FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2016

 
 

Quest'anno a Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Cagliari e in altri milletrecento comuni il calendario scolastico è stato rivoluzionato dalle elezioni – In molti istituti coinvolti si doveva chiudere fra il 6 e l'8 giugno, ma il 5 si è votato e dunque in pratica si è dovuto anticipare la chiusura al 1° - Due settimane più tardi, i ballottaggi proprio mentre si preparavano gli esami di maturità – Ma non si potrebbe votare in altre strutture?

 

Ci risiamo, tredici milioni di cittadini chiamati alle urne in alcune grandi città e in oltre milletrecento comuni, e il calendario scolastico entra in crisi. Si votava il 5 giugno, e poi ancora il 19 dove è stato necessario il ballottaggio: date nevralgiche per la scuola che ai primi del mese doveva concludere la sua attività e verso la fine avviare gli esami di maturità. L'irruzione del meccanismo elettorale ha sconvolto tutto. Si consideri che nella maggior parte dei casi le aule trasformate in seggio restano inagibili nei due giorni che precedono il voto e nei due successivi.

Inoltre, poiché la data scelta per questo appuntamento elettorale è capitata a ridosso della festività nazionale del 2 giugno, in migliaia di istituti a Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Trieste, Cagliari e in una quantità di comuni grandi e piccoli si sono dovuti fare i conti con un lunghissimo “ponte” dal 2 al 7, una settimana piena proprio nel periodo più delicato dell'anno scolastico. In pratica molte scuole sono state costrette a terminare le lezioni il 1° giugno. In alcuni casi si è cercato di correre ai ripari, come a Torino, dove la chiusura è stata spostata nella maggior parte delle scuole al 9 giugno.

Come se non bastasse, due settimane dopo il voto è andato in scena il ballottaggio, che ha riguardato moltissimi dei comuni in cui gli elettori dovevano rinnovare l'amministrazione locale. Questa volta a lezioni terminate, ma molti istituti erano alle prese con gli adempimenti preliminari per gli esami di maturità. Alcune scuole avevano in programma gli esami scritti del concorso a cattedra, altre le prove suppletive degli esami della secondaria di primo grado. Per i dirigenti d'istituto interessati, matasse difficilissime da sbrogliare. E tutto sommato è andata bene: di fronte alla ben nota disaffezione politica degli italiani, i nostri governanti  avevano accarezzato l'idea di reintrodurre la votazione in due giorni, l'intera domenica e la mattinata del lunedì. Tanto per invogliare al voto anche chi avesse preferito trascorrere la domenica al mare o in montagna.

Poi fortunatamente ci hanno ripensato: dunque al voto soltanto la domenica. Sarà così, hanno promesso, anche per il referendum sulla riforma costituzionale in programma a ottobre, probabilmente il 2, quando ovviamente si voterà in tutta Italia. Anche per quell'appuntamento c'è stata la forte tentazione di permettere il voto in due giornate, in  modo da incoraggiare un'affluenza alle urne che si teme troppo modesta e dunque tale da intralciare la marcia trionfale del “governo riformatore”: e forse la questione non è ancora chiusa.

Ovviamente l'esercizio del diritto elettorale è una prassi sacrosanta, e va organizzato con estrema cura, mettendo a loro agio gli elettori. Ma ci si chiede: è proprio necessario che si voti nelle scuole? Non si potrebbe votare altrove, per esempio nelle sedi comunali e in altri uffici pubblici, o nelle caserme, o in qualsiasi altro spazio pubblico o privato? Senza ostacolare il duro lavoro di un sistema scolastico al quale la legge prescrive un minimo di duecento giorni di lezione l'anno, e che fra ponti e scioperi fatica tenere il passo. C'è poi un aspetto davvero intollerabile: ogni volta che si parla dell'opportunità o meno di prolungare la durata del voto in una seconda giornata, si fanno soltanto considerazioni di carattere giuridico o di convenienza politica, senza che le ripercussioni sull'attività scolastica vengano nemmeno accennate.

A ben vedere è una questione di rispetto, anzi di mancanza di rispetto per il ruolo sociale del sistema educativo. Si parla tanto di “buona scuola”, ma non è facile applicare questa definizione a una scuola che proprio nei giorni della più alta manifestazione civica viene distolta dal suo preziosissimo lavoro, per di più con la massima naturalezza e con la più totale indifferenza per il disturbo.

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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