Il
deciso rincaro delle tasse universitarie ha rapidamente
determinato un calo delle immatricolazioni negli atenei
– La misura è stata imposta da problemi di bilancio, ma
evidentemente intacca uno degli obiettivi di una moderna
politica educativa, il superamento delle diseguaglianze di
classe, e di reddito, nell'accesso all'istruzione
superiore – Per questo il dibattito divampa, a Londra e
dintorni, assumendo inevitabilmente caratteri di scontro
ideologico
I
dati delle immatricolazioni parlano chiaro: da quando il
governo conservatore di David Cameron, alle prese con quelle
ristrettezze di bilancio che sono ormai comuni a tutti i
paesi occidentali, ha bruscamente elevato le tasse
universitarie, il numero dei nuovi studenti si è
immediatamente ridotto. I costi per frequentare le università
britanniche sono mediamente triplicati, raggiungendo la
cifra davvero elevata di novemila sterline. Il numero delle
immatricolazioni si è invece contratto del 7,7 per cento
nell'insieme del Regno Unito. Il dato sale al dieci per
cento per la sola Inghilterra, dove le famiglie degli
studenti devono sobbarcarsi l'intero costo dell'istruzione
superiore. Nel Galles e in Scozia, dove intervengono
sostanzioni sussidi pubblici, il calo è nettamente più
contenuto, appena il 2,7 e il 2,2 per cento rispettivamente.
Il dato dell'Irlanda del Nord, dove l'aiuto pubblico è
soltanto parziale, si colloca a un livello intermedio: meno
4,4 per cento.
Le
autorità scolastiche britanniche evidentemente temevano non
questo ridimensionamento relativamente contenuto, ma un vero
e proprio crollo delle immatricolazioni, tanto che il
ministro dell'educazione, David Willetts, sottolinea con
evidente sollievo come l'università sia ancora considerata,
nonostante i massicci rincari, un buon investimento per il
futuro a lungo termine dei giovani britannici. Quanto al
mondo accademico, commenta i dati delle immatricolazioni con
accenti preoccupati. Secondo Sally Hunt, che rappresenta
l'unione delle università e dei colleges, quei dati non
sorprendono, visto che il governo di Londra ha reso il
sistema universitario britannico “il più caro del
mondo”. Eppure, insiste, “se vogliamo competere con le
altre economie e produrre personale di alta qualificazione,
semplicemente non possiamo permetterci un sistema che caccia
la gente via dall'università”.
Il
dibattito ovviamente si arroventa e investe l'antica
questione sociale, cara alla storia della Gran Bretagna. Nel
mirino della critica c'è un governo assillato dalle
necessità di bilancio, che sembra avere rinunciato a
superare le disuguaglianze di classe e di reddito, al
sacrosanto obiettivo di permettere a tutti i giovani,
indipendentemente dal reddito familiare, l'accesso
all'istruzione superiore. Si parla di “barriere
finanziarie punitive”, tutt'altro che incoraggianti per
fare strada ai migliori, che non escono necessariamente
dalle sole famiglie in grado di sborsare simili somme. Sally
Hunt pone in discussione le priorità della maggioranza
conservatrice: “Davvero il governo vuole il ritorno a
un'epoca in cui ciò che contava per il successo non era la
competenza, ma il denaro?”
Un capitolo polemico supplementare riguarda la vocazione
internazionale delle università britanniche: si teme
infatti che le nuove tasse finiscano con lo scoraggiare
l'afflusso, fin qui tradizionalmente copioso, di studenti
stranieri
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l. v.
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