Più scuola, ma quale? Il governo ha varato il disegno di legge che eleva di due anni, e in prospettiva di quattro, la durata dell’obbligo scolastico. Una misura ineccepibile e lungamente attesa, ma rimangono sul tappeto alcuni problemi fondamentali. Prima di tutto la dispersione, fenomeno già dilagante con la durata attuale di otto anni. E poi il rapporto fra quantità dell’istruzione, che si vuole giustamente adeguare ai livelli europei, e la sua qualità, che attende a sua volta un improrogabile adeguamento.
A scuola fino ai sedici anni, e in una fase successiva fino ai diciotto: il disegno di legge varato dal governo lo scorso 22 maggio va certamente nella direzione giusta. Lo dimostra la comparazione con gli altri paesi dell’Unione Europea, nei quali da tempo l’istruzione di base è fissata fino a quei livelli di età. Non a caso Luigi Berlinguer parla di tappa obbligata nel cammino verso l’Europa. Il ministro della Pubblica Istruzione anticipa anche la tappa successiva: il riordino dei cicli scolastici, cui fra l’altro è legato l’ulteriore innalzamento dell’età formativa fino a esaurire l’arco dell’età minorile. Insomma la riforma è in cantiere: l’innovazione proposta al parlamento non è che una rondine, la primavera verrà. Parliamo dunque di scuola dell’obbligo superando il fastidio per questa espressione infelice, che così sgradevolmente guarda l’istruzione di base, costituzionalmente posta dallo Stato a disposizione di tutti, attraverso l’ottica impropria della coercizione. Questa istruzione di base passerà da otto a dieci anni, e quindi a dodici. Una evoluzione ineccepibile: ma non si può fare a meno di metterla in rapporto con la realtà drammatica degli abbandoni. Prima osservazione: se da un lato è sacrosanto elevare l’età scolastica, non è forse ancora più impellente un’azione a largo raggio contro la dispersione? Ancor prima di fare studiare i nostri ragazzi per dieci anni, o per dodici, non sarebbe il caso di trattenerli sui banchi di scuola per gli otto fissati dalla Costituzione? Infatti andare a scuola più a lungo è bene: andarci davvero e andarci tutti è meglio. Seconda osservazione: se già oggi la dispersione scolastica è fenomeno di così rilevanti dimensioni, il prolungamento dell’obbligo potrebbe farla addirittura impennare. E’ vero che questo negativo aggiornamento statistico sarebbe compensato da una parallela modificazione positiva: l’innalzamento dell’età scolare provocherebbe infatti un automatico miglioramento delle cifre sull’occupazione. Sarà come se centinaia di migliaia di disoccupati trovassero improvvisamente lavoro, per tacere delle migliaia di insegnanti che dovranno far fronte alla nuova domanda-offerta. Questi positivi contraccolpi non basteranno del resto a sanare il dramma di una istituzione formativa capace di perdere per strada una parte così considerevole dei ragazzi che la società le affida. Né a colmare l’insieme delle lacune che la scuola lascia addosso a chi l’ha frequentata: riproponendo di anno in anno, di generazione in generazione, il problema della qualità dell’istruzione. Tanto per citare le carenze più vistose: il deficit in materia di conoscenza delle lingue straniere, particolarmente grave proprio in rapporto a quella visione europea alla quale Berlinguer correttamente si richiama; la distanza dalle concretezze del mondo del lavoro, reso evidente fra l’altro dalla penuria quasi generalizzata di conoscenze tecnologiche. Non resta che confidare nella possibilità che l’auspicio espresso da Luciano Gallino (La Stampa, 23 maggio) possa in qualche modo compiersi: l’auspicio che si riesca a fare dei due anni di istruzione supplementare il luogo in cui le lacune finalmente si colmano. L’auspicio in definitiva che quei dieci anni di scuola, e più ancora i dodici del futuro, riescano non soltanto a limitare progressivamente le attuali perdite fino a eliminarle del tutto, ma anche a formare dei giovani in grado di guardarsi attorno con intelligenza, cognizioni e spirito critico. Capaci insomma di affrontare a nervi saldi e con sufficiente sicurezza di sé le sfide della società moderna.
Alfredo Venturi
Una proposta: Tracce verso la luce
Un coinvolgente racconto per immagini sul malessere giovanile e le sue possibili vie d’uscita: dalla crisi alla riscossa attraverso la riscoperta della speranza – La mostra è partita da Potenza per iniziativa di un fotografo, una psicologa e un operatore Rai – La straordinaria efficacia del linguaggio iconico, la sua presa immediata sui giovani, la sua perfetta aderenza ai canoni della civiltà dell’immagine E’ possibile risvegliare la speranza? E’ possibile far venir fuori le energie nascoste, congelate, contorte che spesso rimangono serrate nelle persone? Un fotografo Arcangelo Palese, una psicologa Luisa Ferlin ed un operatore Rai Antonio Marranghino, si interrogano: è possibile scoprire e mobilitare la forza insita in ogni persona? Vorremmo saper trasmettere questo dubbio: si può sperare che anche da una situazione buia, ostile, di disagio si possa ritrovare la voglia, l’entusiasmo, l’energia per dirigersi nuovamente verso la luce, il ben-essere, la vita? E’ nata così, nel 1991, l’ipotesi di una mostra per suggestioni fotografiche. Immagini che, per analogia, sappiano trasmettere desiderio di lotta per la vita, di impegno personale e comunitario per il bene. Il percorso iconico è, attraverso le immagini fissate dall’obiettivo di un fotografo, una proposta che dà origine a emozioni, fantasie, impressioni… Trasmettere l’immagine di un albero dato per secco che all’improvviso vede spuntare un germoglio, perché curato, annaffiato, protetto, potato… è il messaggio che la lotta è inevitabile, è una parte dell’esistenza affrontare le difficoltà, ma insieme si può, si può farcela. Altre immagini, le mani unite nel sorreggere un tronco, una carezza ad un’anziana, un artigiano, un musicista… mani immaginate per diffondere tenerezza, bellezza e unione. Qualche fiore che spinge le proprie radici oltre lo strato dell’asfalto, una piccola crepa, per cercare le gocce d’acqua che nelle profondità del terreno serviranno a tenerlo in vita… per analogia la comunicazione è che anche uno strato di indifferenza e di isolamento può essere vinto, non bisogna cedere allo scoraggiamento. E’ possibile uscire dall’isolamento, affrontare e resistere alle difficoltà, c’è una possibilità se qualcuno ce l’ha fatta… Tracce… avanti a noi qualcuno ha lasciato segni di dubbio e di speranza. Il percorso è pensato anche come strumento didattico ed oltre alle proposte ad un pubblico misto ed occasionale, la mostra è stata presentata nelle scuole elementari, medie inferiori e superiori ed in alcune comunità di accoglienza, riscotendo sempre grande interesse e partecipazione dei giovani. La particolarità di questa proposta, per foto o diapositive, risulta evidente: è la natura, grazie ad immagini evocative e di suggestiva interpretazione, a creare gli spazi interiori per la riflessione, gli approfondimenti personali che partono dall’emozione provata. Ed è proprio per questo, che tal sistema di rappresentazione si rivela formativo, strumento da privilegiare per le giovani generazioni, giacché veicolato tramite canali non verbali. Alla fine del percorso iconico un foglio bianco dove, se si vuole, si possono lasciare commenti, critiche, proposte, impressioni libere. …"Non c’è solo talento in queste foto… si riesce a trasmettere gioia, dolore, perdizione e poi, ad un tratto, la voglia di vivere." …"A differenza di molti documenti scontati… un’idea di libertà e speranza per un futuro umano, sano e pulito." …"Immagini serene che domandano, chiedono un significato. Una ricerca,… come un’onda che va e ritorna verso una certezza." …"Sognare, saldo sulle tue gambe, libero da schiavitù e da oppressioni, libero da dipendenze… Una mano tesa ti trae in salvo ti trascina in un vortice di emozioni che avevi dimenticato poi in una esplosione di luce la mano si trasforma in un angelo che attraversando la volta celeste ti conduce verso la vita…"
Luisa Ferlin
La mostra Tracce verso la luce è stata già allestita in numerosi centri della Basilicata. La Lapis intende farsi promotrice della diffusione di questa proposta sul territorio nazionale, conta perciò sulla collaborazione dei Comuni. Le amministrazioni municipali interessate a ospitare la mostra sono dunque pregate di contattarci.
Fuori dal ghetto i bambini immigrati
L’esperienza del Centro Laila di Castelvolturno illustrata in una lettera-relazione alla presidente della Lapis – I problemi dell’accoglienza e dell’assistenza ai piccoli disabili e disagiati, in particolare stranieri – Quando la buona volontà e l’entusiasmo vengono vanificati da giochi politici, intolleranze razziali, false promesse – Nonostante la legge Contri la scuola respinge i figli degli immigrati irregolari
L’Italia a partire dalla metà degli anni Settanta ha subito un forte flusso immigratorio dai Paesi del Terzo Mondo, del Mediterraneo e negli ultimi tempi dall’Est Europa, di soggetti alla ricerca di opportunità di lavoro o di migliori condizioni socio-politiche. Negli ultimi anni, soprattutto in provincia di Caserta, tale fenomeno ha assunto notevoli proporzioni; grandi concentrazioni di immigrati hanno dato origine ai "ghetti", producendo condizioni di invivibilità al limite della sopportazione umana unitamente ad un dissesto sociale, economico, ambientale forse peggiore di quello della loro madrepatria, da cui sono fuggiti. L’infanzia è la principale vittima di queste condizioni. Il bambino spesso non può soddisfare le più elementari necessità; talvolta alla mancanza del diritto all’istruzione e di una vera e propria casa, si aggiunge un dissesto familiare o addirittura la mancanza totale della famiglia. La famiglia è il nucleo centrale di ogni società; in essa ogni bambino può trovare quella serenità e quell’affetto che indispensabili per il suo armonico sviluppo psico-fisico e sociale. Occuparsi dei bambini (ed in special modo dei bambini immigrati – poveri "diversi") è un imperativo sociale e morale a cui il Centro Laila ha dedicato, da sempre, particolare attenzione. In provincia di Caserta, il Centro Laila di Castelvolturno, fin dai primi anni Ottanta, si è occupato di assistenza e di accoglienza per disabili e bambini disagiati ed extracomunitari in particolare. Attualmente offre un’accoglienza diurna a 16 bambini disagiati e un’accoglienza residenziale a 11 bambini disagiati, per la maggior parte figli di immigrati irregolari. Il Centro Laila rivolge la sua attenzione ai minori da 0 a 18 anni di ambo i sessi, affidati da Enti pubblici o da genitori lavoratori in condizioni socio-economiche disagiate. E’ prevista la realizzazione di due nuove unità familiari residenziali (otto minori per ogni unità) e l’accoglienza diurna per altri 16 minori. Sono previsti, inoltre: laboratori di artigianato, una serra per ricerche botaniche e di piante officinali, corsi di alfabetizzazione di lingua madre come inglese, francese, polacco, arabo. Operatori impegnati nel progetto Il programma si articola su un unico Centro di accoglienza pilota, le cui finalità sono rilevabili dallo statuto del Centro Laila. Il personale sarà composto da un direttore responsabile, da due coppie per le due unità familiari, da quattro operatori socio-assistenziali, da due assistenti sociali volontari, due vigilatrici minorili, un pediatra volontario, uno psicologo, un dentista volontario, un operatore amministrativo, un avvocato volontario. Inserimento di operatori immigrati. Saranno coinvolte, nella fase operativa, le Istituzioni, i Servizi Sociali territoriali, le ASL, le Parrocchie, la Caritas, la Scuola (dove da anni il Centro Laila collabora al progetto DISCO), la Questura, il Tribunale per i minorenni. Il Centro Laila provvederà all’aggiornamento e alla riqualificazione, mediante corsi di formazione, di tutti gli operatori impegnati nel Centro di accoglienza, direttamente o in collaborazione con Enti pubblici e privati. Metodi operativi Tutte le attività avranno il singolo minore come centro di riferimento. Egli dovrà sentire il calore umano, la familiarità e l’affetto tipici della famiglia. Lo sviluppo della personalità e della socializzazione saranno perseguiti mediante una serie di attività come giochi individuali e di gruppo; iniziative ludiche tendenti a favorire armonici processi psichici ed il rispetto delle persone e delle cose. Ogni operatore dovrà prestare la massima attenzione ai bisogni individuali materiali e cognitivi in un rapporto affettivo il più possibile individualizzato e, svolgendo ruoli parentali, dovrà adoperarsi a creare il più possibile un ambiente di tipo familiare affatto formale. La mancanza di meri scopi assistenziali e di lucro permetterà la scelta di personale con comprovate attitudini morali, professionali e non, di avvicinarsi alle problematiche educative del Centro, con spirito di solidarietà e di sacrificio unito ad uno spiccato senso della condivisione e dell’unità "familiare" di gruppo. In questo processo integrativo le istituzioni scolastiche pubbliche, nelle quali i minori verranno inseriti, avranno un ruolo fondamentale; ma, onde evitare che integrazione significhi perdita della propria identità, il Centro, di comune accordo con le Ambasciate ed i Consolati dei vari Paesi di origine, si impegna a creare le condizioni affinché i minori extracomunitari possano vivere gli stessi processi educativi che avrebbero nelle scuole dei loro Paesi di origine. In collaborazione con altre Associazione di Volontariato, con programmi istituiti dal Consiglio Europeo, con istituzioni del tempo libero, saranno organizzate gite, visite guidate, culturali ed interculturali. Nel Centro saranno realizzati luoghi e momenti di partecipazione dei genitori dei minori non solo all’attività educativa di gruppo; ma anche condizioni in cui sia garantita quella "privacy" capace di permettere un facile reinserimento nella propria famiglia naturale non appena le condizioni socio-economiche e psicologiche dei genitori lo permetteranno. Tutto questo cara Marilena è un sogno che stiamo aspettando da 5 lunghi anni, tra giochi politici, intolleranze razziali, false promesse e poiché noi siamo gli ultimi e senza voce siamo schiacciati dalla gigantesca macchina burocratica ipocrita e perversa. Sono anni che combatto con le istituzioni perché ancora oggi i bambini immigrati irregolari non possono avere il diritto allo studio e alla sanità. Infatti la legge Contri non è rispettata. Io sono fortunato perché faccio parte di un progetto (DISCO dispersione scolastica) alla scuola di Castelvolturno dove i miei bambini vengono regolarmente iscritti perché noi del Centro garantiamo il tutto, altrimenti il bambino che non è residente e che non ha le vaccinazioni è destinato a non essere secolarizzato e a non essere curato perché se non ha la residenza non può avere il libretto sanitario, sapessi quanti salti mortali devo fare per essi ma il Signore mi guida e non ho mai fallito fino ad oggi. Scusa la mia franchezza, ma poiché è una ingiustizia far soffrire bambini in questo modo, io sono molto arrabbiato con chi ci governa. Il tuo progetto è eccezionale e noi del Centro saremmo molto felici di darvi una mano e molto lusingati di potervi partecipare. La tua visita è stata breve ma incisiva, grazie di tutto e ti inviamo i sensi della nostra stima.
Angelo Luciano
Il dramma giovanile di Catania
La città siciliana è afflitta dal più triste dei primati, è infatti in testa alle statistiche nazionali sulla criminalità minorile – Misurato con i dati della custodia preventiva, il fenomeno registra dimensioni impressionanti: nel distretto etneo la delinquenza dei giovanissimi è doppia rispetto a Palermo, otto volte maggiore rispetto a Milano – Giambattista Scidà, presidente del Tribunale per i minorenni, denuncia le gravissime responsabilità pubbliche
Che cosa significa occuparsi di criminalità giovanile in un posto come Catania? Lo abbiamo chiesto a Giambattista Scidà, che da moltissimi anni nella città siciliana è presidente del Tribunale per i minorenni. Il magistrato ha risposto ricordando le sue reiterate prese di posizione, le sue precise documentazioni del fenomeno, il grido d’allarme che leva da sempre contro quella degenerazione del vivere sociale di cui la delinquenza dei giovani non è che una conseguenza. Proponiamo una scelta di queste lucide e appassionate denunce, tratta da articoli e da relazioni che spaziano fra il 1984 e il 1998. Ringraziando Scidà, gli auguriamo che il suo impegno coraggioso abbia la meglio, alla fine, sul diabolico intreccio di interessi e di connivenze che impedisce a tante giovani vite di realizzarsi in un contesto civile.
1998: Le colpe delle istituzioni
… L’osservazione della società locale – condotta, con civica tristezza, per lungo seguito di anni – ha persuaso della centrale responsabilità dei comportamenti amministrativi, e istituzionali in genere, nell’insorgere e nel dilagare, imponente, della criminalità comune, di adulti; della criminalità organizzata; e della criminalità minorile. Tutto inteso alla privatizzazione illecita di risorse pubbliche, per i canali dell’appalto, delle pubbliche forniture, e di altri contratti con privati, l’agire amministrativo ha aggiustato, alla perversa funzione che così assumeva, tutti gli altri suoi momenti ed aspetti. Ha negato, al soddisfacimento di pressanti bisogni pubblici, - anche in tema di riabilitazione dei quartieri degradati, e di politiche per l’infanzia e l’adolescenza – i mezzi che destinava all’arricchimento privato, di imprenditori, politici, burocrati; ha aperto, con il depotenziamento dell’apparato di controllo, vaste opportunità per altri comportamenti criminali; ha fatto posto, nel sistema di dominio e di sfruttamento del campo urbano, alla criminalità presto organizzatasi, favorendola di tenaci disattenzioni, e beneficiando dei suoi favori. Si può dire che mentre questa metteva al bando sequestri di persona, garantiva da altri attacchi i detentori di grandi fortune; procacciava voti di lista e voti di preferenza; sanguinosamente interveniva a reprimere critiche e dissensi, e sanguinosamente regolava i suoi stessi interni conflitti, sino alla costruzione di un vertice potente e terrifico, tutta l’altra città le venne rilasciata: per i furti e le rapine e le estorsioni, in danno della gente comune, e il traffico e lo spaccio di droga. I minori delle famiglie povere, che un’irresponsabile politica urbanistica concentrava in quartieri nuovi e desolati, si trovarono, nello stesso tempo, privi, in massa, di sostegni educativi, ed esposti ai trascinamenti di quel gran fiume di condotte criminose: e rubarono, rapinarono, estorsero, uccisero e, in parecchi, rimasero uccisi. Non ci fu ascolto per le voci di allarme, che i giudici minorili levarono già all’inizio del decennio scorso: quando molti, dei ragazzi che ham delinquito o delinquono, non erano ancora nati. Ci fu, invece che ascolto, indifferenza cinica e sfrontata: e anche irrisione. Forte e arrogante, il sistema del quale abbiamo evocato solo alcuni tratti di fondo poteva guardare come divertito ai pochi, tra gli investiti di pubbliche funzioni, che non volessero accettarlo. All’esito del processo (che per la sua vasta e articolata complessità, per il tempo che il suo svolgersi, incontrastato, ha saputo occupare, e per la qualità delle conseguenze, ben merita di esser detto di storico rilievo), s’è avuto un ingente arricchimento, per certi aspetti favoloso, di cerchie di politici o politicanti, di amministratori, di burocrati, di liberi professionisti postisi al servizio di politici e imprenditori; e dall’opposto lato l’immiserimento dei poveri, in massa, e il loro inselvatichire: una moltitudine che è nella città (o ai suoi margini) ma non è di essa… 1984: La scuola negata …In moltissimi casi è stato negato loro, di fatto, quel che può dirsi il minimo pedagogico: date le difficoltà, di varia natura, che intristiscono le famiglie, e data anche la mancanza di interventi integrativi, del tipo della scuola materna. La quale, sorta per aiuto ai ceti operai, si trova ad essere, di fatto, un altro vantaggio di altri strati della società; e popola, come istituzione privata a pagamento, i quartieri dei ceti medi e superiori, mentre non è che larvatamente presente negli insediamenti ultrapopolari: come se essa fosse stata avviata ad una sorta di migrazione. Ed ha percorso un itinerario inverso a quello che è stato seguito dal collegio: dissoluto, ormai, dagli ambienti sociali che pure lo inventarono e praticarono, lungamente, come un metodo di educazione da privilegiati è divenuto, invece, il mezzo di assistenza di più frequente utilizzazione, nei confronti di minori appartenenti a famiglie povere. Così i collegi e le scuole materne, si sono scambiate le rispettive clientele. Ora, la mancanza di tali scuole compromette, dove le famiglie non possono assumersi in prima persona un ruolo di preparazione alle elementari, la riuscita della scolarizzazione d’obbligo. Essa è perciò alle radici dell’insuccesso, delle diserzioni e della carenza educativa che segna, visibilmente, tanti ragazzi dei quartieri poveri; e tanto più cruccia quanto più chiaramente traspare – anche durante la detenzione – l’educabilità di partenza, che la mancanza d’impegno ha vanificato… 1992: Chi sono i veri criminali …Dire, come talvolta si fa, che nelle città del disordine il problema veramente grave è la criminalità minorile, è come fuggire dalla realtà. I minori che rapinano scippano spacciano uccidono e si fanno uccidere sarebbero, quasi tutti, come gli altri ragazzi, se tanti adulti, provvisti di potere e di influenza, non avessero commesso, in danno delle collettività, misfatti dei quali non sono stati puniti; se non le avessero pervertite, come hanno fatto, sino al punto di pregiudicarne l’avvenire. Tra le conseguenze di quel malfare è infatti anche questa, che a masse di abitanti è stato impedito di svilupparsi normalmente, e diventar membri mediamente maturi della collettività. Per questa via, anche il livello dell’elettorato attivo, del quale si entra a far parte a 18 anni, è stato perniciosamente abbassato, a misura che vi han fatto irruzione coorti d’età, segnate dal non aver potuto beneficiare dei normali processi educativi (e, tra questi, dei processi che normalmente si svolgono, in modo tanto informale quanto importante, nei contesti urbani ragionevolmente organizzati). C’è pericolo, dato ciò, che come il cattivo amministratore ha fatto i cattivi elettori, costoro facciano a loro volta, coi loro voti mediati dalle cosche, amministratori pessimi. Il problema base dei luoghi in cui i ragazzi delinquono, diffusamente e gravemente, è quello del modo di esercizio del potere locale, e del potere in genere… 1988: L’identikit del giovane detenuto …Dei 204 arrestati catanesi, 3 sono analfabeti. Il Comune di Catania non forma la lista annuale degli obbligati alle iscrizioni alla prima elementare; e con ciò stesso rende impossibile il depistage degli inadempienti. Nel corrispondere, in materia, con lo scrivente, ha opposto di non essere in grado di formarla. Ben 168 dei restanti 201 hanno abbandonato la scuola di obbligo: 13 ancor prima di accedere alla quarta elementare; 40 prima della licenza elementare; 115 dopo un più o meno breve assaggio di scuola media. Solo 33 (il 16%) han conseguito la licenza media, o tendono, continuando nella frequenza, a conseguirla. Tanta mortalità scolastica riflette, ad un tempo, la mancanza di una sufficiente motivazione alla frequenza e all’apprendimento; l’incapacità della scuola, priva dei mezzi occorrenti, di interessare e legare a sé; e la condizione delle famiglie o pressate dal bisogno, o inette a subordinare, ai diritti dei figli, quel tanto di utilità che può provenire dal loro precoce avvio ad una qualsiasi occupazione. Tolti i 17 che vanno a scuola, quasi tutti lavorano, a sottosalario, come garzoni di panettieri, di meccanici, di gestori di bar, di venditori ambulanti, di rottami. La retribuzione – una sessantina di migliaia di lire per settimana – è incamerata, in buona parte, dalla famiglia. Il lavoro è spesso ripetitivo, inidoneo a gratificare con l’esperienza di una progressiva acquisizione di abilità, e ad alimentare, con ciò stesso, sentimenti di autostima; inidoneo a fornire spunto per un progetto di realizzazione personale. Esso scredita, deludendo l’attesa di compenso, il lavoro in sé, e alimenta acri bisogni di rivalsa. Solo 32 famiglie di appartenenza dei 204 arrestati (15,6%) sono disgregate; per cui appare eccessiva e sviante ogni generalizzazione che, disattenta verso altri fattori, voglia correlare il disadattamento, semplicisticamente, al fatto in sé della rottura dell’unità familiare. E’ significativamente alto il numero di quelli che vivono in quartieri antichi, e di antico degrado, o nuovi – sorti rapidamente, ad iniziativa della mano pubblica, a ricetto di vasti travasi di popolazione – e lasciati in abbandono, dal Comune e dallo Stato. Il primo non ha voluto impiantarvi i servizi che pur poteva, e il secondo si è negato al dovere di una presenza effettiva e continua: di per sé affermatrice educativamente valida, oltre che di precetti e divieti, dei valori che li ispirano… 1988: Adulti per forza …Il minorenne di Catania che scippa o rapina è, di regola, un adolescente del quale il presente quadro urbano ha fatto un adulto per forza. Gli ha negato (non di rado già nell’infanzia) la scuola; gli ha negato la consuetudine di incontro con gruppi di coetanei, in aree minimamente attrezzate ed assistite; per il gioco che aiuta a crescere normalmente, e per lo sport, e per l’adeguata socializzazione; gli ha imposto, non di rado contro le leggi, il lavoro, che per giunta è lavoro di sfruttamento; ed è andato assediandolo con l’esempio, il modello, la proposta, del reato che paga. Forzato dell’età adulta, egli commette delitti da adulti: i quali accusano quella triste crescita imposta: per salti, per soppressione di fasi, per via di forzature del ciclo di sviluppo, così com’esso è concepito nella società di oggi. Altre volte il reato lascia intravedere bisogni ludici di fondo, mai soddisfatti, e che straripano, come per compenso stravolto e distruttivo, e appare insomma gioco, tragico, di ragazzi ai quali non è stato consentito di giocare, né insegnato a farlo. Ma sempre o quasi sempre c’è nell’atto criminoso – variabili individuali a parte – il ragazzo negato, l’adolescente espropriato di quel tanto di adolescenza, che una comunità meno indifferente così al diritto dei deboli, come al suo proprio avvenire, saprebbe garantire ai figli dei poveri…
Giambattista Scidà
Verso l’educazione permanente
Le nuove sfide della società nel terzo millennio, il ruolo della scuola, le responsabilità degli organi istituzionali – Soltanto attraverso l’istruzione è possibile garantire il diritto al lavoro sancito nella Carta costituzionale – Anche per questo è inaccettabile e vergognoso, rileva il direttore generale Maniaci, che la scuola perda per strada una parte dei suoi allievi
Proseguiamo la pubblicazione delle relazioni svolte al convegno di studi sul tema L’evasione scolastica, una sfida per la società, organizzato ad Arezzo dalla LAPIS il 25 e 26 ottobre 1997. in questo numero la parte conclusiva dell’intervento del dott. Carmelo Maniaci, direttore generale dell’istruzione elementare alla ministero della P.I.
Attualmente l’educazione degli adulti si colloca nello scenario dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. E’ uno dei cardini delle società contemporanee: sarà il problema delle società nel terzo millennio. Il sociologo De Masi, analizzando lo scenario che si prefigura alle soglie del terzo millennio, ha fatto rilevare la diversa configurazione che assumerà il lavoro: la giornata lavorativa non supererà le tre ore e acquisterà fondamentale rilevanza il tempo libero. Nel 2017 – anno in cui gli alunni che frequentano oggi la quinta elementare avranno 30 anni – il contesto socio-culturale-ambientale sarà completamente sconvolto rispetto a quello attuale. A fronte delle 40 mila ore di lavoro, l’individuo disporrà di 400 mila ore di tempo libero. Un problema assillante diverrà come occupare il tempo libero, come evitare la noia e come crescere intellettualmente. L’educazione sarà intesa come formazione permanente e occuperà almeno 60 mila ore della vita. Occorrerà preparare i giovani al tempo libero, ma fin da oggi occorrerà prepararli alle grandi trasformazioni che si verificheranno nella distribuzione del lavoro. Noi siamo cresciuti con l’idea di dover svolgere un lavoro per tutta la vita, mentre in futuro – prevede De Masi – il cambio del lavoro sarà continuo. E non pensate che siano fantasie dei futurologi: già negli Stati Uniti questa tendenza si sta affermando. La scuola deve perciò attrezzarsi predisponendo percorsi formativi che preparino i giovani ad affrontare situazioni di lavoro differenziate. Occorre che i giovani dispongano di un bagaglio culturale polivalente che permetta – come si dice con un termine divenuto di moda – di "riciclare" le competenze acquisite e di assegnarle a situazioni di lavoro nuove. L’istruzione, più che come formazione iniziale, si configurerà sempre più come educazione permanente e richiederà frequenti "ritorni" a scuola. Altro che essere soltanto alfabetizzati! La società stessa dovrà attrezzarsi in questa prospettiva: amministrazioni comunali, sindaci, assessori alla pubblica istruzione non potranno ignorare che per una formazione continua e protratta nel tempo non basta riportare la gente a scuola dando modo di ampliare le possibilità di reinserimento nel lavoro, ma occorrerà attrezzare spazi culturali – biblioteche, teatri, auditori, centri polivalenti – che arricchiscano la città offrendo significative opportunità di trascorrere il tempo libero coltivando l’autoformazione. I confini tra istruzione, lavoro e tempo libero diventeranno sempre più labili. La struttura che assumerà l’edificio scolastico è emblematica della funzione che la scuola rivestirà nel futuro. Immaginate un edificio scolastico diviso in due parti: una destinata ai bambini e ai giovani –comprendente una fascia di popolazione che oscilla tra i 3 e i 18 anni d’età – e un’altra parte destinata agli adulti. Sarà necessario attivare consorzi tra scuole operanti nello stesso territorio in modo da poter garantire la formazione delle diverse competenze richieste dal mercato del lavoro. In relazione alle trasformazioni tecnologiche, futurologi prevedono l’impiego di lavoratori altamente specializzati, ma in grado di operare in settori diversi. Il problema della formazione, dell’istruzione, è quindi fondamentale nelle società moderne. Per costruire il nostro futuro in una società che vede la globalizzazione dei mercati, la ricerca scientifica svolge un ruolo essenziale. Ormai, quando si parla del mercato italiano è inevitabile il confronto con quello estero. Vi propongo un esempio: se voglio comprare un paio di scarpe, nel negozio trovo quelle italiane e quelle inglesi. Confronto i due prodotti, che richiedono perizia artigianale, abilità tecnica, creatività… che dipendono dalla formazione. Confrontando le scarpe, si confrontano implicitamente due sistemi formativi, quello italiano e quello inglese. In uno scenario che acquista dimensione planetaria, l’alfabetizzazione di base – quella che una volta indicava il saper leggere, scrivere e far di conto – si rivela assolutamente insufficiente: è necessario arricchirsi di ulteriori qualificazioni. Non si può pensare che un cittadino italiano, oggi, non sia in grado neppure di apporre la propria firma. E’ un problema di fondo, che attanaglia la società e fa vergognare chi ha responsabilità istituzionali. Una società che, nonostante tutti i difetti, investe nella scuola migliaia di miliardi, non può tollerare che una parte dei giovani si allontani dalla scuola e – come ha messo in rilievo la dottoressa Venturi – poi venga risucchiato dal lavoro nero e dalla piccola criminalità. Siamo in Toscana e io mi permetto di ricordare un pensiero di Don Dilani, che ha operato nel vicino Mugello: "La scuola ha un solo problema: gli alunni che perde". Per rendere più evidente l’assurdità del fenomeno cui stiamo di fronte, consentitemi un paragone… "agricolo" (la nostra è, in fondo, una cultura fortemente impregnata di valori contadini. L’economia del nostro Paese, fino a qualche decennio fa, era prevalentemente agricola). Immaginate un contadino, un lavoratore agricolo, che coltiva un ettaro di terra e, dopo la semina, si disinteressa di tremila dei suoi diecimila metri di campo, mietendone soltanto settemila. Pensereste che è un pazzo… che non sa curare i propri interessi! E non è la stessa cosa che succede nel nostro campo, dal momento che riconosciamo a tutti il diritto-dovere all’istruzione? Se portiamo a scuola diecimila bambini, noi abbiamo il dovere di seguirli tutti e diecimila. In una società impegnata in una durissima concorrenza internazionale, non ci possiamo permettere il lusso di perdere neanche un solo alunno. Chi non ha un’istruzione, chi non ha una formazione di livello superiore non ha un futuro, è destinato alla sconfitta, al fallimento. L’istruzione e la formazione sono anche i presupposti ineludibili perché i giovani, e non solo essi, possano trovare un lavoro. Non pensiamo alla Costituzione come a un insieme di frasi che dettano solo norme. Interroghiamoci sul significato più profondo di essa. Che cosa vuol dire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Significa che tutti i titoli di nobiltà della nostra società vengono vengono dal lavoro, dall’impegno delle persone. E’ il lavoro il patrimonio nobiliare che fa civile un Paese; è il lavoro il perno su cui si fondano i valori di una società. Ed è per questo che l’art. 4 della Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno diritto al lavoro"? significa che tutti coloro che sono titolari di poteri – nel governo centrale e in quello locale, negli enti e nella scuola – si devono attivare per rendere effettivo questo diritto. Tutti coloro che podestà e responsabilità pubbliche sono impegnati ad operare in questa direzione. E la scuola: in che modo può rendere effettivo questo diritto? Il diritto al lavoro tra chi è istruito e tra chi non sa leggere e scrivere non è paritetico: chi ha una buona formazione, chi ha una cultura è più favorito nella ricerca e nella acquisizione del lavoro. L’istruzione, come vedete, diventa fondamentale perché il diritto al lavoro possa diventare effettivo. L’art. 3, secondo comma, della Costituzione recita: "E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…" Tali ostacoli si rimuovono dando una formazione forte ai giovani. Una formazione forte significa garantire la parità dei punti di partenza. La diversità di ognuno deve essere valorizzata affinché tutti possano contribuire in maniera peculiare al progresso del Paese. Ed è proprio per questo che la scuola deve adoperarsi affinché a tutti venga garantito un percorso scolastico completo e affinché tutti sperimentino il successo scolastico. Al lavoro dunque… operiamo perché la scuola non perda nessuno dei suoi allievi!
( 2 – continua )
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