Il
presidente e il suo ministro dell’educazione sono
convinti che per reggere la concorrenza globale sul
mercato del lavoro gli americani devono andare a scuola
almeno sei giorni la settimana e undici mesi l’anno –
La misura avrebbe un’ulteriore conseguenza positiva:
impedire che nella lunga estate della vacanza tradizionale
si disperda, come accade oggi, parte del sapere accumulato
nei mesi precedenti – La priorità dell’istruzione di
fronte al problema dei bilanci pubblici in rosso
Nelle scuole americane si lavora centottanta giorni
l’anno: troppo pochi, di fronte ai duecentotrenta che
passano sui banchi gli studenti di molti altri paesi. È
quanto sostengono il presidente Barack Obama e il suo
ministro dell’educazione, Arne Duncan. Quest’ultimo lo
ha detto a chiare lettere, in un discorso in una scuola di
Denver, Colorado: ragazzi, potete fischiarmi se volete, ma
credo che la nostra settimana scolastica sia troppo corta, e
che sia troppo corto anche l’anno scolastico. Non lo hanno
fischiato, lo hanno anzi ascoltato con interesse quando ha
loro spiegato che presto dovranno vedersela, sul mercato del
lavoro, con concorrenti che a scuola ci sono andati per
duecentotrenta giorni l’anno, ben cinquanta di più del
loro striminzito anno scolastico. L’India e la Cina per
esempio, i giganti asiatici che da soli contengono un terzo
dell’umanità.
Si vogliono dunque prolungare gli orari scolastici, ma
ovviamente questo comporta costi aggiuntivi elevatissimi.
Bisogna affrontarli, risponde la nuova amministrazione
democratica di Washington, che da tempo ha assegnato
all’istruzione un rango prioritario nei suoi programmi
d’azione. Poche settimane fa è stato varato un piano
d’interventi nel sistema scolastico che mobilita la bella
cifra di cento miliardi di dollari. Sono destinati
principalmente a perseguire tre distinte finalità:
potenziare l’istruzione dei ragazzi economicamente
svantaggiati, garantire l’insegnamento speciale ai
disabili, stabilizzare i bilanci degli stati, nelle voci che
riguardano la scuola, in modo da evitare i temuti tagli
degli organici. Ma una parte delle risorse rese disponibili
a livello federale sarà impiegata per finanziare
l’innovazione, e da Washington si fa chiaramente capire
che saranno favoriti i progetti volti ad allungare gli orari
scolastici.
L’insistenza su questo punto di Obama e dei suoi
consiglieri in materia d’istruzione si spiega anche con
altre considerazioni. La tradizionale lunga vacanza estiva,
secondo accurati studi statistici, produce una conseguenza
negativa: la dispersione di molte conoscenze e capacità
acquisite durante i mesi della scuola. Questo è tanto più
vero per i ragazzi provenienti da famiglie socialmente,
economicamente e culturalmente disagiate. Si fa l’esempio
di quei ragazzi che a casa parlano esclusivamente spagnolo,
sono milioni ormai, e che durante le vacanze vedono dunque
impoverirsi l’inglese faticosamente acquisito a scuola.
Nel corso della sua campagna elettorale, Obama aveva molto
insistito sulla volontà di affidare alla scuola una
funzione di promozione sociale, di superamento degli
svantaggi ereditati dal contesto di provenienza.
Del resto l’allungamento dell’orario scolastico
non è accolto dai ragazzi così negativamente come si
potrebbe pensare. Nelle scuole in cui già si pratica,
generalmente istituti privati, si registra un generale
risveglio d’interesse. Anche perché nelle cosiddette
“intersessioni”, cioè i periodi scolastici compresi fra
i trimestri effettivi, insomma nel tempo sottratto alla
vacanza tradizionale, le attività non sono quelle solite:
si sperimentano giochi educativi, si viaggia, si visitano
musei, si fa pittura, s’impara a fare cinema al computer.
Le intersessioni offrono a insegnanti capaci e motivati la
possibilità di sperimentare nuovi modelli educativi, oltre
a quella di conoscere meglio, in un contesto più rilassato,
i ragazzi con cui hanno a che fare.
A proposito d’insegnanti, Obama e il suo ministro si
sono detti favorevoli a rinnovare il sistema retributivo,
basandolo sui risultati. Un bravo docente, dice Duncan, deve
essere premiato anche sul piano economico, oltre che su
quello soggettivo della gratificazione professionale. Questo
è un terreno minato, soprattutto per un’amministrazione
democratica, perché i sindacati degli insegnanti,
tradizionalmente vicini al partito dell’asinello, di
stipendi legati alla performance proprio non vogliono sentir
parlare. Bisogna convincerli che è in ballo il futuro degli
Stati Uniti: di questo Obama è assolutamente convinto, ma
convincerne gli interessati è un’altra delle infinite
sfide che lo attendono.
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a. v.
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