I
meno giovani non dimenticheranno mai quelle ore attorno
al pozzo nei pressi di Frascati. Alfredo Rampi, sei anni,
si lamentava dal fondo ma quando lo si raggiunse era troppo
tardi. Da quell'imperdonabile fiasco organizzativo nacque
il Dipartimento della Protezione civile
Aveva
sei anni e soffriva di cuore, a settembre, prima dell'esordio
scolastico, sarebbe stato operato. Quel giorno di giugno
Alfredo Rampi attraversò i campi per raggiungere
casa sua, a Vermicino nei pressi Frascati, ma a casa non
arrivò mai. Cominciarono le affannose ricerche dei
genitori, presto coadiuvati dai vicini. C'era un pozzo lungo
il tragitto, ma era coperto da una lamiera e quindi si persero
ore preziose ignorandolo: come poteva esservi caduto? Invece
vi era proprio caduto, la lamiera l'avevano messa quando
già il piccolo si contorceva nell'oscurità
del cunicolo. Fu l'intuizione di un brigadiere di polizia
a guidare l'azione di soccorso verso quel pozzo: Alfredo
era proprio lì, una trentina di metri sotto, e rispondeva
flebilmente a chi lo chiamava dall'alto.
L'impresa
si rivelò subito molto difficile: il pozzo era stretto
e irregolare, provarono a calare una tavoletta legata a
una fune ma si fermò su una sporgenza alcuni metri
sopra di lui, bloccando la cavità. Qualche volontario
di corporatura esile provò a scendere ma senza poter
raggiungere Alfredo. Si decise di scavare un pozzo parallelo
per poi arrivare al bambino intrappolato con un cunicolo
orizzontale, ma la qualità del terreno, in parte
friabile e in parte roccioso, ostacolò l'operazione.
Occorrevano macchine più potenti, ma farle venire
richiedeva tempo. Intanto attorno al pozzo si era radunata
una folla che a sua volta ostacolava i soccorsi, potevano
arrivare fino all'imboccatura. Cominciò una specie
di macabra festa paesana, c'erano perfino i venditori ambulanti
di bibite e panini.
Passavano
le ore, si fece notte e poi ancora giorno, Alfredo si lamentava
sempre più debolmente. I vigili del fuoco pomparono
ossigeno nel pozzo per scongiurare il rischio di asfissia.
Nel frattempo il piccolo era scivolato ancora più
giù, fino a sessanta metri di profondità.
Era arrivata la televisione e il caso era diventato nazionale.
Una grande tragedia che gli italiani seguivano col fiato
sospeso. Nelle ultime diciotto ore il dramma fu coperto
da una telecronaca in diretta. Arrivò anche il presidente
della repubblica Sandro Pertini che si trattenne sul posto
l'intera seconda notte esprimendo la rabbia e la frustrazione
di tutti. Quando finalmente un volontario raggiunse il piccolo
non riuscì a imbracarlo e dovette risalire lasciandolo
sul fondo. Ci provò anche un secondo soccorritore
con lo stesso esito, il tempo incalzava e la disperazione
ormai si era fatta strada. Poi giunse il fatidico momento
di calare uno strumento che diede il terribile responso:
il cuore di Alfredo, Alfredino come ormai era conosciuto
da un capo all'altro del Paese, non batteva più.
Il corpo fu refrigerato con l'immissione dall'alto di azoto
liquido, e recuperato quasi un mese più tardi.
Quella
vicenda turbò profondamente l'opinione pubblica mettendo
a nudo una disarmante realtà: l'Italia non era attrezzata
per far fronte a simili emergenze. Non solo, la gestione
del caso era stata caotica e approssimativa, per esempio
nessuno aveva pensato a transennare l'area attorno al pozzo,
chiunque poteva premere, avvicinarsi, ostacolare i soccorsi.
La tragedia e l'imperdonabile lutto ebbero almeno una ricaduta
positiva: dal dibattito che infuriò nel Paese emerse
una nuova istituzione, il Dipartimento della Protezione
civile dotato di ampi poteri. Se fosse già esistito,
in quel giugno del 1981, certamente attorno al pozzo si
sarebbe fatto il vuoto, le macchine scavatrici sarebbero
arrivate in tempo utile, la competenza avrebbe preso il
posto dell'improvvisazione. Alfredo Rampi sarebbe stato
estratto dal pozzo e tre mesi più tardi, dopo il
risanamento chirurgico del suo piccolo cuore, avrebbe preso
posto in un'aula di prima elementare, come allora si chiamava
la scuola primaria.
r. f. l.
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