Nell'Unione
sconvolta dall'omicidio di George Floyd da parte di un
agente di polizia, e dai casi analoghi che si sono succeduti,
emerge il problema delle profonde diseguaglianze nella
scuola a svantaggio degli afroamericani. I dirigenti di
una sessantina di community colleges hanno deciso di correre
ai ripari
Il
caso Floyd ha riproposto con drammatica evidenza il problema
razziale negli Stati Uniti, e le ultime parole della vittima,
I can't breath, non posso respirare, sono rapidamente diventate
u no slogan per migliaia di manifestazioni che si sono svolte
da un capo all'altro degli States. Ovviamente il problema
non riguarda soltanto la polizia e il suo approccio con
la popolazione nera, ma investe l'intera struttura della
società americana, scuola compresa. Le statistiche
rivelano che la minoranza afroamericana, e in qualche misura
anche l'ispanica e l'asiatica, sono fortemente discriminate.
Non è bastato il potente simbolo di un presidente
afroamericano per otto anni alla Casa Bianca, forse anche
per il fatto che Barack Obama, figlio di un'americana bianca
e di un cittadino del Kenya, non era discendente di schiavi.
Contro
il razzismo e le ineguaglianze legate alla provenienza etnica
sono scesi in campo i dirigenti di una sessantina di community
colleges della California. Si tratta di scuole pubbliche
pre-universitarie, che offrono corsi biennali e che sono
tradizionalmente frequentati da tutti coloro che non possono
permettersi le rette salatissime dei colleges privati. Dunque
con una forte presenza di studenti che provengono dalle
fasce economicamente meno favorite della società:
afroamericani, ispanici, asiatici. Quei dirigenti si sono
dunque alleati per approfondire la natura del fenomeno,
riequilibrare la presenza etnica negli organici (nei community
colleges californiani circa l'85 per cento degli studenti
proviene dalle minoranze etniche, ma solo il 40-45 per cento
degli organici). Ci si propone infine di addestrare il personale
scolastico a combattere quelle che Shaun R. Harper, uno
degli animatori dell'iniziativa, definisce “tremende
diseguaglianze razziali”.
Il
nostro sistema scolastico deve far fronte, soprattutto nel
settore pubblico, a una crescente rappresentanza di studenti
neri, asiatici e ispanici, ma i programmi didattici, strutturati
sull'America wasp (bianca, anglosassone, protestante) ignorano
quasi completamente l'identità e la storia culturale
di queste minoranze. Inoltre non soltanto quei gruppi etnici
non sono adeguatamente rappresentati negli organici delle
scuole, ma la maggior parte del personale afroamericano
o ispanico è impegnata in ruoli subalterni: lavora
nelle mense, nelle attività di pulizia, o con mansioni
di segreteria sottopagate. Da questa collocazione professionale
uno studente nero non può che trarre conclusioni
sconfortanti a proposito del suo ruolo sociale e delle sue
prospettive di vita e d'impiego.
Francisco
Rodriguez, uno dei capi d'istituto coinvolti nell'alleanza,
dice di avere ricevuto numerose testimonianze sull'impatto
che le disuguaglianze sociali hanno avuto sulla vita e sulla
percezione del mondo di tanti studenti. Abbiamo fatto progressi
negli ultimi anni, sa sapere Rodriguez: ma il più
resta da fare.
l. v.
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