In
Francia ci s'interroga sul domani del sistema educativo,
dopo che la traumatica esperienza del coronavirus ha imposto
una riflessione che è utile non limitare alle necessità
dell'emergenza. Ma intanto proprio l'emergenza preme:
Parigi può riaprire tutte le scuole ma non accogliere
tutti gli alunni
La
progressiva riapertura degli istituti scolastici, si legge
sul quotidiano Le Monde, accelera la riflessione per pensare
alla scuola del futuro. Si ricorda fra l'altro che fin da
un secolo fa il governo francese ha adottato misure di contenimento
nell'occasione di crisi epidemiche o pandemiche. Più
volte nel corso dell'ultimo secolo si sono decise sospensioni
parziali dell'attività didattica per fronteggiare
emergenze sanitarie localizzate. É accaduto nel 1918-19
quando in tutto il mondo imperversava la spagnola, nel 1957
in occasione dell'asiatica, nel 1968-69 di fronte all'influenza
di Hongkong e infine nel 2009 quando toccò all'influenza
A di tenere in apprensione il paese, Ma fino al marzo di
questo disgraziato 2020 non si è mai parlato di chiusura
generalizzata del sistema educativo. Non solo: sette anni
or sono, quando si discuteva su un nuovo piano anti-pandemia,
l'allora ministra della salute, Marisol Touraine, dichiarò
che una simile misura è difficilmente immaginabile,
perché provocherebbe uni choc nell'opinione pubblica.
Bene,
il coronavirus ha imposto l'adozione della misura inimmaginabile,
con relativo choc sui cittadini. E ora che finalmente si
provvede a un graduale ritorno alla normalità, gli
addetti ai lavori cercano di cogliere il solo aspetto positivo
di questa drammatica esperienza: la possibilità di
riflettere sulla connotazione della scuola del futuro. Per
esempio ridefinendo e rivalutando la figura del docente,
restituendogli quel ruolo nella società che un tempo
lontano lo contraddistingueva, e che si è successivamente
perduto nei vortici di una modernità non sempre attenta
ai valori di fondo. D'altra parte non tutti concordano su
potere rigenerativo dell'emergenza. Affermando come fanno
molti che “nulla sarà più come prima”
si commette un errore di valutazione secondo Philippe Watrelot,
uno specialista di scienze economiche e sociali molto attento
alle questioni pedagogiche: infatti si sottovaluta la resilienza
dei sistemi e la loro capacità di riprendere più
o meno rapidamente la forma originaria.
Ma
è proprio questa forma originaria che molti esperti
di meccanismi educativi intendono correggere facendo tesoro
dell'esperienza accumulata durante il confinamento. Per
esempio relativizzando il ruolo delle tecnologie informatiche
nella scuola. É vero, hanno offerto un valido supporto
nelle lunghe settimane delle aule sbarrate. Ma hanno anche
segnalato i loro limiti, a cominciare dall'impossibilità
di ovviare alla mancanza di un rapporto personale fra docente
e allievo. Perché la scuola è insieme una
relazione e un accompagnamento, e non può ridursi
a un impersonale dialogo con il computer. Si impara attraverso
un rapporto diretto non soltanto con l'insegnante ma anche
con i compagni, e con la cooperazione, il confronto delle
idee, il superamento degli ostacoli. In questo quadro, lo
strumento informatico è appunto uno strumento, che
facilita il lavoro del docente ma non potrà mai sostituirlo.
Così come non possono prenderne il posto i genitori,
anche se non va sottovalutata l'importanza di uno stretto
legame fra la famiglia e la scuola.
Mentre
il sistema è alle prese con la necessità di
conciliare sicurezza sanitaria e efficienza didattica (possiamo
riaprire il cento per cento delle scuole, si dice a Parigi,
ma non ospitare il cento per cemto deigli alunni), molti
addetti ai lavori concordano sul fatto che l'emergenza epidemiologica,
se da un lato ha messo in crisi quel principio, “la
scuola per tutti” che è fra i più caratteristici
della modernità educativa, ha decretato dall'altro
la fine di un altro tabù del nostro tempo, la scuola
a tempo pieno. Annunciando la stagione di un'esperienza
educativa basata non più sulla platea della classe
tradizionale, ma sull'avvicendamento in aula di piccoli
gruppi.
r. f. l.
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