FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2009

 
 

Il presidente e il suo ministro dell’educazione sono convinti che per reggere la concorrenza globale sul mercato del lavoro gli americani devono andare a scuola almeno sei giorni la settimana e undici mesi l’anno – La misura avrebbe un’ulteriore conseguenza positiva: impedire che nella lunga estate della vacanza tradizionale si disperda, come accade oggi, parte del sapere accumulato nei mesi precedenti – La priorità dell’istruzione di fronte al problema dei bilanci pubblici in rosso

 

Nelle scuole americane si lavora centottanta giorni l’anno: troppo pochi, di fronte ai duecentotrenta che passano sui banchi gli studenti di molti altri paesi. È quanto sostengono il presidente Barack Obama e il suo ministro dell’educazione, Arne Duncan. Quest’ultimo lo ha detto a chiare lettere, in un discorso in una scuola di Denver, Colorado: ragazzi, potete fischiarmi se volete, ma credo che la nostra settimana scolastica sia troppo corta, e che sia troppo corto anche l’anno scolastico. Non lo hanno fischiato, lo hanno anzi ascoltato con interesse quando ha loro spiegato che presto dovranno vedersela, sul mercato del lavoro, con concorrenti che a scuola ci sono andati per duecentotrenta giorni l’anno, ben cinquanta di più del loro striminzito anno scolastico. L’India e la Cina per esempio, i giganti asiatici che da soli contengono un terzo dell’umanità.

Si vogliono dunque prolungare gli orari scolastici, ma ovviamente questo comporta costi aggiuntivi elevatissimi. Bisogna affrontarli, risponde la nuova amministrazione democratica di Washington, che da tempo ha assegnato all’istruzione un rango prioritario nei suoi programmi d’azione. Poche settimane fa è stato varato un piano d’interventi nel sistema scolastico che mobilita la bella cifra di cento miliardi di dollari. Sono destinati principalmente a perseguire tre distinte finalità: potenziare l’istruzione dei ragazzi economicamente svantaggiati, garantire l’insegnamento speciale ai disabili, stabilizzare i bilanci degli stati, nelle voci che riguardano la scuola, in modo da evitare i temuti tagli degli organici. Ma una parte delle risorse rese disponibili a livello federale sarà impiegata per finanziare l’innovazione, e da Washington si fa chiaramente capire che saranno favoriti i progetti volti ad allungare gli orari scolastici.

L’insistenza su questo punto di Obama e dei suoi consiglieri in materia d’istruzione si spiega anche con altre considerazioni. La tradizionale lunga vacanza estiva, secondo accurati studi statistici, produce una conseguenza negativa: la dispersione di molte conoscenze e capacità acquisite durante i mesi della scuola. Questo è tanto più vero per i ragazzi provenienti da famiglie socialmente, economicamente e culturalmente disagiate. Si fa l’esempio di quei ragazzi che a casa parlano esclusivamente spagnolo, sono milioni ormai, e che durante le vacanze vedono dunque impoverirsi l’inglese faticosamente acquisito a scuola. Nel corso della sua campagna elettorale, Obama aveva molto insistito sulla volontà di affidare alla scuola una funzione di promozione sociale, di superamento degli svantaggi ereditati dal contesto di provenienza.

Del resto l’allungamento dell’orario scolastico non è accolto dai ragazzi così negativamente come si potrebbe pensare. Nelle scuole in cui già si pratica, generalmente istituti privati, si registra un generale risveglio d’interesse. Anche perché nelle cosiddette “intersessioni”, cioè i periodi scolastici compresi fra i trimestri effettivi, insomma nel tempo sottratto alla vacanza tradizionale, le attività non sono quelle solite: si sperimentano giochi educativi, si viaggia, si visitano musei, si fa pittura, s’impara a fare cinema al computer. Le intersessioni offrono a insegnanti capaci e motivati la possibilità di sperimentare nuovi modelli educativi, oltre a quella di conoscere meglio, in un contesto più rilassato, i ragazzi con cui hanno a che fare.

A proposito d’insegnanti, Obama e il suo ministro si sono detti favorevoli a rinnovare il sistema retributivo, basandolo sui risultati. Un bravo docente, dice Duncan, deve essere premiato anche sul piano economico, oltre che su quello soggettivo della gratificazione professionale. Questo è un terreno minato, soprattutto per un’amministrazione democratica, perché i sindacati degli insegnanti, tradizionalmente vicini al partito dell’asinello, di stipendi legati alla performance proprio non vogliono sentir parlare. Bisogna convincerli che è in ballo il futuro degli Stati Uniti: di questo Obama è assolutamente convinto, ma convincerne gli interessati è un’altra delle infinite sfide che lo attendono.

 

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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