Uno
dei primi atti del nuovo ministro, Giuseppe Fioroni, è un
provvedimento per ripristinare la vecchia denominazione
ministeriale – Scompare il Miur di Letizia Moratti, le
competenze in materia di università e ricerca trasferite
a un altro dicastero affidato a Fabio Mussi – Si avvia
intanto, con il blocco della sperimentazione dei nuovi
licei che doveva scattare il prossimo settembre, la
revisione della riforma della scuola annunciata dal nuovo
governo
Secondo la Costituzione il diritto all’istruzione è
un bene di tutti, indipendentemente da chi è chiamato a
tradurlo in pratica. Sulla base di questa considerazione
Giuseppe Fioroni, il nuovo ministro succeduto a Letizia
Moratti, ha annunciato di avere avviato la procedura per il
ripristino del vecchio nome del ministero di Viale
Trastevere: non più Miur ma Pubblica istruzione. La sigla
che si accantona era del resto superata dalla stessa
ristrutturazione introdotta dal governo Prodi, che ha
trasferito a un apposito ministero, affidato a Fabio Mussi,
le competenze in materia di università e ricerca. Abbiamo
dunque di nuovo un ministero della Pubblica istruzione: un
ritocco filologico che al di là dell’interpretazione
costituzionale offerta da Fioroni rivela una chiara
intenzione politica. Dopo che il governo di centrodestra
aveva privilegiato l’istruzione privata, con il cambio di
maggioranza la priorità torna a identificarsi nella scuola
di stato.
Naturalmente dall’avvento del centrosinistra ci si
aspetta qualcosa di più che un cambiamento di ragione
sociale. Al centro dell’attenzione e delle attese è il
destino della discussa riforma Moratti, che certo la sua
ispiratrice seguirà con comprensibile interesse dal nuovo
ufficio di sindaco di Milano. Come si sa all’interno della
nuova maggioranza, piuttosto articolata fra gli estremi
della sinistra radicale e del centrismo cattolico, ci sono
due diversi punti di vista: da una parte chi vorrebbe
buttare a mare l’intera riforma e ripartire da zero,
dall’altra chi intende semplicemente ritoccare il progetto
Moratti in alcuni punti particolarmente controversi. Si
arriverà probabilmente a un compromesso: correzioni sì, ma
piuttosto profonde. In questo senso si sono espressi sia il
neoministro Fioroni, sia lo stesso presidente del consiglio
Romano Prodi.
La revisione della riforma Moratti è di fatto già
cominciata quando Fioroni ha annunciato il blocco della
sperimentazione dei nuovi licei, che doveva partire con
l’avvio del prossimo anno scolastico. Il nuovo ministro fa
sapere che poco più di una cinquantina di istituti
superiori, il tre per cento, avevano presentato progetti
sperimentali, e che quasi tutti si limitavano a introdurre
innovazioni realizzabili all’interno degli spazi previsti
dall’autonomia scolastica. Dunque l’invito
all’anticipazione sperimentale degli otto licei disegnati
dalla riforma, e destinati a entrare in vigore con l’anno
scolastico 2007/08, era praticamente caduto nel vuoto. In
attesa di ridefinire gli obiettivi, in particolare di
rinegoziare con le regioni la struttura dell’insegnamento
secondario, il ministro ha dunque deciso di eliminare ogni
incertezza. A settembre tutto sarà come prima: i licei
tradizionali, gli istituti tecnici, le scuole professionali.
Sospendendo il decreto sulla sperimentazione di
Letizia Moratti, Fioroni ha ricordato fra l’altro che
l’atto era dovuto anche perché pendono i ricorsi delle
regioni: sono ben quindici quelli che chiamano in causa il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, mentre la
Toscana ha addirittura investito del caso la Corte
costituzionale. Considerata la rapidità tradizionalmente
non proprio fulminea di queste procedure, c’è da
prevedere che lo slittamento si protrarrà a lungo. Ci sarà
dunque tutto il tempo di ridefinire l’intera materia, di
rivederne in particolare i due punti di maggiore attrito: la
cosiddetta licealizzazione dell’istruzione tecnica e la
divisione delle competenze fra stato e regioni. Una cosa al
momento appare praticamente certa: nell’autunno
dell’anno prossimo, quando sarebbero dovuti partire gli
otto licei, tutto sarà invece come prima. A parte un
dibattito prevedibilmente acceso su una riforma di cui
nessuno mette in dubbio la necessità e l’urgenza: ma
questo è l’unico punto su cui convergono maggioranza e
opposizione, aspramente divise sul “come” disegnare la
scuola nel terzo millennio.
f. s.
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