Polemiche in Cina e Corea del Sud sui libri di storia in uso nelle scuole giapponesi – Vi si giustifica l’imperialismo nipponico, vi si nascondono i crimini di guerra – Seul e Pechino chiedono dunque una radicale revisione dei testi - Ma il governo di Tokyo rifiuta di intervenire, si limita a precisare che quei manuali scolastici non riflettono il punto di vista ufficiale sugli eventi trattati |
Per
quasi metà del ventesimo secolo, la storia del Giappone è stata
caratterizzata da una proiezione internazionale quasi mai pacifica,
molto spesso aggressiva. La teoria della “sfera asiatica di
coprosperità” si proponeva di saldare le potenzialità umane e
tecnologiche del paese con una disponibilità di materie prime che in
patria era del tutto carente, ma che abbondava invece negli spazi
territoriali del continente. Si ritenne cioè il Giappone, tipica
economia di trasformazione, dovesse acquisire il controllo diretto
degli approvvigionamenti. E che questa acquisizione dovesse essere
perseguita con ogni mezzo, a cominciare dallo strumento militare. Culminata
nell’espansione imperialistica durante la seconda guerra mondiale,
questa politica aggressiva si era già manifestata nei decenni
precedenti a danno della Cina e della Corea. Le ombre lunghe di quel
passato non hanno mai cessato di oscurare la faticosa normalizzazione
dei rapporti del Giappone con
i suoi vicini continentali. Ora sono proprio i governi di Cina
e Corea a denunciare il fatto che nei libri di storia in uso nelle
scuole giapponesi quella esperienza coloniale e militare viene
presentata in modo neutro e giustificatorio, senza alcuna condanna e
senza alcun riconoscimento delle responsabilità nipponiche in materia
di diritti violati e crimini di guerra. Il governo sudcoreano, in particolare, cita un testo scolastico in cui si sostiene che l’occupazione della Corea da parte dei giapponesi (durata dal 1910 al 1945) fu necessaria per garantire stabilità alla regione. Nello stesso manuale si sottolineano i “vantaggi” della colonizzazione, per esempio la costruzione della rete ferroviaria e di stabilimenti industriali. L’ambasciatore di Seul a Tokyo, Choi Sang-ryong, ha dunque sollecitato il governo giapponese a ordinare la correzione dei testi. Ma la risposta è stata negativa: una revisione da parte del ministero dell’educazione è possibile, è stato detto al diplomatico coreano, soltanto in caso di errori di fatto. Per quanto riguarda l’interpretazione di quegli eventi, si precisa, i manuali scolastici non riflettono il punto di vista ufficiale. Ma i coreani non demordono: un gruppo di avvocati si rivolge alla magistratura nipponica, chiedendo che sia sospesa in particolare la circolazione di un testo di storia destinato ai ragazzi delle scuole medie. Questa, precisano i critici per anticipare l’eventuale obiezione, non è affatto ingerenza negli affari interni del Giappone. Inoltre Seul minaccia di bloccare, se prima la questione dei libri scolastici non sarà stata risolta, l’organizzazione della fase finale della coppa del mondo di calcio, in programma l’anno prossimo in entrambi i paesi. Una minaccia carica di validi contenuti economici, visto che l’ospitalità ai mondiali di calcio comporta per Corea e Giappone un elevatissimo giro d’affari per i movimenti turistici e i diritti televisivi. La
Cina non dispone della stessa arma di pressione, ma non è un mistero
che quel gigantesco mercato è essenziale per l’economia giapponese,
e che in ogni caso non conviene entrare in conflitto con un vicino che
è insieme la prima potenza demografica del pianeta e una delle
massime potenze in assoluto. Per questo le proteste cinesi hanno
provocato notevole disagio a Tokyo. Gli argomenti sono analoghi a
quelli sviluppati dai coreani: quei libri di testo, spiega il
Quotidiano del Popolo di Pechino, negano la natura aggressiva della
guerra cino-giapponese, giustificano la politica imperialistica e
tentano di nascondere le atrocità commesse dai soldati del Sol
Levante sulla popolazione civile. Lo
stesso giornale allarga la polemica, criticando l’omaggio reso da
Junichiro Koizumi, primo ministro giapponese, al sacrario di Yasukuni.
E’ questo una specie di mausoleo, in cui sono custoditi i corpi di
soldati giapponesi caduti nelle guerre combattute fra il 1854 e il
1945. Fra questi sono sei ufficiali riconosciuti colpevoli di crimini
di guerra, il che solleva il dubbio, secondo il Quotidiano del Popolo,
che la visita ufficiale del capo del governo possa essere interpretata
come una tacita assoluzione, o peggio approvazione, di quei crimini. Qualche giorno fa, informa l’emittente americana Cnn, il vice ministro degli esteri cinese Wang Yi ha convocato l’ambasciatore giapponese a Pechino, Koreshige Anami, per protestare formalmente contro le “distorsioni” dei testi di storia e per chiederne la revisione. Si ignora se nell’incontro si sia parlato anche della controversa visita del primo ministro al sacrario dei caduti in guerra. Sul tema dei manuali scolastici, anche con gli interlocutori di Pechino è stata ribadita la posizione giapponese: non compete al governo intervenire se non ci sono errori di fatto (ma ci sono!, replicano i critici), e in ogni caso quella rappresentazione della storia non riflette il punto di vista ufficiale. Ci si augura a questo punto che il clamore suscitato dalle proteste cinesi e coreane valga di per se’, alimentando un salutare dibattito interno, a incoraggiare fra gli storici giapponesi, gli autori di manuali scolastici e i docenti, qualche riflessione revisionista.
a.v. |