FOGLIO LAPIS - LUGLIO 2002

 
 

L’indagine PISA sulle competenze al termine dell’obbligo scolastico colloca i ragazzi italiani in una posizione deludente nel confronto internazionale – Note basse sia per capacità di lettura, sia per competenze scientifiche e matematiche - Ma a differenza dalla Germania, dove  una situazione simile ha fatto sensazione e suscitato accese polemiche e proposte d’interventi, se ne è parlato poco

 

Il quadro è deludente per i ragazzi italiani come per i loro coetanei tedeschi, eppure la reazione nei due paesi è stata assai diversa. Se il responso del PISA ha suscitato un aspro dibattito in Germania, si potrebbe quasi dire che vi ha determinato una salutare onda d’urto, con accorati appelli e richieste di interventi urgenti per migliorare la qualità della scuola, in Italia è passato quasi inosservato. Eppure il PISA (acrostico inglese del Programma per la valutazione internazionale degli studenti, una iniziativa dell’OCSE) ha rivelato una realtà ancora meno soddisfacente in Italia che in Germania. I due paesi sono entrambi al di sotto della media, ma l’Italia un poco più in basso. E allora, perché mai da noi la pubblicazione di quei dati, oltre tutto in una stagione in cui la scuola, alle prese con un controverso piano di riforma, è al centro dell’attenzione, è praticamente caduta nel vuoto? Sono i misteri delle priorità politiche, e giornalistiche, di questo paese.

Quello che si proponevano gli uffici dell’OCSE era di trovare una risposta a questa domanda: quanto sono attrezzati i giovani che lasciano la scuola dell’obbligo per affrontare le sfide della società? Sono in grado di leggere e capire testi complessi? Sanno usare le conoscenze scientifiche e matematiche acquisite a scuola per muoversi a proprio agio in un mondo sempre più fondato sulla tecnologia?

L’indagine, la prima di una serie con periodicità triennale, è stata condotta nel 2000 fra 265 mila quindicenni di 32 paesi: in pratica quelli dell’OCSE, cioè i paesi con più alti tassi di sviluppo, più alcuni altri come la Federazione Russa o il Brasile. Sono state impiegate tecniche di rilevazione piuttosto sofisticate. Per esempio la valutazione della capacità di lettura è stata schematizzata in sei gruppi, che decrescono dal livello 5 (comprensione di testi complessi, capacità di valutarne le informazioni e costruire ipotesi) fino a sotto il livello 1 (comprensione di testi elementari e individuazione del loro tema principale). Ebbene, in media il 10 per cento del campione è stato localizzato nel primo gruppo, il 6 per cento nell’ultimo, il 12 nel penultimo (livello 1). In Italia la situazione è decisamente peggiore, soltanto il 5 per cento al livello 5, complessivamente il 19 per cento al livello 1 o al di sotto.

L’accostamento dei dati permette di costruire una graduatoria certo in sé piuttosto semplicistica, visto che si confrontano realtà così diverse: ma che ha almeno il merito di offrire utili spunti di riflessione, e forse di stimolare una opportuna competizione internazionale. Ebbene questa graduatoria vede l’Italia, in materia di capacità di lettura, nel gruppo dei paesi al di sotto della media, precisamente fra il diciannovesimo e il ventiquattresimo posto in compagnia di Spagna e Germania (l’arco statistico sconta il margine di errore legato alla ristrettezza del campione). Abbiamo ai primi posti Finlandia, Canada, Nuova Zelanda, Australia, Irlanda; agli ultimissimi Grecia, Portogallo, Russia, Messico, Brasile. Ancora peggio vanno le cose per i nostri quindicenni in materia di competenze matematiche e scientifiche: siamo fra la ventitreesima e la venticinquesima posizione. Qui trionfa l’Estremo Oriente: Corea e Giappone ai primi posti seguiti da Nuova Zelanda, Finlandia e Australia per la matematica, Finlandia, Regno Unito e Canada per la scienza.

Che dire di questi dati? Prima di tutto una cosa, ovvia soltanto in apparenza: l’indagine riguarda direttamente i ragazzi al termine dell’istruzione obbligatoria nei singoli paesi considerati, ma il vero oggetto sono in realtà i vari sistemi scolastici, inquadrati nelle rispettive realtà sociali. Queste ultime hanno un peso decisivo e evidente: i paesi con risultati migliori, dal Giappone alla Finlandia, corrispondono alle società più compatte. La Germania, che pure vanta una tradizione educativa di prim’ordine, deve fare i conti con le sfide della società multiculturale: questo la porta ad avere sì un alto numero di ragazzi nel gruppo più evoluto, ma anche una folta presenza sui gradini inferiori della scala, che trascina la media verso il basso. Quanto all’Italia, naviga nelle acque basse della graduatoria più per avere pochi ragazzi al livello più alto che per averne tanti ai livelli inferiori. Dell’Italia i ricercatori dell’OCSE sottolineano fra l’altro l’apparente contraddizione fra quei risultati mediocri e l’importanza dell’investimento finanziario. Per ogni studente italiano lo stato spende dall’inizio dell’istruzione elementare fino ai 15 anni quasi 61 mila dollari, contro una media di nemmeno 44 mila. Soldi tanti ma spesi male, insomma: scuola inefficiente quanto costosa.

L’indagine PISA conferma poi il migliore rendimento scolastico femminile, soprattutto in materia di lettura. Questo elemento è comune a tutti i paesi, e la differenza è particolarmente marcata in Italia. Questo significa che la situazione fra gli italiani di sesso maschile è proporzionalmente molto più grave del dato complessivo: infatti circa un quarto dei nostri quindicenni hanno una capacità di lettura decisamente limitata. I frequentatori del nostro sito non avranno difficoltà a ricordare che la LAPIS, d’intesa con il Comando della Regione militare Sud, aveva anticipato questa amara realtà con un’indagine fra i ragazzi di leva in alcune province dell’Italia meridionale. Allora quei risultati fecero scalpore, in particolare quello che registrava un tasso di dispersione scolastica ben superiore alle prudentissime cifre ufficiali e quello che denunciava un’attitudine alla lettura assolutamente marginale: ma da allora le conferme si sprecano.

Ancora un dato: mediamente un ragazzo su quattro fra i 265 mila intervistati non ama andare a scuola. Ma in Italia, così come in Francia e negli Stati Uniti, gli studenti riluttanti sono ben più di un terzo, si avvicinano addirittura alla metà del campione. Dunque non soltanto costosa, non soltanto inefficiente: anche sgradita, la scuola italiana, questa grande malata bisognosa di cure attente, sollecite, davvero riformatrici nel segno di un moderno recupero della straordinaria tradizione culturale del paese. E come se tutto questo non bastasse, ecco che si sta cercando d’imporre una scuola concepita come agenzia di collocamento al servizio dell’”azienda Italia”. Se questa impostazione non sarà stata corretta ci sarà davvero da soffrire, a leggere i risultati PISA del futuro.

                                Alfredo Venturi

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