FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2023

 

Il maestro della street art in un allestimento itinerante che prende le mosse dalla stazione di Porta Nuova. Inglese, probabilmente nato a Bristol, usa uno pseudonimo e difende l'anonimato, convinto che l'invisibilità sia un superpotere

 

E’ la stazione, un luogo reale ed emblematico che racchiude in sé l’idea di passaggio ed approdo, di transitorio e di fugace, di evasione e di incontri fortuiti, ad ospitare The World of Banksy – The Immersive Experience. Si tratta di un allestimento itinerante che si propone di toccare le stazioni di Milano, Torino, Bologna e Genova. In oltre cento opere, fra le quali trenta murales a grandezza naturale, si è catapultati nel mondo del misterioso artista britannico, conosciuto per il saper affrontare con spregiudicatezza ed ironia temi importanti di politica e di denuncia sociale.

L’esposizione torinese è allestita in una piccola area prestigiosa e poco nota della stazione di Porta Nuova: Sala degli Stemmi. Progettata nel 1864 per accogliere la biglietteria della stazione della prima capitale d’Italia, deriva il suo nome dagli oltre cento stemmi che decorano l’ampia volta a botte e che stanno ad indicare le città raggiungibili in treno dal capoluogo piemontese e le relative distanze chilometriche.

Una mostra dedicata ad uno dei maggiori artisti contemporanei, dallo stile inconfondibile, che ha fatto dell’anonimato un bene da difendere a spada tratta a tal punto da chiedersi: “Non so perché le persone siano così ansiose di sbandierare i dettagli della propria vita privata, dimenticano che l’invisibilità è un superpotere”.

Originario presumibilmente di Bristol è considerato uno dei maggiori esponenti della street art e, nonostante non si conosca la sua identità, è stato inserito nel 2010 dal Time Magazine fra le persone più influenti al mondo e nel 2019 dalla rivista internazionale ArtReview al quattordicesimo posto nella classifica delle personalità più influenti nel mondo dell’arte.

La scelta di adottare uno pseudonimo, una maschera, non è a nostro avviso il daimon platoniano o la frantumazione pirandelliana dell’io in entità molteplici che l’individuo accetta per adattarsi al contesto della situazione sociale in cui si trova, ma è dettato piuttosto dal desiderio di cui parla Paul Valéry di “non rinunciare a nessuna delle vite possibili”. Senza dimenticare la necessità di sfuggire alle forze dell’ordine data la propensione ad incursioni artistiche in luoghi proibiti e con modalità non proprio legali. Nonché la volontà di trasmettere messaggi universali non contaminati dalla percezione identitaria dell’artista.

Tante le stranezze che hanno accompagnato il suo percorso artistico, dalla facilità di introdursi nei musei per esporre le sue opere affianco a quelle in mostra, alla proliferazione invadente delle strade di Londra di stencil a forma di topo “Rat”, che a guardar bene è anche l’anagramma del termine Art. Intelligente quanto sfrontato e ribelle, Banksy è uno degli artisti contemporanei più politicizzati la cui capacità artistica è quella di riuscire ad affrontare tematiche morali e culturali attuali, importanti e spinose, come l’infanzia, il consumismo, la guerra o l’inquinamento, in modo diretto senza girarci intorno, e con un linguaggio semplice ed intuitivo che parla a tutti. Dinanzi ai suoi capolavori non si può restare indifferenti, essi sono un invito alla riflessione e ad una presa di posizione.

Le sue opere, utilizzando la velocità d’esecuzione che permette la tecnica dello stencil, appaiono all’improvviso ed in modo inaspettato in luoghi della vita di ogni giorno e sono messe a disposizione di tutti. La loro comprensione è immediata, non necessita di competenze artistiche da parte del fruitore. I graffiti, ed i relativi graffitari, da potenziali vandali vengono elevati al livello di artisti moderni, se non più in alto. Vi è anche una presa di coscienza del ruolo della sua arte al punto da affermare che “if graffiti changed anyting it would be illegal” (Se i graffiti avessero cambiato qualcosa, sarebbero stati illegali).

                                                                      Clemente Porreca        

 

 


                                           

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