Il
maestro della street art in un allestimento itinerante
che prende le mosse dalla stazione di Porta Nuova. Inglese,
probabilmente nato a Bristol, usa uno pseudonimo e difende
l'anonimato, convinto che l'invisibilità sia un
superpotere
E’
la stazione, un luogo reale ed emblematico che racchiude
in sé l’idea di passaggio ed approdo, di transitorio
e di fugace, di evasione e di incontri fortuiti, ad ospitare
The World of Banksy – The Immersive Experience.
Si tratta di un allestimento itinerante che si propone di
toccare le stazioni di Milano, Torino, Bologna e Genova.
In oltre cento opere, fra le quali trenta murales a grandezza
naturale, si è catapultati nel mondo del misterioso
artista britannico, conosciuto per il saper affrontare con
spregiudicatezza ed ironia temi importanti di politica e
di denuncia sociale.
L’esposizione
torinese è allestita in una piccola area prestigiosa
e poco nota della stazione di Porta Nuova: Sala degli Stemmi.
Progettata nel 1864 per accogliere la biglietteria della
stazione della prima capitale d’Italia, deriva il
suo nome dagli oltre cento stemmi che decorano l’ampia
volta a botte e che stanno ad indicare le città raggiungibili
in treno dal capoluogo piemontese e le relative distanze
chilometriche.
Una
mostra dedicata ad uno dei maggiori artisti contemporanei,
dallo stile inconfondibile, che ha fatto dell’anonimato
un bene da difendere a spada tratta a tal punto da chiedersi:
“Non so perché le persone siano così
ansiose di sbandierare i dettagli della propria vita privata,
dimenticano che l’invisibilità è un
superpotere”.
Originario
presumibilmente di Bristol è considerato uno dei
maggiori esponenti della street art e, nonostante non si
conosca la sua identità, è stato inserito
nel 2010 dal Time Magazine fra le persone più influenti
al mondo e nel 2019 dalla rivista internazionale ArtReview
al quattordicesimo posto nella classifica delle personalità
più influenti nel mondo dell’arte.
La
scelta di adottare uno pseudonimo, una maschera, non è
a nostro avviso il daimon platoniano o la frantumazione
pirandelliana dell’io in entità molteplici
che l’individuo accetta per adattarsi al contesto
della situazione sociale in cui si trova, ma è dettato
piuttosto dal desiderio di cui parla Paul Valéry
di “non rinunciare a nessuna delle vite possibili”.
Senza dimenticare la necessità di sfuggire alle forze
dell’ordine data la propensione ad incursioni artistiche
in luoghi proibiti e con modalità non proprio legali.
Nonché la volontà di trasmettere messaggi
universali non contaminati dalla percezione identitaria
dell’artista.
Tante
le stranezze che hanno accompagnato il suo percorso artistico,
dalla facilità di introdursi nei musei per esporre
le sue opere affianco a quelle in mostra, alla proliferazione
invadente delle strade di Londra di stencil a forma di topo
“Rat”, che a guardar bene è anche l’anagramma
del termine Art. Intelligente quanto sfrontato e ribelle,
Banksy è uno degli artisti contemporanei più
politicizzati la cui capacità artistica è
quella di riuscire ad affrontare tematiche morali e culturali
attuali, importanti e spinose, come l’infanzia, il
consumismo, la guerra o l’inquinamento, in modo diretto
senza girarci intorno, e con un linguaggio semplice ed intuitivo
che parla a tutti. Dinanzi ai suoi capolavori non si può
restare indifferenti, essi sono un invito alla riflessione
e ad una presa di posizione.
Le
sue opere, utilizzando la velocità d’esecuzione
che permette la tecnica dello stencil, appaiono all’improvviso
ed in modo inaspettato in luoghi della vita di ogni giorno
e sono messe a disposizione di tutti. La loro comprensione
è immediata, non necessita di competenze artistiche
da parte del fruitore. I graffiti, ed i relativi graffitari,
da potenziali vandali vengono elevati al livello di artisti
moderni, se non più in alto. Vi è anche una
presa di coscienza del ruolo della sua arte al punto da
affermare che “if graffiti changed anyting it
would be illegal” (Se i graffiti avessero cambiato
qualcosa, sarebbero stati illegali).
Clemente Porreca
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