Nel
sistema scolastico americano si discute sull'opportunità,
sostenuta dall'opinione progressista, d'inserire nei curricula
lo studio dei problemi razziali. Contrari i conservatori:
in questo modo, sostengono, si costringono i singoli in
gabbie identitarie
“Tutti
gli uomini sono stati creati uguali”. Così
la Dichiarazione d'indipendenza delle tredici colonie americane
che si sbarazzano del dominio britannico dando vita agli
Stati uniti. Già, ma tutti chi? É noto che
la futura superpotenza nasce con una vistosa anomalia: fin
dal 1619, quando la prima nave negriera prese terra in Virginia
depositandovi il suo carico di schiavi, i coloni hanno a
che fare con una folta comunità di provenienza africana,
che anche dopo l'emancipazione voluta dal presidente Abraham
Lincoln vive ai margini della società. Dunque il
principio dell'eguaglianza di tutti gli uomini sancito nel
1776 conosce una vistosa eccezione. Per tacere dei nativi,
i soli a ben vedere che possono chiamarsi americani e invece
li chiamiamo indiani a causa di un gigantesco errore geografico.
E per tacere degli ispanici, che provenienti dall'America
latina hanno formato una numerosissima minoranza etnica
e linguistica.
Le
cronache recenti riferiscono di un approccio troppe volte
brutale, da parte delle forze di polizia, a queste comunità
così diverse dal modello dell'uomo wasp: bianco,
anglosassone e protestante. Nemmeno la permanenza per otto
anni alla Casa bianca di un presidente afro-americano come
Barack Obama ha migliorato la situazione. I neri e gli ispanici
rimangono ai livelli più bassi nelle statistiche
che misurano le condizioni di vita, il reddito, l'istruzione
e gli altri parametri sociali. Ma ora si è fatta
strada, proprio in seguito alle cronache poliziesche e alle
tragedie connesse, una nuova consapevolezza. Black Lives
Matter, le vite dei neri contano: questo slogan ha attraversato
il Paese da un capo all'altro. Ovviamente questa dinamica
non poteva non coinvolgere il sistema educativo.
Alle
iniziative del mondo progressista di riservare nell'insegnamento
della storia nazionale un posto di rilievo alle questioni
legate alla razza ha fatto riscontro la radicale opposizione
dei conservatori. Secondo i paradigmi americani, la cesura
politica vede i democratici da una parte, i repubblicani
dall'altra: anche se all'interno dei due partiti si registrano
opinioni non proprio coincidenti. La maggioranza dei repubblicani
sostiene che attribuire al razzismo un carattere sistematico,
secondo la cosiddetta “teoria razziale critica”,
è sbagliato e configura una forma di Indottrinamento
dei giovani che potrebbe finire con il costringerli, a scapito
dei valori individuali, dentro gabbie identitarie. Di fatto
la teoria critica, come riferisce il quotidiano New York
Times in una approfondita analisi del problema, sostiene
che il razzismo è profondamente radicato nella legge
e nelle istituzioni. E che il retaggio dello schiavismo
esercita ancora un'influenza negativa sulle condizioni di
vita degli afro-americani e delle altre comunità
minoritarie.
Si
fa notare fra l'altro che mentre nel sistema scolastico
pubblico la presenza di appartenenti a gruppi etnici diversi
è ormai massiccia, la quota di docenti afro-americani,
ispanici o asiatici non supera il venti per cento. Dunque
perché tacere sulla questione razziale, come vorrebbero
i conservatori? Un simile atteggiamento non potrebbe forse
identificarsi in una forma di negazionismo? Il dibattito
non è fatto soltanto di parole ma anche di interventi
normativi. Poiché l'educazione è competenza
dei singoli Stati, le politiche scolastiche risentono della
lpro diversa colorazione politica. Dove sono al potere i
repubblicani si propone di bloccare la carriera a quei docenti
che si fanno promotori della teoria razziale critica, che
i più esagitati qualificano senz'altro come “marxista”.
Poco
prima di lasciare il potere l'ex presidente Donald Trump
nominò una gruppo di lavoro denominato Commissione
1776, esplicitamente incaricato di collegare l'”indottrinamento
di estrema sinistra” praticato nelle scuole in materia
razziale con le manifestazioni di protesta contro gli abusi
della polizia e in particolare le uccisioni di dimostranti
afro-americani. L'iniziativa fu commentata con sarcasmo
da molti osservatori, e il nuovo presidente Joe Biden l'annullò
non appena si fu insediato alla Casa bianca.
Fredi Sergent
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