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FOGLIO
LAPIS - GIUGNO - 2009
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Proprio
là dove la lingua madre coincide con l’idioma
universale un recente provvedimento rilancia le conoscenze
linguistiche come elemento essenziale dell’istruzione
– Il fatto che i britannici, grazie alla diffusione
mondiale del loro modo di esprimersi, tendano a ignorare
la conoscenza di altre lingue, è considerato un grave
svantaggio nell’era della globalizzazione –
L’esempio della Svizzera, dove il plurilinguismo è
considerato un forte elemento di sviluppo
E’ stato recentemente reso pubblico
che dal 2012 per avere accesso allo University College di
Londra sarà necessario presentare un certificato di lingua
straniera. La British Academy (accademia nazionale per le
discipline umanistiche e le scienze sociali)
ha appoggiato l’iniziativa, spingendo affinché si
estenda presso altre università.
Nel rapporto della B.A. “Language
Matters” si asserisce che ci sarà molto da lavorare,
perché possa essere resa evidente l’erroneità del luogo
comune per il quale è ritenuto inutile lo studio di lingue
straniere per le persone di madre lingua inglese.
Si ritiene, nel rapporto, che la posizione britannica
nel panorama di ricerca internazionale rischi di essere
minata proprio dalla diffusa incompetenza degli studiosi in
materia linguistica. Tali competenze sono ritenute
necessarie per affrontare diverse sfide di sviluppo globale
appartenenti a vari ambiti, da quello della sicurezza a
quello medico a quello economico.
I ricercatori monolingue avrebbero
infatti difficoltà a competere con quelli, stranieri,
plurilingue. Per esempio è loro precluso l’utilizzo di
materiale in lingua straniera, come anche la partecipazione
a progetti di studio di nazioni estere.
Finora la tendenza è stata quella di
assumere stranieri, quando particolari abilità linguistiche
fossero necessarie in un progetto di ricerca. La British
Academy insiste invece perché lo studio delle lingue sia
incoraggiato presso le istituzioni educative nazionali.
Negli ultimi anni in Gran Bretagna ha
avuto luogo un progressivo declino di tali studi, dalle
scuole primarie all’università. Ben un terzo dei
dipartimenti linguistici universitari è stato chiuso in
soli sette anni. Questo proprio in un periodo in cui,
invece, all’estero cresce la coscienza dell’importanza
dell’utilizzo dei mezzi linguistici in svariati ambiti
lavorativi.
“La ricerca avanza non soltanto con la
scoperta di nuovo materiale, ma anche creando nuovi modi di
pensare, di capire e di analizzare quello stesso materiale.
Uno dei modi migliori di liberare e velocizzare i processi
mentali è quello di confrontarsi con tradizioni diverse
dalla propria, di comprenderle davvero nelle lingue che sono
loro naturali”. Le posizioni europee, assunte in occasione
delle Assise del plurilinguismo (2005-2008), sono molto
vicine a questa idea, espressa sempre nel “Language
Matters” della British Academy.
La “Carta europea del
plurilinguismo” sottolinea come sia riduttiva la tensione
esclusiva all’unica lingua franca strumentalizzata ai fini
della comunicazione commerciale, diplomatica, economica,
ecc., e l’importanza del plurilinguismo nell’identità
europea. Il patrimonio linguistico è inscindibile da quello
culturale, la conoscenza di lingue straniere è premessa
della conoscenza profonda delle varie realtà nazionali.
La lingua non è solo mezzo, ma anche
“generatrice di rappresentazioni” e di percorsi
cerebrali, garante di varietà, perciò, nell’ordinare le
idee: essenziale allo sviluppo intellettuale in genere.
Le ricerche svolte nell’ambito
delle Assise hanno evidenziato che l’11% delle imprese
continentali di medie o piccole dimensioni ha registrato
perdite nelle esportazioni a causa di limitate risorse
linguistiche e, perciò, interculturali. Dallo studio
“Lingue straniere nell’attività professionale”
dell’Università di Ginevra
è perfino emerso che il 10% del prodotto interno
lordo svizzero è dovuto al plurilinguismo della nazione.
(Nella Confederazione sono quattro le lingue ufficiali: il
tedesco, il francese, l’italiano e il romancio).
Il rapporto dello studio, diretto dal
professor François Grin, si occupa anche di specificare
l’importanza delle competenze linguistiche nei particolari
settori economico-lavorativi. E’ indicativo che sia
proprio il settore “servizi alle imprese e informatica”
a trarne maggiore vantaggio.
Anche in Italia l’appena approvata riforma dei
licei sembra muoversi timidamente verso una maggiore
familiarizzazione con le lingue straniere, con
l’introduzione, nel quinto anno, dell’insegnamento di
una disciplina non linguistica in lingua straniera;
iniziativa interessante che ricalca i consigli di duttilità
educativa delle lingue proposti nella Carta europea del
plurilinguismo.
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Laura Venturi
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