FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2011

 
 

Si dibatte attorno al ruolo del flauto nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado – C’è chi ritiene questo strumento inadeguato a trasmettere cultura musicale: ma i docenti fanno notare che il flauto è semplice da suonare e per di più costa poco, elemento importante visto che stiamo parlando di materia obbligatoria e di scuola pubblica – Il vero problema è comunicare la naturalezza del ritmo, educare all’ascolto, superare le rigidità dell’accademismo

 

Ecco che nuovamente si agitano le acque intorno alla questione dell’insegnamento musicale nella scuola dell’obbligo. Pochi giorni fa il maestro Riccardo Muti ha criticato gli “infami flautini” utilizzati in gran parte dei corsi scolastici. Gli insegnanti hanno replicato evidenziando in primo luogo la democraticità dello strumento, relativamente semplice da suonare e accessibile alle tasche di tutti. Infatti, un flauto dolce ha generalmente un costo compreso tra i 5 e i 10 euro. Questo aspetto non è trascurabile, trattandosi di scuole pubbliche e di materia obbligatoria.

Altri strumenti diffusi nei corsi scolastici elementari e medi (la musica è esclusa dalle scuole superiori, ad eccezione di quelle ad indirizzo musicale) sono quelli a percussione. Questi sono ottimi per un primo approccio al mondo sonoro, in quanto il ritmo è il primo e fondamentale veicolo del linguaggio musicale, ne è la radice. Con il ritmo è inoltre semplice portare i bambini al gioco, e non c’è modalità migliore di quella ludica per avvicinarsi alla musica.

Ben venga un incontro con la musica mediato da triangoli e flauti di plastica, piuttosto di una immediata e non tutelata caduta nelle grinfie del serioso accademismo ancora troppo diffuso nei conservatori. Se è vero che nelle scuole sarebbe auspicabile imparare a suonare dei clarinetti, nei conservatori sarebbe da recuperarsi un po’ di sana spontaneità e ricordarsi come suonare sbattendo una forchetta su un tavolo.

L’innaturalezza dell’approccio musicale di molti musicisti chiusi dentro agli ambienti spesso claustrofobici dei conservatori, è incredibile. Sono molti quelli che arrivano al diploma senza avere la minima reale confidenza con lo strumento, imbalsamati da un’impostazione minuziosa quanto limitata, approfondita quanto improvvisamente nulla appena venga spostato lo spartito. Le abilità che questi individui hanno senz’altro acquisito appartengono ad un’area che non ha certo niente a che fare con la musica.

La musica nasce da un istinto di allineamento con la natura, che è retta da ritmi che percepiamo continuamente, dentro il nostro fisico e fuori, nei vari cicli biologici. Perché nei bambini si svegli una tale consapevolezza e istinto, è necessario il gioco. La raffinatezza e l’efficacia del primo insegnamento musicale non stanno negli strumenti.

Per esempio, l’educazione all’ascolto è un punto di fondamentale importanza. Nella musica ma non soltanto. C’è sempre più distrazione nell’ascolto, ne sono esempio i grossi problemi relativi alla incapacità degli esaminati di vari gradi e contesti di stabilire quale sia la richiesta della verifica. La musica è un buon mezzo per educare anche a questo. Ma bisogna ricordare più di quanto attualmente si faccia che l’ascolto non è il termine opposto del suonare (o del parlare, o del fare, o del pensare) e non ha senso insegnare ad un bambino ad ascoltare “altro” senza prima averlo aiutato ad ascoltare se stesso nell’atto del fare.

                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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