Vi
sono coinvolti quasi mezzo milione di studenti e centomila
docenti distribuiti in venticinquemila commissioni
d’esame – Il rito della maturità muove
un’articolata, e costosa, macchina organizzativa – Ma
suscita anche tradizionali polemiche, e come se non
bastasse c’è stata quest’anno la deprimente
sceneggiata degli strafalcioni ministeriali nelle tracce
dei temi – Anche in Francia, dove il baccalauréat interessa
oltre seicentomila candidati, l’antica istituzione è
sotto il tiro della critica
Il tema d’italiano, il toto-tema su cui si
sbizzarrisce la stampa, la guerra preventiva contro
cellulari e palmari, tecnologicamente in grado di stabilire
impropri collegamenti fra i candidati rinchiusi in conclave
e il mondo esterno, con tutta la sua potenziale ricchezza di
dati, argomenti e suggerimenti. È così che
tradizionalmente s’inizia il rito annuale della maturità.
Quest’anno riguarda oltre 496 mila studenti e circa
centomila docenti che costituiscono venticinquemila
commissioni d’esame. Nell’esercito dei maturandi c’è
una leggera prevalenza femminile, il 51 per cento, che nei
licei raggiunge quasi i due terzi del totale. Poco meno di
un terzo degli studenti hanno vent’anni o più: sono
dunque più o meno in ritardo rispetto alla maggioranza, che
si presenta all’appuntamento all’età normale di
diciannove anni. Ci sono anche ventimila ragazzi/e al di
sotto di questa età. Ci sono infine dodicimila stranieri,
per circa i tre quarti al di sopra dei diciannove anni
d’età.
Come ogni anno, anche in questi giorni si riapre il
dibattito attorno all’utilità di questa prova, più in
generale attorno all’efficienza dell’istruzione
secondaria che qui trova la sua consacrazione formale.
Secondo le statistiche la maggioranza degli studenti che
frequentano il primo anno d’università incontra serie
difficoltà nell’impatto con l’istruzione superiore, per
molti di loro l’esperienza porta a un rapido naufragio.
Non a caso il risultato dell’esame di maturità gode di
pochissima considerazione sia in sede di ammissione
all’università, sia da parte dei datori di lavoro. C’è
dunque chi non senza qualche ragione chiede che questo rito
farraginoso e costoso (183 milioni di euro la previsione di
spesa) sia trasformato in un esame più rigoroso e selettivo
(oggi non lo è affatto: la percentuale dei promossi sarà
come al solito di appena quattro o cinque punti al di sotto
del cento per cento), preceduto da studi più approfonditi e
meglio organizzati. E condotto, se possibile, all’insegna
dell’efficienza o almeno della decenza: è intollerabile
che la burocrazia ministeriale sforni, com’è accaduto
quest’anno con l’italiano, il greco e l’inglese,
tracce di temi con incredibili strafalcioni.
Se la cosa può consolare, possiamo aggiungere che
l’esame conclusivo della scuola secondaria è sotto tiro
anche in altri paesi, per esempio in Francia. Anche qui è
tempo di maturità, anzi di baccalauréat: e anche
qui si tratta di un rito solenne ereditato dal passato.
Secondo Xavier Ducros, ministro dell’educazione nazionale,
siamo addirittura di fronte a “uno dei blocchi di granito
su cui si regge la Repubblica”, ma si sa che i francesi
indulgono volentieri alla retorica. Le statistiche del bac
ci parlano quest’anno di quasi 616 mila candidati,
divisi fra un 51 per cento dell’indirizzo scientifico, un
30 dell’economico, un 19 del letterario. Saranno valutati
da quasi 150 mila esaminatori, che dovranno vedersela con
quattro milioni di prove scritte. I dati forniti dalla
stampa francese ci offrono un singolare dettaglio: il più
giovane fra i candidati alla maturità ha tredici anni, il
più vecchio sessantatre.
Del resto anche in Francia è tempo di critiche e di
riforme. Esattamente come nelle università italiane, anche
qui gli studenti del primo anno arrivano dagli istituti
secondari carichi di lacune. E poiché si profila
un’articolata riforma del sistema educativo, alcuni ne
approfittano per chiedere che la scuola secondaria sia
finalmente adeguata ai tempi. Ma come riferiamo in altra
parte del giornale la riforma che il ministro Ducros sta
mettendo in cantiere sembra animata da finalità non
esattamente coincidenti con quella di migliorare il
rendimento culturale del sistema: prima fra tutte quella di
tagliare le spese per migliorare i bilanci pubblici in
affanno. Tempi duri per tutti dunque, ma almeno alla scuola
francese è risparmiata l’umiliazione di un ministero che
non è nemmeno in grado di fornire materiale corretto
all’elaborazione degli studenti.
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Fredi Sergent
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