FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2020

 

Nell'Unione sconvolta dall'omicidio di George Floyd da parte di un agente di polizia, e dai casi analoghi che si sono succeduti, emerge il problema delle profonde diseguaglianze nella scuola a svantaggio degli afroamericani. I dirigenti di una sessantina di community colleges hanno deciso di correre ai ripari

 

Il caso Floyd ha riproposto con drammatica evidenza il problema razziale negli Stati Uniti, e le ultime parole della vittima, I can't breath, non posso respirare, sono rapidamente diventate u no slogan per migliaia di manifestazioni che si sono svolte da un capo all'altro degli States. Ovviamente il problema non riguarda soltanto la polizia e il suo approccio con la popolazione nera, ma investe l'intera struttura della società americana, scuola compresa. Le statistiche rivelano che la minoranza afroamericana, e in qualche misura anche l'ispanica e l'asiatica, sono fortemente discriminate. Non è bastato il potente simbolo di un presidente afroamericano per otto anni alla Casa Bianca, forse anche per il fatto che Barack Obama, figlio di un'americana bianca e di un cittadino del Kenya, non era discendente di schiavi.

Contro il razzismo e le ineguaglianze legate alla provenienza etnica sono scesi in campo i dirigenti di una sessantina di community colleges della California. Si tratta di scuole pubbliche pre-universitarie, che offrono corsi biennali e che sono tradizionalmente frequentati da tutti coloro che non possono permettersi le rette salatissime dei colleges privati. Dunque con una forte presenza di studenti che provengono dalle fasce economicamente meno favorite della società: afroamericani, ispanici, asiatici. Quei dirigenti si sono dunque alleati per approfondire la natura del fenomeno, riequilibrare la presenza etnica negli organici (nei community colleges californiani circa l'85 per cento degli studenti proviene dalle minoranze etniche, ma solo il 40-45 per cento degli organici). Ci si propone infine di addestrare il personale scolastico a combattere quelle che Shaun R. Harper, uno degli animatori dell'iniziativa, definisce “tremende diseguaglianze razziali”.

Il nostro sistema scolastico deve far fronte, soprattutto nel settore pubblico, a una crescente rappresentanza di studenti neri, asiatici e ispanici, ma i programmi didattici, strutturati sull'America wasp (bianca, anglosassone, protestante) ignorano quasi completamente l'identità e la storia culturale di queste minoranze. Inoltre non soltanto quei gruppi etnici non sono adeguatamente rappresentati negli organici delle scuole, ma la maggior parte del personale afroamericano o ispanico è impegnata in ruoli subalterni: lavora nelle mense, nelle attività di pulizia, o con mansioni di segreteria sottopagate. Da questa collocazione professionale uno studente nero non può che trarre conclusioni sconfortanti a proposito del suo ruolo sociale e delle sue prospettive di vita e d'impiego.

Francisco Rodriguez, uno dei capi d'istituto coinvolti nell'alleanza, dice di avere ricevuto numerose testimonianze sull'impatto che le disuguaglianze sociali hanno avuto sulla vita e sulla percezione del mondo di tanti studenti. Abbiamo fatto progressi negli ultimi anni, sa sapere Rodriguez: ma il più resta da fare.

 

                                                                      l. v.         

 

 


                                           

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