Nel
2003 circa 75 milioni di persone, quasi un quarto della
popolazione degli Stati Uniti, frequentavano il sistema
scolastico dalle materne alle università – Il dato
relativo alle elementari e alla secondaria, 49,6 milioni
di alunni, è il più alto dopo quello registrato nel 1970
(48,7) – Allora erano i figli del baby boom registrato
negli anni Cinquanta, oggi tocca ai figli dei figli – Il
ruolo dell’immigrazione e la composizione delle classi
per provenienza etnic
a
La
popolazione scolastica degli Stati Uniti sta subendo un
secondo contraccolpo del cosiddetto baby boom, l’impetuoso
incremento delle nascite che cominciò dubito dopo la fine
della seconda guerra mondiale e si protrasse fino
all’inizio degli anni Sessanta. Si tratta di quello che
gli studiosi dei fenomeni demografici chiamano effetto eco:
i molti bambini nati in quel periodo di particolare
ottimismo e fiducia nel futuro fecero segnare un record di
presenze nel sistema scolastico. Nel 1970 le dodici classi
della scuola elementare e della secondaria (si parla qui
complessivamente dell’istruzione pubblica e privata) erano
frequentate da 48,7 milioni di alunni. Il primato è rimasto
tale fino al 2003, quando si è verificato appunto
l’effetto eco: stavolta a affollare le scuole sono stati i
figli dei baby boomers (i nipoti del baby boom, se così si
può dire), che con il sostanzioso contributo di una
crescente immigrazione hanno portato al nuovo record: 49,6
milioni di alunni.
È
il Census Bureau di
Washington, l’ufficio federale che gestisce le statistiche
demografiche, a fornire questi dati. Ne fornisce anche
altri. Per esempio quello relativo alla popolazione
scolastica complessiva, dalla materna all’università. Si
tratta di 74,9 milioni di giovani e giovanissimi americani,
quasi un quarto della popolazione. Questa la suddivisione
fra i vari ordini di scuole: 8,6 milioni nelle materne e
nelle preschools, 32,5 nelle elementari, 17,1 nelle
secondarie, 16,7 nei colleges. Ovviamente i dati
sull’andamento delle nascite permettono facili proiezioni
del fenomeno nei prossimi anni: si prevede dunque che la
popolazione scolastica si manterrà su questi livelli ancora
per qualche tempo, per poi registrare un leggero
ridimensionamento attorno al 2010 (a causa di un calo della
natalità negli anni Novanta) e puntare nuovamente verso
l’alto negli anni successivi.
I
quasi cinquanta milioni di alunni registrati nelle dodici
classi comprese fra i sei e i diciotto anni d’età
rappresentano una sfida assai impegnativa per il sistema
scolastico degli Stati Uniti. Anche perché il fenomeno si
presenta diffuso in modo tutt’altro che uniforme: la
pressione è maggiore nei distretti attorno alle grandi aree
urbane e in alcuni stati del West come la California o il
Nevada. Il Census Bureau fa sapere a titolo d’esempio che
i distretti attorno a Houston, Atlanta e Las Vegas sono alle
prese con aumenti della popolazione scolastica del venti per
cento negli ultimi cinque anni. I problemi che ne conseguono
riguardano gli organici docenti, le classi sovraffollate, la
necessità di corsi preliminari d’inglese per i piccoli
immigrati o appartenenti a famiglie naturalizzate da poco
tempo. Infatti oltre un quinto degli studenti americani ha
almeno un genitore nato all’estero.
In
alcune aree, per esempio nella parte più settentrionale del
Midwest in cui l’immigrazione è marginale, mentre gli
effetti di secondo grado del baby boom sono compensati dalla
tendenza di molte famiglie a trasferirsi in altre parti
degli Stati Uniti dove maggiore è l’offerta di lavoro, si
registra il fenomeno esattamente opposto: una progressiva
riduzione degli alunni che porta alla chiusura di numerose
scuole. I problemi che ne conseguono sono di natura
completamente diversa: per esempio in certi distretti rurali
ci sono ragazzi costretti a un’ora, addirittura due ore di
bus per presentarsi alle lezioni.
Di
particolare interesse i dati relativi alla composizione
etnica delle classi americane, che negli ultimi tempi è
stata sensibilmente modificata dai fenomeni migratori. I
ragazzi “bianchi non ispanici”, come recita la
classificazione ufficiale, che nel 1970 costituivano il 79
per cento degli alunni nelle dodici classi (elementare più
high school), nel 2003 sono scesi al 60 per cento. Nello
stesso periodo i neri sono saliti dal 14 al 16 per cento,
gli asiatici dall’1 al 4 mentre gli hispanics, la
minoranza di lingua spagnola che costituisce il gruppo di più
forte espansione, sono balzati dal 6 al 18 per cento. Anche
la dispersione scolastica colpisce in modo etnicamente
differenziato: riguarda infatti il tre per cento dei bianchi
e il cinque di neri e ispanici.
Quanto
all’istruzione universitaria, le statistiche avvantaggiano
prevedibilmente i bianchi, ma anche gli asiatici,
penalizzando neri e ispanici. La cifra di 16,7 milioni di
ragazzi che nel 2003 frequentavano i colleges è infatti
composta da un 68 per cento di bianchi, un 13 di neri, un 7
di asiatici e un 10 per cento di ispanici. Le statistiche
federali forniscono infine un dettaglio di particolare
interesse: fra i giovani americani che affollano i colleges
le ragazze si ritagliano la parte del leone: raggiungono
infatti il 56 per cento.
r.f.l.
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