Si
dibatte attorno al ruolo del flauto nella scuola primaria
e nella secondaria di primo grado – C’è chi ritiene
questo strumento inadeguato a trasmettere cultura
musicale: ma i docenti fanno notare che il flauto è
semplice da suonare e per di più costa poco, elemento
importante visto che stiamo parlando di materia
obbligatoria e di scuola pubblica – Il vero problema è
comunicare la naturalezza del ritmo, educare
all’ascolto, superare le rigidità dell’accademismo
Ecco
che nuovamente si agitano le acque intorno alla questione
dell’insegnamento musicale nella scuola dell’obbligo.
Pochi giorni fa il maestro Riccardo Muti ha criticato gli
“infami flautini” utilizzati in gran parte dei corsi
scolastici. Gli insegnanti hanno replicato evidenziando in
primo luogo la democraticità dello strumento, relativamente
semplice da suonare e accessibile alle tasche di tutti.
Infatti, un flauto dolce ha generalmente un costo compreso
tra i 5 e i 10 euro. Questo aspetto non è trascurabile,
trattandosi di scuole pubbliche e di materia obbligatoria.
Altri
strumenti diffusi nei corsi scolastici elementari e medi (la
musica è esclusa dalle scuole superiori, ad eccezione di
quelle ad indirizzo musicale) sono quelli a percussione.
Questi sono ottimi per un primo approccio al mondo sonoro,
in quanto il ritmo è il primo e fondamentale veicolo del
linguaggio musicale, ne è la radice. Con il ritmo è
inoltre semplice portare i bambini al gioco, e non c’è
modalità migliore di quella ludica per avvicinarsi alla
musica.
Ben
venga un incontro con la musica mediato da triangoli e
flauti di plastica, piuttosto di una immediata e non
tutelata caduta nelle grinfie del serioso accademismo ancora
troppo diffuso nei conservatori. Se è vero che nelle scuole
sarebbe auspicabile imparare a suonare dei clarinetti, nei
conservatori sarebbe da recuperarsi un po’ di sana
spontaneità e ricordarsi come suonare sbattendo una
forchetta su un tavolo.
L’innaturalezza
dell’approccio musicale di molti musicisti chiusi dentro
agli ambienti spesso claustrofobici dei conservatori, è
incredibile. Sono molti quelli che arrivano al diploma senza
avere la minima reale confidenza con lo strumento,
imbalsamati da un’impostazione minuziosa quanto limitata,
approfondita quanto improvvisamente nulla appena venga
spostato lo spartito. Le abilità che questi individui hanno
senz’altro acquisito appartengono ad un’area che non ha
certo niente a che fare con la musica.
La
musica nasce da un istinto di allineamento con la natura,
che è retta da ritmi che percepiamo continuamente, dentro
il nostro fisico e fuori, nei vari cicli biologici. Perché
nei bambini si svegli una tale consapevolezza e istinto, è
necessario il gioco. La raffinatezza e l’efficacia del
primo insegnamento musicale non stanno negli strumenti.
Per esempio, l’educazione all’ascolto è un punto di fondamentale
importanza. Nella musica ma non soltanto. C’è sempre più
distrazione nell’ascolto, ne sono esempio i grossi
problemi relativi alla incapacità degli esaminati di vari
gradi e contesti di stabilire quale sia la richiesta della
verifica. La musica è un buon mezzo per educare anche a
questo. Ma bisogna ricordare più di quanto attualmente si
faccia che l’ascolto non è il termine opposto del suonare
(o del parlare, o del fare, o del pensare) e non ha senso
insegnare ad un bambino ad ascoltare “altro” senza prima
averlo aiutato ad ascoltare se stesso nell’atto del fare.
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Laura Venturi
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