Il
caso delle ragazze rapite in Nigeria da terroristi ostili
all'educazione femminile – Sulla base di
un'interpretazione fanatica dei precetti coranici, costoro
confinano il ruolo della donna alla sola funzione
riproduttiva – La mobilitazione internazionale e la
difficoltà di agire in un paese sconvolto dalla violenza
– Sul fronte della condizione femminile, atroci notizie
anche dall'India, dove negli stupri di gruppo il disprezzo
per la donna s'intreccia con l'ostilità di casta
In
buona parte del pianeta se la passa davvero male, l'altra
metà del cielo. Il caso delle duecento ragazze rapite in
Nigeria dall'organizzazione di fanatici islamisti denominata
Boko Haram ha suscitato profonde emozioni nel mondo
intero. I terroristi se ne sono impadroniti lo scorso 14
aprile, sottraendole alla scuola che frequentavano nel nord
del grande paese africano. Secondo una delirante
interpretazione del verbo coranico le donne devono essere
sottratte all'istruzione, la loro funzione è puramente ed
esclusivamente riproduttiva. Sembra incredibile che nel
terzo millennio ormai inoltrato sopravviva ancora una simile
concezione della donna, ovviamente contraddetta non soltanto
dal pensiero prevalente nelle nostre società occidentali,
ma anche da quella parte del mondo musulmano che non vuol
saperne di fanatismo e violenza.
Da
quel 14 aprile è stato un moltiplicarsi di manifestazioni,
all'insegna di un motto, bring our girls back,
restituiteci le nostre ragazze, che accomuna il dolore delle
famiglie nigeriane coinvolte e lo sdegno di tutto il mondo
civile. Finora è stato un rincorrersi di notizie
contrastanti: il luogo della detenzione scoperto, poi
mutato, i terroristi che sottopongono le rapite ai più
retrogradi vincoli della sharia, la legge islamica
che quel movimento, ispirato alla visione e alle gesta di al
Qaeda, interpreta in modo addirittura caricaturale. Sono
arrivati a minacciare di vendere le ragazze ai migliori
offerenti, mentre le pressioni sul governo nigeriano, perché
affidi la soluzione del caso alle forze armate, si scontrano
con le ovvie preoccupazioni per la sicurezza degli ostaggi.
Si parla di un possibile scambio con militanti prigionieri
di Boko Haram, ma i contatti con i terroristi sono
difficili e precari. Sullo sfondo un paese in preda alle
violenze intertribali e interreligiose: villaggi a ferro e
fuoco, chiese distrutte, ritorsioni, stragi di civili.
Il
caso delle ragazze nigeriane non è la sola testimonianza
della difficoltà di essere donna in certi ambienti.
L'attualità ci offre anche sconvolgenti notizie provenienti
dall'India, dove nonostante le numerose sentenze di condanna
a morte non si placa l'ondata degli stupri di gruppo, non di
rado seguiti dall'uccisione delle vittime. L'immagine delle
due bambine impiccate a un albero di mango dopo le più
bestiali violenze ha inorridito il mondo intero. Negli
ultimi episodi si registra addirittura la partecipazione di
uomini della polizia. Il fenomeno è reso ancor più
sconvolgente dal fatto che non è soltanto il disprezzo per
la donna, considerata un semplice oggetto di abuso sessuale,
a muovere gli aggressori, ma anche l'antico pregiudizio di
casta. Infatti le donne prese di mira appartengono spesso
alla casta dei dalit, o paria, i cosiddetti
intoccabili. I loro corpi, le loro vite, non hanno alcun
valore nella percezione tradizionale che ancora sopravvive
in certi contesti rurali o nelle periferie degradate delle
metropoli indiane.
In
un confronto drammatico fra passato e futuro, il modello per
il superamento di queste incrostazioni culturali viene dal
vicino Pakistan: è il caso di Malala Yousafzai, la ragazza
che dopo essere scampata, sia pure gravemente ferita, a un
attentato dei talebani (ce l'avevano con lei, ancora una
volta, perché pretendeva di andare a scuola!), è diventata
un'icona della riscossa femminile, del diritto della donna
alla parità dei diritti e in particolare all'istruzione.
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l. v.
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