Il
destino dei bambini privati delle libertà perché
affidati alle mamme detenute. Un tentativo fallito di
risolvere il problema. Del resto il problema non riguarda
soltanto loro, ma anche i minori che la detenzione separa
dalle madri
Sono
ventitré in Italia le donne carcerate con figli piccoli
che le seguono in cella, ventisei in tutto i loro bambini.
Ma c'è un problema più generale, caratterizzato
da cifre purtroppo molto più alte: riguarda tutti
i minori che hanno la madre in galera, anche se sono accuditi
all'esterno del carcere da parenti o dal personale di strutture
di accoglienza. Nel primo caso i bambini hanno il vantaggio
di un contatto stretto e continuativo con la madre, ma sono
privati di quasi tutte le libertà: per loro niente
feste con gli amici, niente vacanze, niente passeggiate
al parco. Al massimo possono frequentare l'asilo o la scuola
primaria, ma dopo le lezioni debbono essere riaccompagnati
dietro le sbarre del carcere.
E
così crescono in un universo del tutto particolare,
fatto di catenacci, porte blindate, guardia armate in uniforme.
Inutile sottolineare il disagio che ne deriva, e soprattutto
l'impronta che una simile esperienza infantile lascia necessariamente
sui piccoli incolpevoli protagonisti di questa tragedia.
Si pensi a quella bambina che quando vide l'ufficiale dei
carabinieri estrarre le manette al momento dell'arresto
di sua madre lo pregò sommessamente: per favore non
incateni la mia mamma, non è una criminale. Oggi
quella bambina si trova in un istituto a custodia attenuata
assieme alla madre, che ha raccontato l'episodio a Nina
Verdelli, giornalista per Vanity Fair.
Di
strutture come questa in Italia ce ne sono soltanto cinque,
a Milano, Torino, Venezia, Cagliari, Avellino. Ma sono al
momento soltanto due, una a Roma una a Milano quelle case-hamiglia
protette che potrebbero esssere la soluzione ottimale del
problkema.. Recentemente c'è stata una proposta di
legge che indicava,proprio questa prospettiva. Ma il tentativo
è stato affossato da una pioggia di emendamenti che
lo ha reso impraticabile, e soprattutto da una considerazione
di fondo: per quanto protette le case famiglia non sono
esenti dal rischio di evasione. Si tratta infatti di strutture
non detentive, nelle quali può maturare facilmente
la tentazione di non rientrare.
Del
resto la questione del rapporto fra bambini e carcere non
si limita al caso dei figli che condividono la detenzione
con la madre. Sono tanti infatti i minori che hanno la madre
detenuta e ne vivono il distacco prolungato con le difficoltà
che è fin troppo facile immaginare, anche se li accudiscono
familiari o persone competenti. É chiaro che in questo
caso bisognerebbe favorire gli incontri prolungati fra le
donne carcerate e i loro figli. Sarebbe un passo importante
per migliorare la salute mentale non soltanto dei minori
ma anche delle loro madri.
r. f. l.
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