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Interventi al Forum> Roberta Rossi, psicologo psicoterapeuta (con la collaborazione di Francesca Tripodi) Intervento dell' aprile 2003
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L’educazione sessuale secondo il modello dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma
Riferimenti teorici
Da qualche decennio si assiste ad un acceso dibattito in varie sedi sulla necessità di introdurre l’educazione sessuale nei programmi scolastici delle scuole del nostro Paese. In realtà il nocciolo della questione attualmente riguarda principalmente "come" introdurla, piuttosto che "se" introdurla. Malgrado l’impegno di molte forze politiche e movimenti di opinione, una normativa organica in materia non è mai riuscita a superare lo stadio di proposta (Zani et al., 1993; Rifelli, Ziglio, 1991). Secondo il parere di alcuni Autori (Francescato et al., 1991; Gelli, 1992; Simonelli , Rossi, 1992) le difficoltà incontrate in Italia nell’attuare progetti o nel varare una legge sull’educazione sessuale sono dovute al fatto che coesistono differenti culture con valori spesso contrapposti. Le resistenze maggiori all’inserimento di programmi di educazione sessuale nella scuola fanno riferimento sia al timore che parlare di sessualità possa costituire un incentivo a praticarla, sia alla preoccupazione che vengano trasmessi dei valori non coerenti con quelli familiari (Zani, 1997d). In realtà, gli studi commissionati dal "Programma Globale sull’AIDS" dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno provato che i programmi di educazione sessuale non provocano un aumento o un inizio precoce dell’attività sessuale tra i giovani anche quando c’è una maggiore disponibilità di contraccettivi; tali interventi possono anzi determinare l’adozione di pratiche sessuali più sicure tra gli adolescenti sessualmente attivi (Baldo, 1995). Nonostante il vuoto legislativo, in molte scuole italiane si svolgono programmi di educazione alla salute, educazione socio affettiva e sessuale, affidati a docenti, psicologi, pedagogisti, medici. Da ciò discende l’importanza di occuparsi in modo sistematico di educazione affettiva nella varie fasi della crescita: molti autori hanno sottolineato quanto il "non fare" e il "metodo del silenzio" espongano bambini e ragazzi a paure, ansie, sensi di colpa, eccessi fantastici e comportamentali, che rischiano di ripercuotersi negativamente sullo sviluppo della personalità. (Del Re, Bazzo, 1995c) In tema di educazione sessuale si sono storicamente create due prospettive diverse definite rispettivamente modello didattico e modello di abilitazione. Il modello didattico, utilizzato ormai da molto tempo, si interessa principalmente di dare delle norme di condotta ottimali influenzando deliberatamente atteggiamenti e comportamenti degli individui in vista di uno scopo prefissato. Il modello di abilitazione, invece, mira allo sviluppo e all’acquisizione di conoscenze e capacità decisionali individuali, fornendo a ciascuna persona gli strumenti per prendere decisioni informate riguardo al proprio comportamento. La principale differenza tra questi due modelli operativi consiste nel fatto che mentre il modello didattico s’interessa principalmente ai risultati tangibili di un processo di educazione, il modello di abilitazione si occupa soprattutto della qualità del processo stesso che mette in grado e abilita i giovani a prendere le proprie decisioni e a pianificare le proprie azioni (Ziglio, 1995). In questa prospettiva viene dunque meno la figura di "esperto" che impone un argomento e passivizza gli interlocutori e compare invece quella di un educatore che ha certamente una competenza specifica sul tema, ma individua la sua finalità principale nel far emergere nei ragazzi i bisogni più importanti in materia di sessualità ponendosi in una posizione di ascolto.
Il modello dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma
Ci sembra utile, in questo lavoro, focalizzare l’attenzione sui vari problemi che si pongono quando si voglia affrontare la questione dell’educazione sessuale, per presentare quelle che, nella esperienza dell’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma, sono state le riflessioni e le soluzioni operative. Una premessa fondamentale riguarda l’esplicitazione del modello che guida in maniera trasversale tutti gli ambiti di cui il nostro Istituto si occupa e, nello specifico, di ricerca, formazione e clinica. Nella sessuologia, intesa come scienza autonoma il cui oggetto di studio è la sessualità nei suoi aspetti biologici, psicologici, culturali e sociali, convergono discipline, orientamenti, operatori di diversa provenienza e formazione. Questo orientamento pluridisciplinare trae le sue premesse dalla prospettiva psicosomatica (o somatopsichica) propria della sessualità. Se in generale le scienze umane non possono prescindere dalla inevitabile unità del binomio mente-corpo, la scienza che si occupa di sessualità colloca questa dimensione al centro del proprio paradigma. Il modello tiene quindi conto dei molteplici fattori che interagiscono nel comportamento e nel vissuto sessuale. La sessualità, sia da un punto di vista teorico che operativo, non può essere ridotta né al singolo individuo e alle sue dinamiche intrapsichiche, né alla coppia e alle sue complesse interazioni da un punto di vista relazionale. Gli interventi, sia clinici che educativo-formativi, devono pertanto tener conto della naturale dialettica tra psiche e soma, individuo e sistemi di riferimento relazionali, sociali e culturali. In linea con questo, gli operatori del settore, a nostro avviso, non possono essere meramente dei tecnici specializzati, ma dei professionisti che necessitano di un’ampia formazione che fornisca loro gli strumenti per osservare e valutare la complessità dei fenomeni con i quali si andranno a confrontare. Diversi anni di esperienza hanno permesso di arricchire il nostro indirizzo scientifico-culturale (inizialmente riferito ai lavori dei sessuologi americani), con contributi e tecniche mediati dai diversi modelli della psicologia e dalla collaborazione con operatori di diversa formazione (medici, educatori, insegnanti, sociologi), per consolidare un approccio realmente integrato ai vari ambiti della sessuologia. Per "approccio integrato" qui non si intende semplicemente il mettere insieme competenze diverse, frammentando i vari aspetti della sessualità, né ci riferiamo alla possibilità di formare un "operatore unico" in grado di affrontare qualsiasi situazione. Piuttosto ci poniamo l’obiettivo di favorire l’incontro di operatori di diversa specializzazione e, nel rispetto delle differenze, la formazione di un’analoga sensibilità educativa e terapeutica. In assenza di leggi in materia, ma con mandato istituzionale sempre più preciso sugli interventi di educazione alla salute, le scuole da tempo si organizzano, in maniera più o meno autonoma, per rispondere ai bisogni formativi degli allievi, degli insegnanti e delle famiglie. Per motivi di brevità ci focalizzeremo soltanto sugli interventi che riguardano gli studenti. Le soluzioni che i dirigenti scolastici adottano possono spaziare dai mandati ai singoli docenti, spesso quelli delle materie scientifiche, al supporto delle ASL di zona, per finire agli interventi dei consulenti esterni. Il nostro gruppo è ovviamente chiamato in questa veste, ma la nostra esperienza ci ha fatto comprendere che per rendere efficace un intervento sui destinatari ultimi (gli allievi) occorra una partecipazione di "rete", una collaborazione fra le diverse agenzie educative, nel rispetto degli specifici ruoli e competenze. Concretamente, in ogni progetto che noi costruiamo, è previsto il confronto e, talora, il coinvolgimento, dei genitori, degli insegnanti, e degli operatori di strutture pubbliche che si occupano del territorio. La misura di tale coinvolgimento varia a seconda del tipo di intervento ma, soprattutto, dell’età dei destinatari. Naturalmente, in relazione alle diverse età e fasi evolutive, gli alunni presentano esigenze specifiche e non sempre assimilabili tra loro, per cui gli interventi vengono modulati sul grado delle loro competenze cognitive, emotive, sociali e sul contesto di appartenenza. Risulta altresì intuitivo che più i destinatari sono piccoli, più l’attenzione dovrà essere orientata ai loro adulti di riferimento nel programmare le azioni dei progetti. La maggior parte dei nostri corsi prevede l’utilizzo del gruppo classe come unità di intervento. Esso rafforza le esperienze di apprendimento, ma anche di socializzazione ed è un sostegno forte ogni qual volta si affrontino nuove attività. Con gli adolescenti più grandi, in particolare, abbiamo verificato l’efficacia della suddivisione del gruppo classe, per la parte più esperienziale dei corsi, in due sottogruppi per tener conto della grande variabilità, sia a livello informativo che a livello emotivo, presente all’interno della stessa fascia d’età. Nei piccoli gruppi è possibile un adattamento immediato del livello d’intervento, e si può facilmente andare incontro anche alle esigenze che si discostano dalla media del gruppo, evitando gli effetti negativi legati ad un’incapacità di elaborazione dell’esperienza (Forleo et al., 1981; Francescato et al., 1986; Barbugli, Corradini, 1990; Marmocchi, Raffuzzi, 1993; Simonelli, Vizzari, 1994; Stettini et al., 1985). Il piccolo gruppo consente inoltre a tutti i partecipanti di esprimere le proprie emozioni attraverso la relazione diretta con gli altri ragazzi e con gli educatori. Il gruppo offre l’opportunità di ascoltare e di confrontare diversi punti di vista, di condividere le preoccupazioni ed ha pertanto un effetto "normalizzante" sulle fantasie, sulle convinzioni e sui comportamenti legati alla sessualità. Tale esperienza, specie se ripetuta, può essere momento di reale cambiamento in ognuno dei partecipanti al gruppo, generando la capacità di esprimere le proprie idee senza il timore di essere per questo distruttivi. Metodologia
La metodologia adottata dalla équipe del nostro Istituto rispecchia il modello integrato a cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo. Ovviamente le azioni e le strategie degli interventi variano molto a seconda dell’età dei destinatari e del loro ambiente di appartenenza. In linea generale possiamo sintetizzare le caratteristiche di ogni nostro intervento focalizzandoci sugli aspetti ai quali cerchiamo di dedicare la massima attenzione: il lavoro di rete e l’analisi della domanda di intervento, l’approccio flessibile orientato ad integrare gli aspetti informativo-esperienziali, la formazione dell’équipe multidisciplinare, la valutazione. Innanzitutto è a nostro avviso indispensabile effettuare preventivamente un’analisi del contesto in cui inserire il programma d’intervento per arrivare ad una conoscenza preliminare delle esigenze, delle richieste e delle peculiarità della committenza (Carli et al., 1988; Rossi, 1995; Salvatore, 1997) e dell’utenza. Questo tipo di ricerca può essere svolta su tre diversi piani, di cui il primo prevede un’analisi territoriale, allo scopo di evidenziare le caratteristiche del quartiere nel quale la struttura scolastica è inserita e le risorse, in termini di consultori, Ser.T., Informa-giovani, ecc., che il territorio offre, con l’obiettivo di fornire informazioni e creare collegamenti di rete. Il secondo livello riguarda l’analisi della committenza, in termini di chiarificazione della richiesta, esplicitazione e condivisione della modalità di intervento. A tal fine, sono previsti degli incontri preliminari fra il dirigente scolastico, gli insegnanti referenti, i genitori e gli operatori sociosanitari chiamati a collaborare al progetto di educazione sessuale dal momento che, pur utilizzando ruoli e funzioni differenti, tali figure si trovano a svolgere un lavoro educativo comune. Dopo aver raccolto le esigenze della committenza, solitamente moduliamo in forma scritta la nostra proposta di collaborazione in termini di obiettivi, strategie, tempi e costi, sottoponendola al vaglio del consiglio d’istituto. Una volta approvato, il progetto passa alla fase dichiaratamente operativa. L’analisi dei bisogni dei destinatari si svolge durante il primo incontro previsto dal progetto e si esplica su due livelli:
Ogni progetto non può prescindere da un momento di riflessione sulle aspettative e sui bisogni dei destinatari, nel tentativo di renderle reali e realizzabili valorizzando le risorse e le opportunità che ciascuno può dare nel lavoro comune. Tenere conto dell’unicità di ogni singola esperienza, cogliere e valorizzare la diversità di ciascuna di esse, permette di rendere più vivo e concreto il progetto avvicinandolo alla realtà dei singoli individui (Lutte, 1987). Così facendo è possibile mirare l’intervento per la specifica situazione del gruppo che si ha davanti; a seconda delle conoscenze pregresse o delle curiosità degli studenti, possono essere velocemente sorvolate delle parti del programma ed approfondite delle altre, si può optare per una modalità comunicativa più completa e stimolante o per una più immediata e fruibile (Simonelli, Vizzari, 1994). Se ciò non avvenisse, si rischierebbe di "far calare dall’alto" teorizzazioni e modelli che non rispondono alle reali caratteristiche degli interlocutori, che quindi li rigetterebbero (Venturini, 1995). Per quanto riguarda le strategie di intervento vere e proprie, noi tendiamo a gestire gli incontri con la tecnica del circle time (Francescato et al., 1986), che consente agli studenti di vivere un’esperienza di gruppo tramite la quale essi possano da un lato conoscersi l’un l’altro, discutere di argomenti di interesse comune e comprendere i processi che si instaurano nell’interazione con gli altri; dall’altro acquisire le capacità di divenire un migliore partecipante a gruppi di lavoro (ad esempio capacità di esprimere le proprie opinioni ad alta voce, di mediare tra i diversi punti di vista, di riassumere, di ascoltare, di riscontrare la comprensione, di facilitare la partecipazione di tutti). In particolare con gli studenti di scuole elementari e medie questa tecnica è molto funzionale allo svolgimento delle attività; con gli adolescenti più grandi siamo orientati a proporre incontri in cui sia prevista una parte "teorica", prettamente informativa, distinta da una parte più esperienziale, che prevede la suddivisione in piccoli gruppi e il ricorso a tecniche più articolate. Allo scopo di favorire il coinvolgimento e la partecipazione degli studenti vengono utilizzate di volta in volta delle proposte specifiche consistenti in giochi o esercizi, per attivare i partecipanti stimolando la loro creatività. Alcune tecniche in particolare favoriscono la percezione e la consapevolezza dell’unità mente-corpo rivelandosi molto utili per soggetti che hanno difficoltà di espressione tramite il linguaggio o che utilizzano l’espressione verbale a scopo difensivo. Mediante gli esercizi di consapevolezza corporea, ad esempio, l’attenzione viene focalizzata sulle sensazioni e sugli stati d’animo presenti, verificando l’eventuale coinvolgimento determinato dalle tematiche affrontate in precedenza o sollecitando le emozioni-reazioni relative (Rossi, 1995). Tale modalità mira a sviluppare le capacità dei partecipanti ad entrare in contatto e a riconoscere le emozioni in relazione a se stessi, all’ambiente esterno e al rapporto con gli altri. Inoltre, l’utilizzo di tecniche di rilassamento autogeno permettono di riconoscere e imparare a gestire gli stati di tensione e successivamente, attraverso un momento collettivo di commento dell’esperienza, favoriscono la capacità di ascolto reciproco. Data l’importanza e l’efficacia di un buon livello informativo, il modello prevede la collaborazione di diversi specialisti (psicologo, andrologo, ginecologo, ecc.), che possono contribuire all’approfondimento di specifici aspetti. La conduzione dell’intero progetto è solitamente affidata ad uno psicologo, che di volta in volta introduce gli altri colleghi e successivamente raccoglie ed elabora assieme ai partecipanti i vari stimoli integrandoli in un percorso omogeneo. Diventa allora indispensabile formare una équipe nella quale la collaborazione fra i componenti preveda non solo un lavorare parallelamente ma essenzialmente un lavorare insieme. A tal fine è importante che gli operatori abbiano una formazione ed un linguaggio comune, conoscenze e competenze non interscambiabili ma condivisibili e che siano disponibili ad adattare il loro modo di essere con quello dell’altro, sia dal punto di vista professionale che da quello di personalità (Francescato, Ghirelli, 1988). È quindi auspicabile che tutti i membri dell’équipe si impegnino nel funzionamento del gruppo di lavoro, partecipando alla programmazione generale dell’intervento, socializzando conoscenze e abilità. È altrettanto importante, a nostro avviso, che i ragazzi possano confrontarsi con diversi professionisti che operano nel campo della salute, al fine di prendere confidenza con tali figure e di poterne distinguere le competenze. Riuscire a catalizzare l’attenzione del gruppo classe può risultare difficile a causa della duplicità dei ruoli che l’operatore stesso si trova a dover ricoprire. L’educatore in campo sessuale svolge, infatti, una funzione informativa che, per associazione con le altre attività e con le altre figure della scuola, potrebbe diventare per i ragazzi poco interessante e poco stimolante. D’altro canto l’operatore si pone anche come facilitatore della comunicazione sui vissuti emotivi, affettivi e relazionali che trovano quotidianamente poco spazio nei programmi scolastici. Una modalità particolarmente efficace per ovviare a tale difficoltà è l’utilizzo di materiale di supporto. L’ausilio di filmati, fotografie o altro materiale audio-visivo da un lato rappresenta una novità nei confronti delle lezioni classiche, dall’altro facilita il mantenimento dell’attenzione e la conseguente discussione sulle tematiche trattate. È infatti compito dell’operatore favorire subito il confronto che troverà poi la sua massima espressione durante il successivo lavoro di gruppo. In questo modo, integrando le competenze e le tecniche a disposizione, l’operatore del settore assume un ruolo specifico, con caratteristiche del tutto originali, superando la molteplicità delle figure che rappresenta. La presenza di un consulente esterno nella conduzione del gruppo permette di valorizzare il confronto diretto con un adulto significativo diverso dal docente che può rappresentare un anello di congiunzione con altri servizi pubblici e privati che si occupano di salute e benessere dell’individuo, offrendo così ai ragazzi anche la possibilità di una richiesta di aiuto a figure specialistiche. Diventa, altresì, necessario coinvolgere l’insegnante a vari livelli in modo che egli possa rappresentare un punto di riferimento stabile per gli studenti del corso rispetto agli argomenti e contenuti trattati, il referente di possibili approfondimenti e il trait d’union fra l’intervento e la scuola. Una corretta educazione alla sessualità non può limitarsi ad attivare solo interventi rivolti direttamente ai destinatari ultimi, ma deve configurarsi anche come un rinforzo ed un potenziamento della rete sociale di riferimento (destinatari intermedi del progetto). Un’ultima nota vale la pena di farla sulla peer education. Tale espressione indica l’educazione che viene attuata tra pari o tra persone che appartengono al medesimo gruppo o che hanno la stessa estrazione sociale. Più specificamente, è un metodo in base al quale un piccolo gruppo di pari opera attivamente per informare e influenzare il resto del gruppo di appartenenza, con lo scopo principale di attuare prevenzione. L’educazione tra pari, praticata all’estero da oltre venti anni, si configura come una pratica educativa più che come un metodo; trova infatti i suoi presupposti sul bisogno dell’adolescente di appartenere ad un gruppo di coetanei e di sperimentarsi insieme ad altri in nuove situazioni sentendosi protetto e tutelato nel difficile processo di separazione dai genitori (Bonini, 1997). Tali premesse permettono di affermare che un metodo che promuove le potenzialità insite nel concetto stesso di gruppo dei pari e le utilizza per raggiungere fini preventivi rispetto alla salute risulta:
Possiamo dire che il rapporto ed il confronto con i pari permette al soggetto di esplorare nuovi spazi e di valutare in modo autonomo, al di là del controllo degli adulti, il proprio comportamento e le proprie scelte. Il gruppo amicale viene vissuto come un sostegno strumentale ed emotivo in grado di incidere nella costruzione della propria reputazione e della propria visibilità sociale (Palazzoli, 1993). Quindi, l’opinione di fondo della peer education è che il linguaggio comune e la condivisione delle esperienze si caratterizzano come facilitatori non solo dal punto di vista cognitivo, ma anche affettivo per ottenere cambiamenti e per fare prevenzione tra i giovani. Questo discorso è riferibile in modo particolare agli adolescenti che, in questa fase di sviluppo, potrebbero vedere le indicazioni degli adulti come una intromissione, mentre percepiscono in maniera più positiva un intervento e un sostegno da parte dei coetanei. Tale sistema educativo sfrutta, infatti, la tendenza dei giovani ad apprendere ed assimilare le informazioni dai coetanei: il feedback reciproco motiva i partecipanti ad abbandonare concezioni sbagliate e a ricercare soluzioni migliori (Bertinato et al., 1994). Questo tipo di insegnamento appare pertanto più conveniente per influenzare i giovani verso un cambiamento o, per meglio dire, "per aiutarli a influenzare se stessi" in maniera più corretta. Per realizzare un progetto di educazione tra pari è necessaria la figura del peer educator, capace di guidare il gruppo creando un’atmosfera che faciliti la comprensione, la sensibilità ed il rispetto. Deve inoltre possedere le seguenti caratteristiche:
Da qualche anno stiamo verificando l’efficacia di questo tipo di intervento, soprattutto per ciò che riguarda la prevenzione dell’HIV e delle malattie a trasmissione sessuale, ottenendo buoni risultati. La metodologia che stiamo adottando è quella di selezionare, all’interno di varie scuole, gruppi di adolescenti che possano essere formati a condurre interventi a cascata per tutti gli altri studenti del loro istituto. L’esperienza al momento acquisita ci fa ritenere che la formazione tra pari possa costituire un nuovo stimolo all’implementazione di progetti adeguati alle esigenze dei giovani poichè li rende veramente protagonisti delle azioni di promozione della salute. Inoltre porta gli operatori a riconsiderare la figura dell’adolescente non più come fruitore passivo delle informazioni, ma come collaboratore attivo del processo educativo.
BIBLIOGRAFIA
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