FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2011

 
 

Lo studente che copia si trova spesso circondato da un clima di bonaria tolleranza, mentre quello che lascia copiare è considerato un campione di altruismo – Eppure, a considerare la cosa da un punto di vista strettamente didattico, si tratta di comportamenti scorretti – E per di più tali da ingenerare surrettiziamente una sorta di cultura dell’illegalità: che con i tempi che corrono non è proprio il massimo come offerta formativa – Ma ora c’è chi reagisce

 

Prima un saggio pubblicato dalla prestigiosa editrice Il Mulino: “Ragazzi, si copia”, di Marcello Dei, con un sottotitolo illuminante: “A lezione di imbroglio nelle scuole italiane”. Poi la levata di scudi di un gruppo di docenti e capi d’istituto di Firenze. Comuni la preoccupazione e l’appello: insomma, vogliamo finirla con il malvezzo di tollerare chi copia, di considerare questa abitudine al più come una colpa lieve, magari come una prova di destrezza? E pensare che nelle scuole americane gli studenti non soltanto s’impegnano a non copiare e non far copiare, ma addirittura a denunciare simili comportamenti. Il codice giacobino della delazione per risanare non la società minacciata dai realisti, com’era la preoccupazione di Robespierre e compagni, ma la scuola insidiata da quella lesione del principio di merito che è rappresentata dall’attingere disinvoltamente a materiali e soluzioni altrui.

Il problema è antico e largamente radicato nella nostra scuola. Chi scrive ricorda un ragazzo particolarmente forte negli studi, nei lontani tempi del liceo, che durante i compiti in classe veniva esiliato nel laboratorio di fisica: doveva lavorare in assoluta solitudine, perché il suo cameratismo gli rendeva impossibile respingere chi gli chiedeva il classico “aiutino”. Insomma lasciava copiare, contribuendo all’”imbroglio” di cui parla Dei, e impedendo la corretta valutazione dei lavori di chi li portava a termine servendosi di quella opportunità.

Di più, il vizio coinvolge gli stessi insegnanti. Infatti il gruppo di docenti fiorentini che abbiamo citato si rivolge direttamente ai colleghi, invitandoli a “non fornire agli allievi traduzioni o soluzioni” durante gli esami. È uno scenario piuttosto familiare, quello del docente che si aggira fra i banchi dispensando consigli e suggerimenti ai ragazzi chini sui banchi. Alle prove Invalsi dell’anno scorso gli insegnanti sono stati addirittura lasciati fuori dalle aule: l’esperienza dell’anno precedente dimostrava infatti che la loro presenza di fatto alterava, attraverso gli “aiutini”, quella cristallina oggettività della valutazione che sarebbe auspicabile.

Il fatto è che la tolleranza e persino l’incoraggiamento della copiatura s’iscrivono in un contesto ben noto dei tempi nostri, fatto di buonismo e di indulgenza. Probabilmente si annida nel retro-pensiero di chi si comporta in questo modo il desiderio di compensare le molte manchevolezze della scuola. Noi docenti non siamo stati capaci di eseguire al meglio il nostro lavoro? E allora almeno non infieriamo su quei poveri ragazzi, che colpa ne hanno loro delle nostre manchevolezze? Del resto c’è anche chi teorizza l’opportunità di lasciar correre: uno che sa copiare, questa la formidabile intuizione, è uno che nella vita saprà come cavarsela. Sarà, ma intanto la tolleranza di questa abitudine è già un primo passo sulla strada dell’illegalità: e questo proprio mentre si pone giustamente l’accento sull’importanza di una seria educazione ala legalità.

                                                          f. s. 
                                         

    


                                                  

 
 

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