FOGLIO LAPIS - GIUGNO - 2008

 
 

Il nuovo ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, rilancia il tema delle lezioni di civismo, presenti nel nostro ordinamento scolastico ormai da mezzo secolo ma finora applicate soltanto sporadicamente e senza chiare definizioni operative – In effetti non è facile affrontare un tema come questo in un paese che sacrifica sempre più lo studio della storia, che dell’educazione civica dovrebbe essere il punto di riferimento – Per non  parlare della quasi totale assenza del diritto dai curricoli

 

Negli Stati Uniti d’America e in altri paesi anglofoni si chiamano lezioni di citizenship, di cittadinanza. Da noi è la fantomatica ora di educazione civica. In che cosa debba consistere esattamente nessuno lo ha mai chiarito, ma di fatto esiste nel nostro ordinamento scolastico ormai da cinquant’anni, da quel 1958 in cui l’allora ministro della pubblica istruzione, Aldo Moro, introdusse nei curricoli il nuovo insegnamento. È passato dunque mezzo secolo, il ministero della pubblica istruzione si è una volta ancora trasformato nel ministero dell’istruzione, università e ricerca e la nuova titolare, Mariastella Gelmini, annuncia il proposito di rilanciarlo. Lo fa in un luogo e in un’occasione significativi: Palermo, 23 maggio, anniversario della strage di Capaci che vide il giudice Giovanni Falcone massacrato dalla mafia con la moglie e gli uomini di scorta.

Niente potrebbe essere più efficace di quel ricordo sanguinoso, per affermare l’opportunità e anzi la necessità di fare dell’educazione civica una materia di studio. Purtroppo è proprio l’ambiguità dell’esperienza di questi cinquant’anni a complicare il discorso. Che cosa significa insegnare educazione civica? È possibile impartire lezioni di cittadinanza? In che cosa dovrebbero consistere, oltre che nel distribuire copie della Costituzione? È compatibile l’enfasi sulle virtù del civismo con la semplificazione nelle tre famose I, inglese internet impresa, dell’assunto didattico nazionale? Su questi punti si attendono lumi dal ministero di Viale Trastevere.

Sembra evidente che l’impostazione di una simile disciplina deve fare i conti con due materie, la storia e il diritto, che non godono certo i favori dell’attualità scolastica. D’altra parte, insegnare la Costituzione senza metterla in rapporto con gli eventi che l’hanno fatta maturare, significherebbe ridurla a una serie di precetti, che magari un ragazzo meno impaziente dei suoi compagni può anche mandare a memoria. Ma difficilmente li sentirà come valori, perché questo presuppone una conoscenza almeno schematica del grande percorso storico di cui la Costituzione è stata un punto d’arrivo: dal diritto romano alla Magna Charta, dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo alla negazione di tutto questo da parte dei totalitarismi del Novecento.

Ci sono anche condizionamenti di tipo contingente e caratteriale: come si fa a trasformare in buon cittadino un ragazzo alle prese con il fenomeno del bullismo? Quale fiducia potrà mai avere nella legalità chi cresce all’insegna della legge truce del più forte? Il ministro si rende perfettamente conto di questo, se è vero che nella stessa occasione in cui ha ripreso il tema dell’educazione civica ha anche annunciato la costituzione di “una task force per risposte non banali al problema del bullismo”. Ecco, combattere questa forma di prepotenza che dilaga nel mondo giovanile dimostrandone la tipica funzione di maschera dell’insicurezza: questo potrebbe essere l’avvio di un discorso pratico, prima ancora che didattico, sul civismo.

Ma se non si riuscirà a fondare la qualità di cittadini su un senso di comunità scaturito dalla storia, nella percezione giovanile rimarrà sempre qualcosa di estraneo, o di artificioso. Comunità locale, o regionale, se proprio si vuole evitare l’enfasi nazionalistica: visto che non siamo negli Stati Uniti, dove i ragazzi cantano l’inno con la mano sul cuore, ma nel paese in cui soltanto la nazionale di calcio sembra offrire un legame più o meno coincidente con l’intero territorio della repubblica.

 

 

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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