FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2023

 

Il susseguirsi di riforme del sistema educativo interpretato come volontà di sostituire al tradizionale impianto umanistico una visione esclusivamente tecnologica- Si parla solo di competenze, non più di conoscenze. Il ruolo dell'esperienza pandemica

 

Elisabetta Trezza è una giurista che da anni s'interessa al sistema educativo esaminandone l'evoluzione e criticando fortemente la costante progressione di un modello digitale che considera fine a se stesso. In un recente convegno da lei organizzato a Roma, dal titolo Può la scuola tornare a essere scuola?, non ha esitato a palare di “catastrofe educativa”. I risultati, fa notare, sono sotto gli occhi di tutti: scolari sempre più ignoranti, anche se un giorno saranno ben provvisti di diplomi, imbarbarimento linguistico, insegnanti depressi e mal pagati, genitori rassegnati o del tutto ignari di quanto va accadendo.

Bisogna dunque andare alla ricerca delle cause profonde di tutto questo. Frezza le individua in una costante che a suo parere ha determinato tutte le riforme e i tentativi di riforma del sistema scolastico che si sono susseguiti negli ultimi decenni, e che negli ultimissimi anni hanno subito un'accelerazione potente. Nella sua visione si tratta di una linea univoca dettata dall'alto, in particolare dalle centrali burocratiche europee e garantita dagli apparati amministrativi nazionali, con le loro circolari scritte in “una lingua parallela, una lingua iniziatica, quasi esoterica” e non di rado zeppe di contraddizioni. Circolari che del resto finiscono molto spesso in un cassetto senza che nessuno le legga.

Il tutto nutrito dal mito dell'innovazione fine a se stessa: tutto quello che è nuovo è buono per definizione, Ma se guardiamo ai risultati emerge chiaramente, secondo Frezza, la necessità di cambiare rotta prima che sia troppo tardi. La recente esperienza della pandemia non ha fatto che peggiorare le cose, in particolare con la didattica a distanza, offrendoci paradossalmente un'occasione di riscatto, la possibilità di un risveglio delle coscienze che potrebbe permetterci una salutare rimonta.

Nello specifico, Elisabetta Frezza ha delineato i contorni di questa evoluzione in un'intervista al sito “Casa del Sole”. Il nocciolo del problema consiste nel fatto che stiamo importando il modello anglosassone, compresi i suoi fallimentari risultati. Un modello fondato sì sul protagonismo degli alunni ma non sulla cura delle loro capacità cognitive. Piuttosto che di conoscenze si parla di competenze, e invertendo il rapporto fra mezzo e fine si attribuisce all'informatica un ruolo esclusivo, come se si trattasse non di uno strumento ma della misura ultima di tutte le cose.

Al fondo di questa situazione la ricercatrice ravvisa il rifiuto di quell'intreccio fra umanesimo e scienze che ha forgiato la nostra storia. Il sacrificio delle discipline umanistiche conduce necessariamente all'ignoranza, per non parlare dell'omologazione internazionale delle coscienze. Si registra infine una fretta che rasenta il ricatto: la pressione a usare subito la pioggia di denaro del Piano nazionale di resilienza e ripresa (Pnrr) realizzando gli schemi suggeriti dall'alto.

Che fare dunque? Pur nella critica radicale del sistema Frezza non dispera, cita il caso di un liceo romano che ha visto il consiglio d'istituto opporsi alle direttive ufficiali affrontando il rischio del commissariamento. Ecco, questa è la strada che indica: e se si potesse formare una massa critica...

                                                                      a. v.         

 

 


                                           

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