“Togliamo
il disturbo”: è il titolo di uno stimolante saggio
pubblicato da Guanda – Lo ha scritto Paola Mastrocola,
insegnante di Lettere in un liceo scientifico di Torino
– Il tema che vi si propone è apparentemente
provocatorio: la “libertà di non studiare”, come
recita il sottotitolo – Forte della sua personale
esperienza, l’autrice prende le mosse da alcune
sconsolanti realtà per arrivare a proporre un sistema
scolastico nuovo, che corrisponda alle aspettative e agli
stili di vita
Il
libro prende le mosse da alcune considerazioni. Prima di
tutte il progressivo disinteresse degli studenti e delle
famiglie nei confronti della scuola, disinteresse favorito
dalla struttura stessa della scuola e da retaggi più o meno
politici e organizzativi del passato. Un tempo, la scuola
era appannaggio delle classi sociali più elevate per cui si
tendeva a perpetuare la sperequazione sociale per cui chi
era ricco aveva maggiori opportunità nella vita, legate
alla possibilità di studiare, e chi era povero era
destinato a rimanere tale, salvo rare eccezioni. Alcune
riforme hanno aperto la scuola a tutte le classi sociali,
cercando di garantire una pari opportunità di partenza a
tutti. Questa democratizzazione della scuola, se da un parte
ha effettivamente permesso
un accesso da parte di tutti allo studio, ha anche
determinato un calo qualitativo dell’insegnamento e
dell’apprendimento, oltre ad una caduta valoriale
della scuola nella mentalità delle famiglie. Per questo
oggi abbiamo una situazione paradossale: tutti possono
studiare ma solo pochissimi vogliono studiare.
La
nostra società è cambiata profondamente e la tecnologia ha
una sua responsabilità in questo cambiamento, avendo creato
una sorta di cultura alternativa a quella che era
appannaggio dello studio, inteso come attività
caratterizzata dallo stare a tavolino leggendo e meditando i
libri, cercando di penetrarli e di imparare ciò che
contengono, in modo da farlo diventare un patrimonio
personale. In questo cambiamento, la scuola come è
concepita oggi
non trova più un mercato favorevole.
La richiesta di una scuola che offra studio di tipo
classico è drasticamente caduta, per cui oggi registriamo
un analfabetismo dilagante, inteso nella scarsa preparazione
dei giovani che dovranno prendere in mano la nostra società.
L’Autrice
si domanda se non è il caso che la vecchia scuola ed i
vecchi insegnanti tolgano il disturbo, salvo lasciare un
piccolo resto per quella sparuta minoranza che desidererà
ancora studiare nell’accezione spiegata sopra. L’Autrice
ritiene che lo studio sia indispensabile ed
assolutamente formativo e che un elettricista che ha
studiato sarà più bravo di uno che non ha studiato. Se,
però, nessuno, o quasi, vuole più studiare, dobbiamo
prenderne atto e modificare i sistemi ed i percorsi
scolastici al fine di non scontentare tutti come accade ora:
coloro che vorrebbero studiare lo possono fare, e non
sempre, solo con enormi difficoltà;
coloro che non vogliono studiare si trovano costretti
in una scuola nella quale non si riconoscono e che mal
sopportano, appoggiati dalle famiglie che, fra l’altro,
non concepiscono voti negativi per i
propri figli, ascrivendoli alla cattiva
professionalità degli insegnanti, questo per dare un'idea
dell'aria che tira nelle famiglie.
Se
gli studenti non studiano non è colpa degli insegnanti o
della scuola ma degli stili di vita che essi hanno e che
sono incompatibili con una scuola dello studio. La cultura
dominante oggi è quella dei media, del cellulare, dei
sistemi di comunicazione, di facebook e simili, insomma di
internet. Anche se l’Autrice rileva che chi frequenta
queste nuove "agenzie culturali" lo fa nella
assoluta ignoranza, dal momento che, in sostanza, mangiano
un cibo precotto e predisposto per loro che si adattano
senza avere idea della tecnologia che sostiene questi nuovi
riferimenti culturali. Insomma, anche se su internet si può
trovare tutto, per esempio un Hotel a Timbuctù, il problema
è che nessuno sa più dov’è Timbuctù, ne’ cosa
avviene nella realtà quando si “clicca” quel sito
piuttosto che quell’altro. Su internet si può trovare
tutto e questo ingenera la convinzione
di poter sapere tutto, ma nella realtà non si sa
proprio nulla.
Quindi
il problema della scuola non è legato alla scarsa
professionalità degli insegnanti o alle strutture
scolastiche inadeguate sia architettonicamente che quanto a
contenuti ed offerte, ma agli stili nuovi di vita dei
giovani ma anche dei loro genitori, dove lo studio non ha più
un suo spazio e non vede più riconosciuta la sua dignità
come un tempo.
Alla
fine della sua disamina che abbiamo succintamente riportato,
l’Autrice propone tre tipi di scuola:
1)
Work school,
scuola del lavoro pratico, manuale, artigianale o
tecnico-operativo, per chi vuole subito imparare un
mestiere.
2)
Communication-school,
la scuola della comunicazione, della rete, delle relazioni,
dei linguaggi multimediali, per chi vuole studiare cose
subito utili, ed in uno stile visivo-esperienziale.
3)
Knowledge-school,
la scuola dello studio astratto, della speculazione
teoretica; per chi vuole studiare in modo ricostruttivo
simbolico.
In
questa maniera ognuno potrà scegliere la sua scuola in base
al proprio progetto di vita nonché agli stili di vita non
solo suoi ma della famiglia di origine. Quest’ultima
dovrebbe capire in quale contesto è cresciuto il figlio e
quindi intuire a quale delle tre scuole poterlo iscrivere in
maniera da rispettare le aspettative e le attitudini del
ragazzo. L’Autrice riconosce che non è un compito facile
per le famiglie, scegliere per i figli. Del resto (commento
personale) le famiglie hanno sempre scelto per i figli, al
massimo si può dire che alcune famiglie hanno scelto e che
molti figli hanno, a loro volta, scelto in base alla scelta
degli amici (leggi delle loro famiglie). Insomma, la scuola
dovrebbe essere un tempo ed un luogo nel quale il giovane si
forma in base
alle proprie attitudini, a quelle alle quali è stato
abituato, ma sopra tutto dove non ci sia sofferenza per
proposte che esulano assolutamente dall’area dei suoi
interessi. Il problema è legato alla mentalità secondo la
quale una persona si qualifica più per il titolo di studio
che per le sue reali capacità: meglio un ingegnere
laureatosi a 35 anni e che non sa fare una cuccia di cane
piuttosto che un ottimo meccanico.
Personalmente
ho letto il libro con grande piacere, ne ho condiviso il
contenuto, mi aspettavo citazioni dal saggio di Roger
Scruton “La cultura conta”, libro che consiglierei (con molta modestia)
all’Autrice, ove non l’avesse letto. Infine, le molto
frequenti citazioni di articoli di un quotidiano, alle volta
spingerebbero a pensare che questo sia stato un riferimento
fondamentale per l’Autrice, quando invece l’origine e la
sostanza del libro scaturiscono dalla sua personale
esperienza che, a mio avviso, non necessitava dei tanti
supporti altrui utilizzati. Ho comperato il libro, l’ho
regalato e l’ho consigliato. Ringrazio la Prof.ssa
Mastrocola di aver detto che il re è nudo, nella speranza
che tutti se ne accorgano e lo rivestano adeguatamente.
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Alessandro Papini
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