Le
cifre parlano chiaro e tratteggiano un quadro sconsolante:
metà dei nostri ragazzi non legge libri al di fuori dei
testi scolastici e non pratica attività sportive –
Ancora più numerosi quelli che non frequentano musei né
siti archeologici – E' ciò che gli addetti ai lavori
chiamano povertà educativa, un fenomeno che si
sovrappone, allargandosi a più ampi strati sociali, a
quello della povertà strettamente intesa
Può
sembrare incredibile ma le cifre fornite dall'organizzazione
Save the Children sulla base di un'indagine
recentissima parlano chiaro: il 48 per cento dei ragazzi
italiani fra i sei e i diciassette anni, cioè praticamente
la metà, nell'anno precedente l'indagine non ha mai letto
un libro al di fuori dei testi scolastici (anche su quelli,
magari, non tutti si sono impegnati a fondo, ma questo è un
altro discorso). E ancora: oltre i due terzi non hanno mai
visitato un sito archeologico, il 55 per cento non ha mai
varcato la soglia di un museo. Questo deficit di esperienze
variamente formative si allarga anche alle attività
fisiche: il 46 per cento dei nostri ragazzi nel corso
dell'anno considerato non ha mai praticato alcuno sport.
E'
quella che gli
addetti ai lavori chiamano povertà educativa, un fenomeno
che si affianca e si sovrappone, allargandosi a macchia
d'olio nella società soprattutto in certe parti del Paese,
alla povertà così com'è comunemente intesa, cioè la
penuria di risorse materiali. Infatti i bambini le cui
famiglie sopravvivono al di sotto della soglia di povertà
sono un poco più di un milione, il dieci per cento del
totale. Ma come abbiamo visto, se si passa dalla povertà
materiale a quella educativa il dato si moltiplica per
cinque: dal dieci per cento alla metà del totale. Il
rapporto, dal titolo “Liberare i bambini dalla povertà
educativa: a che punto siamo?”, è stato presentato da Save
the Children lo scorso maggio a Roma, nell'ambito del
programma “Illuminiamo il futuro”.
Che
il futuro dei nostri ragazzi abbia bisogno di essere
illuminato è fuori discussione: le cifre che abbiamo
riportato implicano infatti una sostanziale carenza di quei
servizi e di quelle disponibilità che potrebbero aiutarli a
sviluppare le loro potenzialità e quindi renderli più
adatti, una volta adulti, ad affrontare le sfide di un
mondo difficile come l'attuale, nel quale i dati
sulla disoccupazione giovanile si mantengono da anni su
livelli a dir poco drammatici. Non soltanto nel nostro
Paese, certamente, ma quando si tratta del destino dei
giovani il “mal comune” è ovviamente tutt'altro che un
“mezzo gaudio”.
Naturalmente
il fenomeno indagato da Save the Children, come ogni
elemento della società italiana, presenta una marcata
disomogeneità geografica. Ancora una volta a un Sud
particolarmente degradato (sono la Sicilia, la Campania e la
Calabria le regioni in cui l'offerta di servizi scolastici
complementari è più ridotta) si contrappone un Nord più
virtuoso (Trentino-Alto Adige, Lombardia, Friuli-Venezia
Giulia ed Emilia-Romagna le regioni più ricche di
iniziative extracurriculari). Queste deficienze strutturali
spiegano i limiti periodicamente riscontrati dalle indagini
PISA (Programme for International Student Assessment)
condotte dall'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico). Da questi studi emerge che i nostri
quindicenni figurano piuttosto lontani dalla vetta, ancora
una volta con marcate differenze territoriali, nelle
graduatorie internazionali su capacità di lettura e
competenze fisico-matematiche.
Ragazzi pieni di ricche potenzialità che si vedono
negati gli strumenti per realizzare il classico percorso del
divenire: il passaggio, appunto, dalla potenza all'atto.
-
r. f. l.
-
|