FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2015

 
 

Anche in Francia si discute animatamente attorno alle proposte di riorganizzazione scolastica: ora tocca alla riforma dell'istruzione secondaria – Come sempre si fronteggiano due schieramenti: da una parte i conservatori fedeli alla tradizionale trasmissione del sapere, dall'altra i progressisti che insistono sul ruolo maieutico del docente – Il caso della storia: l'insegnamento va organizzato per temi o attraverso il classico approccio cronologico?

 

La ministra Najat Vallaud-Belkacem, responsabile dell'educazione nazionale nel governo diretto da Manuel Valls, ha presentato la proposta di riforma del collège, l'istruzione secondaria, e come capita in Francia, non diversamente dall'Italia, ogni volta che si mette mano all'organizzazione della scuola, la discussione infuria. In Francia, scrive Samuel Laurent su Le Monde, si usa “scontrarsi a proposito dei metodi educativi”. Accade ogni volta che si parla di riforme scolastiche, e anche stavolta il crinale ideologico divide due schieramenti ormai consueti. Da una parte abbiamo i cultori della tradizione. Per loro la dialettica dell'istruzione si riduce a uno schema molto semplice: l'insegnante deve trasmettere il sapere, l'allievo lo deve apprendere. Inoltre i tradizionalisti sono favorevoli alle classi speciali per i ragazzi più dotati. Sul fronte contrapposto i progressisti, fautori di un approccio maieutico, sostengono che il docente deve piuttosto condurre per mano l'allievo sui sentieri della conoscenza, insegnargli a pensare, a imparare per conto suo.

Le accuse che i due gruppi si scambiano illustrano con efficacia le rispettive posizioni: secondo i progressisti l'altra scuola di pensiero è inaccettabilmente elitaria e tende a perpetuare le diseguaglianze sociali creando una scuola a due velocità; a loro volta i tradizionalisti accusano la controparte di “egualitarismo”, che sarebbe la versione patologica di quella égalité che è uno dei valori espressi nella triade consegnata al mondo dalla rivoluzione francese. Naturalmente l'intransigenza ideologica rischia di mancare qualsiasi obiettivo, per cui lo sforzo dei riformisti cerca per quanto possibile di conciliare i due approcci così poco conciliabili, che nello spettro politico nazionale si riflettono nel contrasto fra una destra incline alla tradizione e una sinistra tendenzialmente innovatrice. Ma è proprio l'innovazione a determinare accanite resistenze: un ex ministro dell'educazione nazionale, Luc Chatel, sostiene che il “metodo pedagogista” tipico della corrente progressista ha fallito, e che bisogna farla finita con l'ipocrisia egualitaria.

Un ambito nel quale la contrapposizione delle due scuole di pensiero è particolarmente visibile è l'insegnamento della storia. Da una parte la visione tradizionale, la vicenda storica raccontata e insegnata attraverso lo schema cronologico: è l'approccio che gli studiosi delle Annales schernivano come histoire-bataille, e che ai loro occhi riduceva la grande lezione del passato a un'arida successione di date. A questo modo di considerare la storia si contrappone l'idea di un insegnamento non più legato alla semplice cronologia ma articolato per temi. I tradizionalisti insistono anche sul valore formativo della conoscenza storica, alla quale consegnano la finalità di creare buoni e orgogliosi cittadini: per questo sostengono che non si deve dare troppo spazio alle pagine meno gloriose, più in generale “meno francesi”. Sul dibattito si esercita anche la pressione dell'attualità. Alcuni anni or sono alcuni insegnanti di storia manifestarono pubblicamente contro l'esclusione dai programmi della civilizzazione islamica. Oggi, al contrario, molti protestano contro il fatto che questo capitolo di storia è diventato obbligatorio nel ciclo secondario. Il fatto è che i tempi sono cambiati: non a caso l'islam è ormai la seconda religione in Francia, con quasi cinque milioni di praticanti, e al vertice dell'educazione nazionale c'è una ministra di origine marocchina.

La stessa autonomia delle scuole secondarie, che la riforma proposta dal governo Valls intende accrescere affidando ai singoli istituti la facoltà di decidere fino a un quinto del curriculum disciplinare, contribuisce ad alimentare il dibattito. Si teme infatti, sul fronte progressista, che la maggiore autonomia intenda nascondere l'obiettivo reale di ridurre i costi e le cattedre, e che si voglia avviare una fase di concorrenza fra le scuole in un'ottica di mercato neoliberista. Con accenti simili a quelli che in Italia hanno investito la “buona scuola” del governo Renzi, si prendono le distanze da una riforma accusata di trasformare i presidi in gestori d'impresa con pieni poteri non soltanto sull'amministrazione ma anche in ambito educativo.

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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