Due
testi a confronto in Gran Bretagna: da una parte i
tradizionalisti, appoggiati dal ministero
dell’istruzione, che considerano l’homework parte
essenziale dell’attività didattica, dall’altra gli
innovatori che vorrebbero eliminare questo sforzo
prolungato oltre l’orario delle lezioni – Alcuni
parlano di stress, di ansia, di scomparsa del tempo
libero, altri difendono la prassi come elemento che
contribuisce a coinvolgere le famiglie nel lavoro
scolastico
Sulla
stampa britannica, che tradizionalmente dedica molto spazio
all’attualità educativa, si dibatte da qualche tempo sul
ruolo e sull’opportunità dei compiti a casa. Come si
ricorderà il tema è da tempo in discussione anche in
Italia, anche se con minor partecipazione da parte dei
giornali, e il Foglio Lapis ha a suo tempo posto in
discussione una prassi che anche da noi trova sempre meno
sostenitori. Nel Regno Unito le due tesi contrapposte hanno
entrambe fautori agguerriti. È didatticamente corretto
questo supplemento di attività scolastica oltre l’orario
delle lezioni? Alcuni ritengono di sì: un capo
d’istituto, Roy Tedscoe, ha detto alla Bbc che l’homework
è un elemento di raccordo fra scuola e famiglia, che
favorisce il coinvolgimento dei genitori nello sforzo
educativo dei figli. Gli fa eco una fonte ministeriale, che
definisce i compiti a casa una componente essenziale di una
buona istruzione.
Ma
proprio i genitori non sono certamente tutti d’accordo.
Molti di loro lamentano al contrario che il sovraccarico di
lavoro provoca stress e ansia nei loro ragazzi, li priva di
quasi tutto il loro tempo libero, li allontana da attività
sportive e ricreative. Alcuni considerano il problema così
grave da esserne stati indotti a cambiare casa, per
spostarsi in distretti scolastici caratterizzati da una
minor mole di compiti domestici. Questo punto di vista ha
anche validi appigli fra gli addetti ai lavori, molti dei
quali sottolineano che queste attività supplementari,
impedendo ai ragazzi di riprendere fiato dopo la lunga
giornata scolastica, minano di fatto proprio quella
condizione psicofisica ideale che è la precondizione di una
proficua esperienza educativa.
La
questione dell’homework viene fatalmente a
intrecciarsi con la dicotomia tipicamente britannica fra
scuola pubblica e privata. Infatti mentre il sistema
dell’istruzione statale è il più fedele alla tradizione
dei compiti a casa, le scuole private si caratterizzano
invece per un approccio più flessibile: supplemento di
lavoro oltre l’orario soltanto in casi di particolare
necessità. Molti istituti addirittura usano questo
argomento nelle loro proposte pubblicitarie. Risultato:
quasi i due terzi dei genitori, secondo un recente
sondaggio, fanno sapere che trasferirebbero i loro figli
nelle scuole private, se solo potessero permettersi di
pagare le costose rette. E fra le cause principali di questa
loro aspirazione indicano, fra l’altro, proprio l’onere
del lavoro supplementare che la scuola pubblica infligge da
sempre ai suoi alunni.
Fatto
sta che nel Regno Unito l’idea di abolire i compiti a
casa, nonostante il parere ministeriale, guadagna terreno.
Molte scuole hanno deciso di eliminarli, o almeno di
ridurli, e di riorganizzare il lavoro didattico in modo da
svolgerlo interamente all’interno delle classi e degli
orari delle lezioni. Si tratta di un “dinosauro
obsoleto”, sostiene per esempio Patrick Hazlewood, preside
di una scuola secondaria di Marlborough, nel Wiltshire. Per
cominciare, Hazlewood ha deciso, d’intesa con i suoi
insegnanti, di eliminare i compiti a casa per gli allievi
del settimo anno (undici-dodicenni). L’obiettivo è quello
di allargare progressivamente l’innovazione a tutte le
classi, in ultima analisi, parole del preside di Marlborough,
di “rendere la scuola meglio compatibile con la vita del
ventunesimo secolo”. Hazlewood inserisce infatti la
condanna dell’homework in una più vasta
prospettiva, che prevede un’educazione non più
qualitativamente nozionistica ma piuttosto orientata verso
la qualità del saper pensare.
Anche
fra i docenti sono sempre di più coloro che vorrebbero
eliminare una prassi che comporta, fra l’altro, un maggior
carico di lavoro anche per loro. E che soprattutto entra in
contraddizione con l’asserita centralità della scuola nel
percorso educativo. Fa infine capolino in Gran Bretagna un
argomento che anche in Italia si è frequentemente
intrecciato con il dibattito sui compiti a casa: questa
consuetudine non fa che favorire il divario di opportunità
che discende dalle differenze sociali. Infatti chi ha alle
spalle una famiglia acculturata e una casa con libri,
dizionari, enciclopedie, acquisisce, attraverso questa sorta
di delega da parte della scuola, ulteriori vantaggi rispetto
a chi invece deve fare i conti con genitori che non sono
culturalmente in grado di aiutarli. Ricondurre tutto il
discorso educativo all’interno della scuola viene dunque
visto, fra l’altro, come un elemento di giustizia sociale.
s.f.
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