L’amara
vicenda di Franco Revil, un maestro valdostano suicida
perché le autorità scolastiche lo avevano sospeso
dall’insegnamento – La ragione è di quelle che fanno
discutere: da una parte si parla di maltrattamenti,
dall’altra di una bonaria tirata d’orecchie a
un’allieva – Il figlio dell’insegnante apre un sito
Internet per ricordare la figura di Revil e difenderne la
memoria
E’
in apparenza una mattina come le altre, nella scuola
elementare di Verrès, in Valle d’Aosta. C’è il solito
irrequieto vocìo, nelle classi. In particolare in quella
del maestro Franco Revil: eccolo richiamare dalla cattedra
una bambina piuttosto indisciplinata che è salita sul
davanzale della finestra. Lei torna al banco, ma poi ripete
più volte la sua piccola bravata. Il maestro si alza, si
avvicina alla finestra, prende la bambina per un orecchio e
la riporta al suo posto. Ecco, questo gesto provoca una
catena di eventi che si conclude nel modo più tragico: il
suicidio di Revil. Un cappio al collo, poi un dettaglio
angosciante: c’è un estremo ripensamento, l’uomo cerca
di liberarsi ma ormai è troppo tardi, non ce la fa. Lo
trovano morto.
Così
si è conclusa, in una fredda giornata d’inverno, la vita
di un maestro di 59 anni. Stava per andare in pensione dopo
avere insegnato per 35 anni, ben sette cicli di scuola
elementare. Abitava a Brusson, un paesino della valle di
Champoluc dal quale scendeva ogni mattina verso la scuola di
Verrès. Nella piccola cerchia montana, quella morte voluta
ha fatto sensazione. Revil era ovviamente ben noto a tutti,
in una popolazione composta quasi esclusivamente di suoi ex
allievi, era anche molto stimato e molto amato. Lo
dimostrano le espressioni di cordoglio dei cittadini di Verrès,
e anche le lettere dei suoi bambini, tenere e accorate
espressioni di rimpianto.
Morire
per una tirata d’orecchi? Vediamo un po’ com’è
andata. E’ accaduto che quel gesto ha innescato una fatale
procedura burocratica. Infatti i genitori della bambina
hanno denunciato il fatto, e in vista del processo per
maltrattamento l’autorità scolastica ha decretato la
sospensione dall’insegnamento. Che cosa deve essere
passato a quel punto nella mente di Revil si può abbastanza
facilmente immaginare: una intera vita professionale è
stata messa in discussione, l’uomo che ha formato tante
generazioni di ragazzi è finito sotto processo, per un
gesto che nel sentire comune è considerato del tutto
normale ma che per una parte dell’opinione corrente è, al
contrario, intollerabile. O per essere precisi spia, di per
sé innocente o quasi, di qualcosa che non si tollera più
come si tollerava una volta.
A
parte l’inaccettabilità, in termini umani, di una simile
conclusione, il nocciolo del problema sta tutto in questa
diversa percezione di un comportamento. Molto spesso capita
agli insegnanti elementari, soprattutto nei piccoli centri
ancora legati a una visione tradizionale dei rapporti con i
bambini, di sentirsi invitati dai genitori a non esitare a
usare le mani, quando serve… Per quello che abbiamo potuto
appurare interessandoci a questa vicenda, Franco Revil era
un uomo di prim’ordine, tanto che non ci sorprende il
grande rimpianto che ha lasciato. Era una persona di
assoluta dedizione al suo lavoro e di estrema bontà, un
personaggio deamicisiano. Ecco, appunto, De Amicis, Cuore:
anche il maestro Perboni è uomo di grande bontà. E
anche lui ricorre a qualche tirata d’orecchi, quando si
tratta di ricondurre alla ragione qualche allievo riottoso
alla Franti. Ma da quelle tirate d’orecchi è passato un
secolo, 116 anni per la precisione…
C’è
un capitolo nei Miserabili di Victor Hugo, in cui
viene descritta una drammatica notte del protagonista Jean
Valjean. L’ex galeotto è diventato un filantropo, ma
hanno arrestato un suo sosia e quello sta per finire nel
bagno penale al posto suo. Che fare? Lasciare il disgraziato
al suo destino o abbandonare le opere di bene? Quel capitolo
s’intitola Una tempesta in un cranio: e credo che
un simile sconvolgimento abbia travolto la mente di Revil
quando lo hanno mandato sotto processo. Sapeva di non avere
niente da rimproverarsi secondo la percezione tradizionale
dei rapporti fra maestro e allievo, quella percezione nella
quale era stato educato e che i suoi concittadini, almeno la
maggior parte, condividevano del tutto. Ma forse si rendeva
anche conto, ecco il cortocircuito che deve averlo portato
alla disperata soluzione del suicidio, del fatto che quella
percezione poteva, doveva essere messa in discussione.
Non
ce ne voglia Emilio Revil, il figlio del maestro di Verrès
che difende appassionatamente la memoria del padre: ma noi
crediamo che quel cappio al collo sia stato non soltanto
frutto della delusione, dell’umiliazione, del dolore, di
una coscienza serena che improvvisamente si sente tradita.
Crediamo che il suicidio sia stato anche l’esito di
qualcosa di simile a un autoprocesso, a un’autocondanna.
Forse Franco Revil ha voluto la morte perché all’epilogo
della sua vita professionale quel disgraziato episodio lo ha
posto bruscamente di fronte a un bivio non meno drammatico
di quello di Valjean: difendere un comportamento che già
dentro di sé cominciava a considerare indifendibile, o
sprofondare nel nulla. Ha scelto di non difendersi.
Per
ricordare il padre e denunciare il clima ostile che lo ha
portato alla morte, Emilio Revil ha aperto un sito Internet
(www.revil.it/franco)
in cui affianca ai ricordi personali e familiari una
ricostruzione della vicenda comprendente gli articoli di
stampa che ne hanno trattato. Il figlio è veemente nella
sua perorazione, dice che il sito “non è politicamente
corretto ma neppure ipocrita” e infatti parla, a proposito
della tragedia paterna, di “genitori arroganti, invidia di
colleghi e connivenza dei superiori”. Rimandiamo dunque a
quella sede per gli approfondimenti sulla tragica storia, in
particolare su quel punto di vista centrale dal quale
dissentiamo ma che merita rispetto: se non altro in rapporto
al prezzo esorbitante pagato dal maestro di Verrès. Su
quella tirata d’orecchi, su quello che essa implica e
rappresenta, sul suo valore simbolico, invitiamo chiunque lo
desideri a farci sapere che cosa ne pensa.
r.f.l.
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