Il
nostro modo di parlare e di scrivere è fortemente
influenzato, e modificato, dalla rete. Per contrastare
i controlli esercitati attraverso l'intelligenza artificiale
si fa strada l'algospeak, un linguaggio alternativo dettato
dagli algoritmi
Il
linguaggio è una delle principali funzioni cognitive
dell’uomo e la lingua è una delle sue possibili
esternazioni all’interno di una comunità. Nel
mondo le lingue sono tante e diverse e vengono definite
storico-naturali: storiche perché riflettono la loro
evoluzione all’interno della civiltà umana,
naturali per demarcare la loro contrapposizione rispetto
ai linguaggi artificiali.
Caratteristica
del linguaggio è quella di sviluppare un sistema
di comunicazione capace di utilizzare un codice condiviso
per esprimere, comprendere e rappresentare il pensiero.
Nell’uomo è una funzione cognitiva innata e
complessa, questo perché dotata di caratteristiche
specifiche capace di differenziarla da altri sistemi comunicativi,
siano essi naturali o artificiali.
L’irruzione
repentina e massiccia del web nella vita quotidiana ha esercitato,
così come successo con altri fenomeni di massa, quali
il cinema e la televisione solo per citarne alcuni, un’influenza
non da poco sul nostro modo di parlare e di scrivere. Rivoluzione
che si è manifestata sia in campo lessicale che semantico.
Si è iniziato ad utilizzare parole e linguaggi diversi
per esprimere lo stesso concetto, oppure ad adottare termini
ed espressioni tali da spingere maestre ed insegnanti di
lettere sulle barricate o a minacciare la tanto temuta penna
non rossa ma blu.
Evento
che si è accentuato soprattutto negli ultimi anni,
causa anche il lungo periodo di pandemia, in cui si è
assistito alla trasposizione della comunicazione, soprattutto
quella scritta, nella dimensione telematica. Questo ha visto
il sorgere del fenomeno etichettato come algospeak, ossia
un modo di parlare, o sarebbe meglio dire scrivere, frutto
dell’unione dei termini inglesi “algorithm”
e “to speak”. In altre parole un linguaggio
alternativo capace di raggirare i controlli dell’IA
(Intelligenza Artificiale) nella moderazione e distribuzione
dei contenuti.
Per
capire meglio il problema basti pensare che il Digital News
Report di fine 2022 rilevava che Facebook ha quasi tre miliardi
di utenti attivi al mese, YouTube oltre due miliardi e TikTok
ben oltre 1 miliardo. E come è intuibile, si tratta
di utenti non passivi che scrivono, fotografano, si riprendono
e, naturalmente, pubblicano. Un traffico immenso di contenuti
che per essere controllato necessita di un aiuto “non
umano”, ed è per questo che i social network
si affidano a filtri computazionali che fanno uso di algoritmi
di categorizzazione che partendo da un elenco di parole
vietate si perfezionano man mano che il software impara
il linguaggio umano.
Naturalmente
non si tratta di un neo-puritanesimo linguistico o mera
salvaguardia di utenti minorenni, per giunta la fetta più
grande dei fruitori dei social network, che occorre proteggere
e salvaguardare da contenuti inappropriati (morte, suicidio,
sesso, razzismo, violenza, pedopornografia, etc.), così
come si presenta sterile già in partenza la discussione
sulla libertà di parola e di espressione. E’
anche, e soprattutto, una questione di soldi: sui social
i materiali che contengono parole “vietate”
non solo vengono bloccati o rimossi, e quindi non raggiungono
un ampio pubblico, ma rischiano di essere demonetizzati
con relativo abbassamento dei livelli di CPM (Cost Per Mille)
ed RPM (Revenue Per Mille). Ciò con ripercussioni
negative sui guadagni di chi li ha creati.
L’utilizzo
dell’argot, ossia di un linguaggio in codice, al fine
di ingannare l’autorità non è certo
una novità, basti pensare al Cockney(1)
o, volendo restare in ambito digitale, al Leetspeak(2).
La grossa novità, questa volta, risiede nel fatto
che si ricorre ad un linguaggio fantasioso che adopera parole
traslate, eufemismi, termini rimpiazzati da emoji o parole-sostitute
oppure appositamente storpiate, per sfuggire all’occhio
indiscreto dell’onnipotente algoritmo.
Se
per alcuni versi il richiamo ad un linguaggio esopico potrebbe
essere giustificato in contesti autocratici dove risulta
difficile esplicitare liberamente il proprio pensiero, dall’altro
canto l’utilizzo diffuso e rigido dei filtri algoritmici
rischia di minacciare seriamente la chiusura di importanti
argomenti di discussione.
Per
adesso le maggiori ripercussioni sono rilevabili nella lingua
inglese, forse per la maggior plasticità che la contraddistingue
rispetto ad altri idioma o, semplicemente, perché
è in quella lingua che si sono svolti i primi studi
sul fenomeno. Quello che è sicuro è che si
tratta di una battaglia senza vincitori le cui uniche vittime,
al momento, sembrano essere le regole del linguaggio in
generale.
Clemente Porreca
1.
Un dialetto in rima, utilizzato dalla classe
proletaria dell’est di Londra nel XIV secolo per confondere
le autorità di polizia.
2. Negli anni ’80 gli
utenti più smaniosi erano soliti, al fine di raggirare
le regole delle community, relazionarsi su argomenti proibiti,
nelle bacheche pubbliche e nelle chat, utilizzando il Leetspeak:
un particolare cifrario in cui le lettere erano sostituite
da numeri e simboli graficamente simili. E’ passato
alla storia con il simbolo 1337 perché così
veniva scritto lo stesso termine leet e per l’esistenza
di una versione di Google in Leetspeaking.
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