabile. O per essere precisi spia, di per sé innocente o quasi, di qualcosa che non si tollera più come si tollerava una volta.

A parte l’inaccettabilità, in termini umani, di una simile conclusione, il nocciolo del problema sta tutto in questa diversa percezione di un comportamento. Molto spesso capita agli insegnanti elementari, soprattutto nei piccoli centri ancora legati a una visione tradizionale dei rapporti con i bambini, di sentirsi invitati dai genitori a non esitare a usare le mani, quando serve… Per quello che abbiamo potuto appurare interessandoci a questa vicenda, Franco Revil era un uomo di prim’ordine, tanto che non ci sorprende il grande rimpianto che ha lasciato. Era una persona di assoluta dedizione al suo lavoro e di estrema bontà, un personaggio deamicisiano. Ecco, appunto, De Amicis, Cuore: anche il maestro Perboni è uomo di grande bontà. E anche lui ricorre a qualche tirata d’orecchi, quando si tratta di ricondurre alla ragione qualche allievo riottoso alla Franti. Ma da quelle tirate d’orecchi è passato un secolo, 116 anni per la precisione…

C’è un capitolo nei Miserabili di Victor Hugo, in cui viene descritta una drammatica notte del protagonista Jean Valjean. L’ex galeotto è diventato un filantropo, ma hanno arrestato un suo sosia e quello sta per finire nel bagno penale al posto suo. Che fare? Lasciare il disgraziato al suo destino o abbandonare le opere di bene? Quel capitolo s’intitola Una tempesta in un cranio: e credo che un simile sconvolgimento abbia travolto la mente di Revil quando lo hanno mandato sotto processo. Sapeva di non avere niente da rimproverarsi secondo la percezione tradizionale dei rapporti fra maestro e allievo, quella percezione nella quale era stato educato e che i suoi concittadini, almeno la maggior parte, condividevano del tutto. Ma forse si rendeva anche conto, ecco il cortocircuito che deve averlo portato alla disperata soluzione del suicidio, del fatto che quella percezione poteva, doveva essere messa in discussione.

Non ce ne voglia Emilio Revil, il figlio del maestro di Verrès che difende appassionatamente la memoria del padre: ma noi crediamo che quel cappio al collo sia stato non soltanto frutto della delusione, dell’umiliazione, del dolore, di una coscienza serena che improvvisamente si sente tradita. Crediamo che il suicidio sia stato anche l’esito di qualcosa di simile a un autoprocesso, a un’autocondanna. Forse Franco Revil ha voluto la morte perché all’epilogo della sua vita professionale quel disgraziato episodio lo ha posto bruscamente di fronte a un bivio non meno drammatico di quello di Valjean: difendere un comportamento che già dentro di sé cominciava a considerare indifendibile, o sprofondare nel nulla. Ha scelto di non difendersi.

Per ricordare il padre e denunciare il clima ostile che lo ha portato alla morte, Emilio Revil ha aperto un sito Internet (www.revil.it/franco) in cui affianca ai ricordi personali e familiari una ricostruzione della vicenda comprendente gli articoli di stampa che ne hanno trattato. Il figlio è veemente nella sua perorazione, dice che il sito “non è politicamente corretto ma neppure ipocrita” e infatti parla, a proposito della tragedia paterna, di “genitori arroganti, invidia di colleghi e connivenza dei superiori”. Rimandiamo dunque a quella sede per gli approfondimenti sulla tragica storia, in particolare su quel punto di vista centrale dal quale dissentiamo ma che merita rispetto: se non altro in rapporto al prezzo esorbitante pagato dal maestro di Verrès. Su quella tirata d’orecchi, su quello che essa implica e rappresenta, sul suo valore simbolico, invitiamo chiunque lo desideri a farci sapere che cosa ne pensa.

                                r.f.l.

Torna al Foglio Lapis luglio 2002

 

Mandaci un' E-mail!