La sua opera è ricca di spunti che la collegano all'oggi: basti pensare al contrasto fra monoteismi, alla nostalgia del passato unita all'apertura al nuovo - Eppure fra i grandi autori è forse il più trascurato dalla scuola italiana – La sua Gerusalemme liberata è lo specchio di un'epoca di transizione fra Rinascimento e Controriforma, fra attrazione dell'esotico e timore del diverso
Compresso fra Ariosto e il Barocco, Torquato Tasso è forse il classico più misconosciuto e trascurato dalla scuola italiana. L’ansia di completare il programma costringe infatti gli insegnanti a trattarlo piuttosto frettolosamente, senza gli indugi e le attenzioni che meriterebbe.
Il suo capolavoro, il poema epico Gerusalemme liberata, è lo specchio che riflette i contrasti di un’epoca a cavallo tra l’edonismo rinascimentale e il moralismo della Controriforma, tra il fascino per l’esotico e la paura del diverso, l’attrazione per la devianza e la pervasività delle regole. Generalmente i docenti lo conoscono poco: Tasso non è Dante, né Manzoni, lo trattano sì, ma “scolasticamente” verrebbe da dire: cioè come un autore necessario, ma in fondo troppo oscuro e involuto per rappresentare davvero un classico, cioè una voce ancora viva e attuale.
Se il meccanismo scolastico penalizza, l’università non aiuta: il meccanismo demenziale dei crediti attualmente in voga si basa sulla pretesa assurda di calcolare le ore di studio corrispondenti a ogni credito (venticinque per la cronaca). Chiunque dotato di buon senso capirebbe che non è possibile quantificare uniformemente lo studio (una pagina di Gianfranco Contini è forse uguale a quella di un qualunque manuale?). Per poter rispettare il monte ore dei crediti previsti, il risultato è stato il ricorso a programmi d’esame ridicolmente ridotti. Un recente esame dell’università di Torino (a. a. 2014/2015) richiedeva l’analisi specifica di solo la metà dei canti della Liberata. C’è quindi a monte un problema che riguarda il sistema universitario e la sua capacità di produrre laureati, e poi futuri docenti, adeguatamente preparati.
A peggiorare le cose c’è poi il fatto che i futuri insegnanti saranno poi formati, secondo la moda dominante, in metodologia, didattica, docimologia, competenze traversali ecc., ma ben difficilmente avranno modo di approfondire Leopardi, Dante o Manzoni. Viene da chiedersi come potranno questi studenti che sono stati disincentivati a leggere direttamente i classici motivare alla lettura chi li ascolterà. Con quali argomenti? Quali esperienze dirette?
Tornando a Tasso penso che per farne oggetto d’interesse per gli studenti d’oggi non si possa fare a meno che puntare sulla sua attualità. Gli spunti non mancano: il conflitto tra monoteismi, l’attrazione–repulsione per il diverso, lo sguardo nostalgico verso il passato unito all’apertura al nuovo (chi si ricorda l’elogio di Colombo e Magellano?). Ma al di là dei rimandi possibili ai problemi contemporanei forse l’argomento più forte è quello psicologico: Tasso ha una straordinaria capacità di rappresentare l’interiorità, una propensione a convivere con i suoi personaggi - dando loro le proprie inquietudini, i propri “fantasmi”, le proprie speranze - così grande da costringerci leggendolo a risuonare assieme ai suoi versi.
Tasso sa commuovere, cioè coinvolgere, come pochi altri poeti. L’amore dovrebbe essere nell’economia del poema essenzialmente un ostacolo, una deviazione sulla retta via che porta alla presa di Gerusalemme, eppure è sufficiente seguire le trasformazioni dei vari personaggi per accorgersi che è invece uno dei temi fondamentali, la forza che sfuggendo al controllo dell’uomo (come la Provvidenza) ne plasma il destino, segnandone l’evoluzione e il compimento. Accade così per Rinaldo che compie un vero e proprio percorso di crescita morale: dall’individualismo alla causa collettiva; per Clorinda, uccisa dall’amato e tuttavia convertita dall’amore stesso; e soprattutto per Armida. Anche per lei come per molti altri personaggi del poema il tratto distintivo è la solitudine, nel suo caso però si tratta più che di isolamento fisico (come per Erminia, Clorinda e Sofronia) di una chiusura “emotiva” solo velata dall’autocompiacimento. E’ in fondo una donna fragile che nasconde il suo vero volto perfino a se stessa, vivendo nell’illusione dell’autarchia affettiva e giungendo, poi, a doversi necessariamente confrontare con la grande solitudine che la avvolge.
Il suo simbolo è lo specchio, l’estranio arnese che ne fissa l’immagine in un gioco di rimandi senza uscita, in una duplicità che sarà frantumata da Eros. L’abbandono dell’amato è il momento che smembra il nucleo della sua persona, la frantuma. E’ questo il momento dell’autoscienza, dell’oggettivazione della propria complessità: Armida finalmente prende coscienza di sé e delle proprie fragilità, completa l’iter trasformativo innescato dall’amore, e diviene se stessa.
Marco Cappuccini
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