FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2010

 
 

È possibile insegnare l’arte e contemporaneamente pretenderla autentica? – Ma per avere la sua ragion d’essere, deve essere vera, sincera, sentita, dunque frutto di un processo di graduale maturazione – La bellezza figlia dell’attenzione, dell’interesse e della scelta – E del rispetto, che va trasmesso semplicemente rispettando coloro ai quali lo trasmettiamo – A sua volta la libertà espressiva discende da un bagaglio tecnico che va tenacemente costruito

 

Fotografia, regia, musica, scrittura e così via. Su riviste, manifesti, siti internet, giornali, bacheche, è frequente trovare pubblicità di corsi di discipline artistiche di varia natura. Corsi introduttivi, corsi di approfondimento. E’ positivo che ve ne siano tanti e tanto vari.

Spesso nel loro programma c’è però un elemento inquietante, che generalmente non sbalordisce quanto dovrebbe. Come produrre qualcosa che abbia valore artistico, come non essere banale, come rendere qualcosa bello, o peggio, come rendere qualcosa significativo e denso, come concepire qualcosa di interessante. Il concetto alla base di queste espressioni programmatiche nasce e si sviluppa in un contesto di totale alienazione. Come la parola “novità”, piuttosto violentata nel suo significato e condotta in cima alla gerarchia dei giudizi.

Fondamentalmente l’oggetto artistico di valore, al quale si vorrebbe tendere, è un oggetto intrigante e per questo bello. Intrigante in quanto realizza, esplora un collegamento, una possibilità, una concezione originale e, se vogliamo, nuova. Ma questa soluzione fortunata non può che derivare da un processo di graduale maturazione che sia comprensivo di ogni passaggio intellettuale-emotivo. Altrimenti a mancare è il carattere di necessità dell’espressione artistica, carattere imprescindibile. L’arte ha bisogno di essere vera, sincera, sentita, o perde ragion d’essere, perde quella necessaria vibrazione che la rende viva.

E intorno, una buona dose di bruttezza continua a circondarci. Quel brutto che spesso è dovuto alla non-cura, al disinteresse. “La bellezza è iniziata quando qualcuno ha cominciato a scegliere”.

Non può esserci bellezza in un clima di indifferenza al valore delle cose, che non può che condurre alla trascuratezza. A mancare è il rispetto.

Il rispetto va insegnato ai piccoli, esigendone ma soprattutto portandone nei loro confronti. Si pensi alla scena penosa del genitore o dell’insegnante che rimprovera con grande maleducazione e rozzezza una mancanza del bambino. Non sempre i motivi culturali o personali rendono inevitabile che questo accada: sono molte le volte in cui basterebbe uno sforzo consapevole e una presa di coscienza a evitarlo. Il rispetto per cose, persone, avvenimenti, è necessario perché vi sia quella dimensione di osservazione attenta e intensa del reale da cui soltanto può nascere l’espressione artistica e molto altro.

E’ questo rapporto con il reale a rendere possibile la nascita di un naturale senso del bello, di un naturale concepire idee interessanti, di una naturale, vera, non-banalità. E anche di un più naturale approccio allo studio della tecnica, insegnamento legittimo di tutti i suddetti corsi, nel quale potrebbe da solo consistere il loro programma. Anche lo studio della tecnica fa parte del “sistema di cura, di attenzione, di approfondimento” ed è necessario quanto ciò di cui sopra.

Si pensi all’esercizio, al tempo e allo studio richiesti da arti quali la musica, la pittura, la danza, la scrittura. Dopotutto la tecnica, la rigorosa tecnica, è obbligata premessa della libertà. Più sono le regole, i pilastri e le conoscenze alle spalle (un “alle spalle” che continuamente deve rinnovarsi), più alta può volare la libertà espressiva.

                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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