L’indagine
PISA sulle competenze al termine dell’obbligo scolastico
colloca i ragazzi italiani in una posizione deludente nel
confronto internazionale – Note basse sia per capacità
di lettura, sia per competenze scientifiche e matematiche
- Ma a differenza dalla Germania, dove
una situazione simile ha fatto sensazione e
suscitato accese polemiche e proposte d’interventi, se
ne è parlato poco
Il
quadro è deludente per i ragazzi italiani come per i loro
coetanei tedeschi, eppure la reazione nei due paesi è stata
assai diversa. Se il responso del PISA ha suscitato un aspro
dibattito in Germania, si potrebbe quasi dire che vi ha
determinato una salutare onda d’urto, con accorati appelli
e richieste di interventi urgenti per migliorare la qualità
della scuola, in Italia è passato quasi inosservato. Eppure
il PISA (acrostico inglese del Programma per la valutazione
internazionale degli studenti, una iniziativa dell’OCSE)
ha rivelato una realtà ancora meno soddisfacente in Italia
che in Germania. I due paesi sono entrambi al di sotto della
media, ma l’Italia un poco più in basso. E allora, perché
mai da noi la pubblicazione di quei dati, oltre tutto in una
stagione in cui la scuola, alle prese con un controverso
piano di riforma, è al centro dell’attenzione, è
praticamente caduta nel vuoto? Sono i misteri delle priorità
politiche, e giornalistiche, di questo paese.
Quello
che si proponevano gli uffici dell’OCSE era di trovare una
risposta a questa domanda: quanto sono attrezzati i giovani
che lasciano la scuola dell’obbligo per affrontare le
sfide della società? Sono in grado di leggere e capire
testi complessi? Sanno usare le conoscenze scientifiche e
matematiche acquisite a scuola per muoversi a proprio agio
in un mondo sempre più fondato sulla tecnologia?
L’indagine,
la prima di una serie con periodicità triennale, è stata
condotta nel 2000 fra 265 mila quindicenni di 32 paesi: in
pratica quelli dell’OCSE, cioè i paesi con più alti
tassi di sviluppo, più alcuni altri come la Federazione
Russa o il Brasile. Sono state impiegate tecniche di
rilevazione piuttosto sofisticate. Per esempio la
valutazione della capacità di lettura è stata
schematizzata in sei gruppi, che decrescono dal livello 5
(comprensione di testi complessi, capacità di valutarne le
informazioni e costruire ipotesi) fino a sotto il livello 1
(comprensione di testi elementari e individuazione del loro
tema principale). Ebbene, in media il 10 per cento del
campione è stato localizzato nel primo gruppo, il 6 per
cento nell’ultimo, il 12 nel penultimo (livello 1). In
Italia la situazione è decisamente peggiore, soltanto il 5
per cento al livello 5, complessivamente il 19 per cento al
livello 1 o al di sotto.
L’accostamento
dei dati permette di costruire una graduatoria certo in sé
piuttosto semplicistica, visto che si confrontano realtà
così diverse: ma che ha almeno il merito di offrire utili
spunti di riflessione, e forse di stimolare una opportuna
competizione internazionale. Ebbene questa graduatoria vede
l’Italia, in materia di capacità di lettura, nel gruppo
dei paesi al di sotto della media, precisamente fra il
diciannovesimo e il ventiquattresimo posto in compagnia di
Spagna e Germania (l’arco statistico sconta il margine di
errore legato alla ristrettezza del campione). Abbiamo ai
primi posti Finlandia, Canada, Nuova Zelanda, Australia,
Irlanda; agli ultimissimi Grecia, Portogallo, Russia,
Messico, Brasile. Ancora peggio vanno le cose per i nostri
quindicenni in materia di competenze matematiche e
scientifiche: siamo fra la ventitreesima e la
venticinquesima posizione. Qui trionfa l’Estremo Oriente:
Corea e Giappone ai primi posti seguiti da Nuova Zelanda,
Finlandia e Australia per la matematica, Finlandia, Regno
Unito e Canada per la scienza.
Che
dire di questi dati? Prima di tutto una cosa, ovvia soltanto
in apparenza: l’indagine riguarda direttamente i ragazzi
al termine dell’istruzione obbligatoria nei singoli paesi
considerati, ma il vero oggetto sono in realtà i vari
sistemi scolastici, inquadrati nelle rispettive realtà
sociali. Queste ultime hanno un peso decisivo e evidente: i
paesi con risultati migliori, dal Giappone alla Finlandia,
corrispondono alle società più compatte. La Germania, che
pure vanta una tradizione educativa di prim’ordine, deve
fare i conti con le sfide della società multiculturale:
questo la porta ad avere sì un alto numero di ragazzi nel
gruppo più evoluto, ma anche una folta presenza sui gradini
inferiori della scala, che trascina la media verso il basso.
Quanto all’Italia, naviga nelle acque basse della
graduatoria più per avere pochi ragazzi al livello più
alto che per averne tanti ai livelli inferiori.
Dell’Italia i ricercatori dell’OCSE sottolineano fra
l’altro l’apparente contraddizione fra quei risultati
mediocri e l’importanza dell’investimento finanziario.
Per ogni studente italiano lo stato spende dall’inizio
dell’istruzione elementare fino ai 15 anni quasi 61 mila
dollari, contro una media di nemmeno 44 mila. Soldi tanti ma
spesi male, insomma: scuola inefficiente quanto costosa.
L’indagine
PISA conferma poi il migliore rendimento scolastico
femminile, soprattutto in materia di lettura. Questo
elemento è comune a tutti i paesi, e la differenza è
particolarmente marcata in Italia. Questo significa che la
situazione fra gli italiani di sesso maschile è
proporzionalmente molto più grave del dato complessivo:
infatti circa un quarto dei nostri quindicenni hanno una
capacità di lettura decisamente limitata. I frequentatori
del nostro sito non avranno difficoltà a ricordare che la
LAPIS, d’intesa con il Comando della Regione militare Sud,
aveva anticipato questa amara realtà con un’indagine fra
i ragazzi di leva in alcune province dell’Italia
meridionale. Allora quei risultati fecero scalpore, in
particolare quello che registrava un tasso di dispersione
scolastica ben superiore alle prudentissime cifre ufficiali
e quello che denunciava un’attitudine alla lettura
assolutamente marginale: ma da allora le conferme si
sprecano.
Ancora
un dato: mediamente un ragazzo su quattro fra i 265 mila
intervistati non ama andare a scuola. Ma in Italia, così
come in Francia e negli Stati Uniti, gli studenti riluttanti
sono ben più di un terzo, si avvicinano addirittura alla
metà del campione. Dunque non soltanto costosa, non
soltanto inefficiente: anche sgradita, la scuola italiana,
questa grande malata bisognosa di cure attente, sollecite,
davvero riformatrici nel segno di un moderno recupero della
straordinaria tradizione culturale del paese. E come se
tutto questo non bastasse, ecco che si sta cercando
d’imporre una scuola concepita come agenzia di
collocamento al servizio dell’”azienda Italia”. Se
questa impostazione non sarà stata corretta ci sarà
davvero da soffrire, a leggere i risultati PISA del futuro.
Alfredo Venturi
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