FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2016

 
 

Le cifre parlano chiaro e tratteggiano un quadro sconsolante: metà dei nostri ragazzi non legge libri al di fuori dei testi scolastici e non pratica attività sportive – Ancora più numerosi quelli che non frequentano musei né siti archeologici – E' ciò che gli addetti ai lavori chiamano povertà educativa, un fenomeno che si sovrappone, allargandosi a più ampi strati sociali, a quello della povertà strettamente intesa

 

Può sembrare incredibile ma le cifre fornite dall'organizzazione Save the Children sulla base di un'indagine recentissima parlano chiaro: il 48 per cento dei ragazzi italiani fra i sei e i diciassette anni, cioè praticamente la metà, nell'anno precedente l'indagine non ha mai letto un libro al di fuori dei testi scolastici (anche su quelli, magari, non tutti si sono impegnati a fondo, ma questo è un altro discorso). E ancora: oltre i due terzi non hanno mai visitato un sito archeologico, il 55 per cento non ha mai varcato la soglia di un museo. Questo deficit di esperienze variamente formative si allarga anche alle attività fisiche: il 46 per cento dei nostri ragazzi nel corso dell'anno considerato non ha mai praticato alcuno sport.

E' quella che gli addetti ai lavori chiamano povertà educativa, un fenomeno che si affianca e si sovrappone, allargandosi a macchia d'olio nella società soprattutto in certe parti del Paese, alla povertà così com'è comunemente intesa, cioè la penuria di risorse materiali. Infatti i bambini le cui famiglie sopravvivono al di sotto della soglia di povertà sono un poco più di un milione, il dieci per cento del totale. Ma come abbiamo visto, se si passa dalla povertà materiale a quella educativa il dato si moltiplica per cinque: dal dieci per cento alla metà del totale. Il rapporto, dal titolo “Liberare i bambini dalla povertà educativa: a che punto siamo?”, è stato presentato da Save the Children lo scorso maggio a Roma, nell'ambito del programma “Illuminiamo il futuro”.

Che il futuro dei nostri ragazzi abbia bisogno di essere illuminato è fuori discussione: le cifre che abbiamo riportato implicano infatti una sostanziale carenza di quei servizi e di quelle disponibilità che potrebbero aiutarli a sviluppare le loro potenzialità e quindi renderli più adatti, una volta adulti, ad affrontare le sfide di un  mondo difficile come l'attuale, nel quale i dati sulla disoccupazione giovanile si mantengono da anni su livelli a dir poco drammatici. Non soltanto nel nostro Paese, certamente, ma quando si tratta del destino dei giovani il “mal comune” è ovviamente tutt'altro che un “mezzo gaudio”.

Naturalmente il fenomeno indagato da Save the Children, come ogni elemento della società italiana, presenta una marcata disomogeneità geografica. Ancora una volta a un Sud particolarmente degradato (sono la Sicilia, la Campania e la Calabria  le regioni in cui l'offerta di servizi scolastici complementari è più ridotta) si contrappone un Nord più virtuoso (Trentino-Alto Adige, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna le regioni più ricche di iniziative extracurriculari). Queste deficienze strutturali spiegano i limiti periodicamente riscontrati dalle indagini PISA (Programme for International Student Assessment) condotte dall'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Da questi studi emerge che i nostri quindicenni figurano piuttosto lontani dalla vetta, ancora una volta con marcate differenze territoriali, nelle graduatorie internazionali su capacità di lettura e competenze fisico-matematiche.

Ragazzi pieni di ricche potenzialità che si vedono negati gli strumenti per realizzare il classico percorso del divenire: il passaggio, appunto, dalla potenza all'atto.

                                                          r. f. l. 
                                         

    


                                                  

 
 

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