FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2008

 
 

Un ricordo di quando l’uomo della provvidenza visitava le più domestiche fra le sue colonie, quelle placidamente allineate lungo il litorale romagnolo, e i piccoli indigeni lo salutavano con la bandierina e il braccio teso – Intanto le maestre curavano l’onda dei loro capelli ispirandosi al moto del mare: il primo, non l’altro, capriccioso e intemperante, la pecora blu della famiglia

 

Percorro tutta la
navata della
spiaggia / mi
inginocchio in
prima fila nella
sabbia / ascolto la
voce delle onde: / è
il mare l'unico dio
che mi risponde

 

Tiro fuori dal telefonino la poesia così com'è. Raggrinzita come un papavero dentro il suo astuccio verde. Rattrappita per il freddo perché è bagnata. Cerco di coprirla con l'accappatoio bianco come un foglio di carta. Ciascuno deve distenderla al sole. Darle il verso giusto.

Questa fantastica in esercizio ha inizio in una colonia italiana, la "Dalmine", acquartierata tra Cattolica e Bellaria. Una cattolicissima colonia piena di bambini e bambine. Oggi chi lo direbbe che la riviera romagnola era considerata allora una colonia? L'uomo della provvidenza era al potere da più di dieci anni: sorgeva dalle acque del Golfo di Venezia con il suo motoscafo e salutava i bambini. E le maestre facevano agitare le bandierine tricolori alle bambine, che le stringevano con i ditini nelle loro manine: pugno chiuso e mano tesa nel saluto romano. E le coste dell'Adriatico, in quel tratto di mare ritratto tra Cattolica e Belleria, avevano le dune di sabbia alte, belle roventi... altro che in Africa! E in Libia avevamo altrettante colonie, in Somalia e in Eritrea. Insomma, c'era l'impero. E le maestre si facevano le onde come tutte le giovani italiane, arricciandosi i capelli coi ferri caldi, facendosi bionde come le tedesche a furia d'acqua ossigenata... Come era bello prendere una boccata d'ossigeno tra quei capelli fitti come la Selva Nera! Così le maestre cantavano:

Io c'ho i capelli con le onde
fanno le onde così forti, così alte
che ogni tanto il mio cervello va per mare
anche se non vuole
lo prendono su e lo portano al largo
poi lo sbattono sugli scogli
 
Quando ho i capelli così mossi è un pericolo
perché io non so chi sa e chi non sa nuotare
così a tutti quelli che incontro
grido ALT! Non toccarmi i capelli!
Sei la solita esagerata dice mia madre
che mi è sempre contraria
e preferisce che io non abbia niente di speciale
Ma si sbaglia, io non esagero
ieri i miei capelli erano così mossi che li hanno detti per radio
tra il mar ligure e il mare tirreno
il colonnello meteorologico mi ha nominata:
onde altissime nei capelli di me
specie sul ciuffo
A quel punto mi sono addormentata
con nelle orecchie
lo schiaffo dell'onda della parola "ciuffo"

I miei capelli fanno le onde

ma non sono azzurre
sembrano più grige
da brutto tempo
 
Quando vado da lui il mio parrucchiere 
si mette la cerata per ripararsi
– vuole che glieli stiro? mi dice
– no, dico io
si è mai visto stirare le onde?
aspetto che la testa si calmi, dico:

 

"Se va giù il vento"

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Dove sono andate tutte le lacrime che abbiamo pianto?
Perdute, mute
Dovrebbero raccogliersi in grandi nuvole personali:
che a tutti siano visibili
sempre
i nostri temporali

 

È sotto gli occhi di tutti, anzi, sopra, il secondo mare. Però nessuno lo vede perché il secondo mare non sta al suo posto, non è diligente come il primo mare che se ne sta buono e bravo nella sua smisurata scatola senza coperchio. Il secondo mare è pazzo, è la pecora blu della famiglia e dopo aver tempestato, inondato e (a)mareggiato per millenni, un giorno ha preso tutte le sue gocce e è scappato di casa.

Da allora, milioni di anni fa, molto prima che l'uomo della provvidenza comparisse sulle sue spiagge, conduce una vita dissoluta, ai quattro venti, con tutte le sue acque sparpagliate, scoordinate, condensate, precipitate. Come se non bastasse, il secondo mare ha perso il suo moto ondoso. E questo è molto grave, perché sono le onde l'inequivocabile segno del benessere mentale del mare.

Un mare in buono stato, in prossimità del limite, del confine con la terra, frena. E in questo frenare si accartoccia, si involve, si monta in collo, spinto dalla cinetica e dall'orgoglio, fino a fermarsi del tutto solo all'ultimo istante. A un pelo dallo sfracellarsi sul concetto di solido insito nella terraferma, lui così aderente al concetto di liquido.

Va a fermarsi in quel grazioso inchino che è l'onda la quale contemporaneamente avanza e arretra, che spaventa la terra portando in avanti le possenti spalle come per abbatterla e insieme ne è spaventata. E così retrocede riconoscendo la superiorità dei chili sui litri, degli elefanti sulle alghe, del marrone sul celeste... Il Mar Rone, che marrano!

Ma altri ettolitri d'acqua si tuffano in avanti a minacciare e arretrare, ancora e ancora, instancabilmente. In attesa che capiti il momento (e – capiterà capiterà! – si ripete nelle stanze segrete degli abissi dove si governa il furore delle acque) in cui la terra sarà distratta e la riva girata indietro e la battigia addormentata e allora il mare con un ruggito si butterà avanti e sbranerà un grosso boccone di terra e la nasconderà sotto le sue onde. Poi subito riabbasserà la testa e fingerà amicizia e colleganza, tregua e rispetto. Brillerà sotto la luna calmo e chiaro e porterà conchiglie.

Il secondo mare, comunque, è la pioggia.

 

                            Filippo Nibbi, Giovanna De Carli 
                                         

    


                                                  

 
 

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