Come
creare dalla coesistenza delle varie culture una società
armoniosa, arricchita dal rispetto reciproco delle identità
– Il ruolo essenziale della scuola, luogo di mediazione
fra queste diversità – Una significativa esperienza in
alcune classi di una elementare di Torino, in cui accanto
ai compagni italiani siedono alunni provenienti da
numerosi paesi stranieri
Uno
degli obiettivi che si tenta di perseguire all’interno
della società contemporanea è quello di trasformare
l’attuale realtà storica della convivenza più o meno
pacifica delle varie culture in un complesso armonioso che,
nel rispetto reciproco delle identità, arricchisca la
società stessa nel suo insieme. Il problema sostanziale
alla base di questo obiettivo, però, sta proprio nei mezzi
per raggiungerlo.
E’
un dato di fatto: viviamo in una società multiculturale, in
cui la cultura si manifesta in molte forme, dove più
culture coesistono; ma la cosa veramente importante riguarda
non tanto l’accettare in modo più o meno positivo questa
coesistenza, quanto il far entrare in relazione e
confrontare queste diverse culture: in altre parole, è
necessario avviarsi a ciò che viene chiamato
interculturalità. Ma questo non è molto facile.
L’impegno
ormai di tutti noi è intorno alla costruzione di una società
solidale, pacifica e ricca di convivenza democratica:
dobbiamo lavorare per realizzare una realtà interculturale.
Abbiamo intorno tanti bambini di colore, di altre culture,
asiatici, africani, dell’America Latina…che sono venuti
nel nostro Paese, come in altre parti del mondo, perché
spinti dal bisogno di sopravvivenza, dal desiderio di
fuggire da una realtà ostile, per ricominciare, insieme
alle loro famiglie, una vita più serena, per poter avere un
futuro migliore. Dunque, è nostro dovere accoglierli
pacificamente e garantire loro un’adeguata formazione,
perché essi sono “gli uomini del domani”, e dobbiamo
fare in modo che questi bambini siano nelle condizioni di
avere tutti le stesse opportunità, senza discriminazioni di
razza, religione, lingua…
Indubbiamente,
un forte contributo per la loro formazione individuale viene
dato dall'ambito scolastico. E’ a questo punto che gioca
un ruolo importante l’insegnante, che nel rapporto con
l’allievo deve costruire una buona relazione educativa.
Infatti, la presenza di bambini immigrati nella scuola
italiana, ad esempio, ha comportato per gli insegnanti la
necessità di formare persone con difficoltà di
comprensione della nostra lingua e cultura, la necessità di
riconoscere l’identità diversa di questi nuovi alunni e
allo stesso tempo di dare loro strumenti adatti per vivere
nella nostra realtà. Ciò implica, nel lavoro con questi
bambini, appunto, il confronto con la psicologia di chi
viene da altri mondi e da altre storie, la necessità di
possedere una varietà di abilità diverse nel costruire gli
ambienti educativi e la consapevolezza di creare qualcosa
che, in un certo senso, modifica la stessa comunità di cui
si è parte.
Quindi,
la scuola dev’essere il luogo della mediazione fra le
differenti culture, e l’educazione interculturale si
propone proprio di provvedere ad una facilitazione dei
percorsi di inserimento e ad un adattamento delle strutture,
con l’inserimento nei curricoli di momenti didattici che
coinvolgano le culture e le lingue d’origine dei bambini.
Questo, perciò, prevede un rilancio di valori come la pace,
la solidarietà, il rifiuto del razzismo. Quindi, su ciò si
può sviluppare una politica scolastica interculturale,
caratterizzata dall’accoglienza e dalla facilitazione
(come aiuto a superare le differenze di adattamento),
dall’apertura agli altri, e dall’assunzione di una
cittadinanza interculturale (come creazione di una mentalità
interculturale).
Ciò
significa che gli insegnanti non devono far sentire ai
bambini stranieri la diversità come qualcosa da compensare,
ma devono creare nella scuola un “clima” dove questi
bambini si sentano partecipi di un mondo comune. Una buona
educazione interculturale, quindi, si basa anzitutto su una
metodologia dell’ascolto, in cui si pone attenzione alle
domande d’accoglienza, alle storie di vita e, infine, a se
stessi in quanto educatori che s’interrogano sulla propria
esperienza. Inoltre, secondo quanto sostiene il pedagogista
Duccio Demetrio, è utile seguire le narrazioni dei bambini,
perché ciò permette di comprendere la loro evoluzione
interna, anche il modo in cui ciascuno “mette insieme se
stesso” di fronte ai cambiamenti che lo riguardano.
Ebbene,
la nostra classe (3C, sezione Liceo socio-psico-pedagogico
dell’I.I.S. “Albert Einstein”) ha realizzato con
l’ausilio dell’insegnante di pedagogia, la professoressa
Marica Biglieri, un progetto volto proprio a far riflettere
sull’importanza dell’educazione interculturale e, nello
stesso tempo, dato il nostro indirizzo di studi, anche a
svolgere una prima “breve esperienza” nell’ambito
dell’insegnamento, e questo perché abbiamo avuto
l’opportunità di lavorare con tre classi della scuola
elementare “C. Abba” (1B, 5A e 5B). Per rendere più
completa la nostra esperienza abbiamo anche costruito delle
semplici griglie di osservazione delle dinamiche relazionali
nella classe. Gli scopi perseguiti per realizzare questo
progetto, infatti, consistevano nel lavorare concretamente
ed in modo organizzato e non dispersivo al fine di spiegare
a dei bambini, appunto, perché oggi si parla sempre più
spesso di “società a colori”, tutto ciò creando
un’atmosfera armoniosa.
Ci
siamo quindi suddivisi in 3 gruppi (ciascuno dei quali
seguiva una classe). I ragazzi che hanno lavorato nella
classe prima hanno però seguito un percorso diverso da
quello utilizzato per le quinte, solo per una
questione relativa all’età dei bambini. Durante il primo
incontro, infatti, c’è stata una presentazione piuttosto
giocosa, le ragazze che hanno seguito questi bambini hanno
preparato delle targhette colorate con scritti i loro nomi,
e ne hanno preparate anche delle altre su cui scrivere i
nomi dei bambini. E’ chiaro che l’esposizione teorica
dell’argomento che si sarebbe trattato è stata ridotta al
minimo, ed è avvenuta in forma estremamente semplificata.
Con
la classe prima ci si è dedicati molto al disegno, che è
stato utilizzato anche come mezzo conoscitivo,
infatti abbiamo preparato dei cartelloni attinenti proprio
al tema della multiculturalità, e con i disegni avuti dai
bambini, invece, si è cercato di capire il loro grado di
conoscenza dell'argomento, e anche, in parte, la loro forma
di pensiero, la loro creatività. Con le quinte si è
seguito un programma analogo, ma un po' più imegnativo.
Durante il primo incontro, subito dopo la presentazione,
abbiamo distribuito un questionario a domande chiuse di 14
domande, dicendo solo di che cosa trattava, ovvero che era
inerente alla tematica multi - interculturale che avremmo
trattato insieme per la durata di 5 incontri, e precisando
che con questo test volevamo cercare di capire qual era il
loro atteggiamento nei confronti di coloro che provengono da
realtà diverse dalla nostra. Dopo averlo compilato, i
bambini lo hanno consegnato e si sono commentate alcune
risposte.
Fatto
questo, (avendo così un po’ testato il loro grado di
conoscenza sull’argomento) abbiamo avviato quella che è
stata l’esposizione teorica, fornendo una prima
definizione di MULTICULTURA e INTERCULTURA. Da qui il
discorso si è ampliato sino ad arrivare a toccare il tema
del razzismo, fenomeno che nasce quando nei confronti di un
dato gruppo non si tollerano certe diversità e si maturano
forme di distanza sociale, di emarginazione. Ecco che sono
quindi stati citati i nomi di due fra i più conosciuti
personaggi della storia, Hitler e Mussolini, oggetto del
loro programma di storia.
Ci
è parso poi opportuno parlare anche della “diversità”,
riportando alcuni esempi, intesa come diversità di genere,
etnia, religione, o ancora intesa come diversità causata da
qualche forma di handicap. I bambini hanno seguito con
interesse e partecipazione la nostra spiegazione,
interagendo con noi e intervenendo quando era opportuno
farlo, e questo ha dimostrato che siamo stati in grado di
non farli annoiare, malgrado stessimo tenendo una sorta di
“lezione”.
Per
l’incontro successivo abbiamo chiesto loro di scrivere
alcune riflessioni a proposito dell’esperienza che stavamo
svolgendo insieme, le loro impressioni circa quanto era
stato detto in classe ed il loro pensiero circa la questione
della intercultura, e di preparare un disegno che potesse
rappresentare l’argomento trattato. Tutto questo materiale
è stato successivamente da noi raccolto, letto e
selezionato.
Nel
secondo incontro si è avviata la preparazione del
questionario da presentare ai bambini della scuola di
provenienza straniera (Costa d’Avorio, Cina, Marocco,
Romania). Le domande formulate erano mirate a conoscere
alcun aspetti, come il funzionamento delle scuole e la loro
organizzazione, le abitudini tipiche, i giochi più comuni,
i piatti più caratteristici, e anche la struttura delle
abitazioni, il modo di festeggiare ad esempio il Natale, la
Pasqua, di queste culture lontane dalla nostra. Dunque, la
volta seguente, è stata realizzata l’intervista, con
tanto di telecamera. I bambini erano entusiasti e non
vedevano l’ora di cominciare. Prima però abbiamo detto
loro che era importante far sentire a proprio agio chi ci
parlava “della sua realtà”, e che l’intervista non
doveva seguire passo passo le domande del questionario, ma
doveva avvenire in modo spontaneo e informale, quasi in
maniera discorsiva.
Ebbene,
la classe prima ha “intervistato” un bambino marocchino
di 6 anni, Yahya. Inizialmente erano tutti talmente
imbarazzati dalla telecamera che si sono bloccati. Poi, però,
pian piano hanno iniziato a fare domande e l’imbarazzo è
passato. Una delle due quinte non è riuscita a realizzare
la prima intervista, perché la piccola intervistata all’improvviso è scoppiata a piangere mentre ci raccontava
che quando andava a scuola, in Costa d’Avorio, la sua
maestra era molto severa e la picchiava, quindi ci è
sembrato opportuno non proseguire e rimandare tutto alla
volta seguente, nella quale l’intervista è avvenuta con
un bambino marocchino, Abderrazzar, di 10 anni e con una
bambina cinese, Liru, di un anno più piccola.
Tra
il quarto e il quinto e ultimo incontro i bambini di tutte e
3 le classi hanno proceduto alla stesura di un “racconto a
più mani”. Ciò che dovevano fare era realizzare una
storia su un mondo fantastico lontano e diverso dal nostro.
Racconto a più mani perché ciascun bambino poteva
proseguirlo come desiderava. L’inizio è stato loro dato e
su questa base ognuno doveva andare avanti con la stessa
storia scrivendone un pezzetto, che seguisse ovviamente un
filo logico con ciò che era già stato prodotto.
Ecco
che così, con la raccolta di tutto il materiale (quale
interviste, poesie inventate e non, disegni, impressioni dei
bambini e racconti), abbiamo terminato il nostro progetto
con la scuola “C. Abba”. In un'ottica di
collaborazione tra scuole di ordini e gradi diversi
collegate in un percorso di continuità formativa degli
alunni, ci siamo avvalsi del contributo della Scuola Media
di via Santhià (ex Pergolesi), che ha avviato un progetto
parallelo al nostro effettuando delle interviste agli
allievi stranieri presenti nella scuola; alcune di queste
interviste sono state inserite in questo lavoro, constatando
anche la somiglianza delle risposte fornite dai piccoli
intervistati. Al lavoro è stato dato il nome
di “Un mondo a colori” ed è stato riportato su
un CD-Rom multimediale.
Cecilia Puca