FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO- 2023

 

Il nostro modo di parlare e di scrivere è fortemente influenzato, e modificato, dalla rete. Per contrastare i controlli esercitati attraverso l'intelligenza artificiale si fa strada l'algospeak, un linguaggio alternativo dettato dagli algoritmi

 

Il linguaggio è una delle principali funzioni cognitive dell’uomo e la lingua è una delle sue possibili esternazioni all’interno di una comunità. Nel mondo le lingue sono tante e diverse e vengono definite storico-naturali: storiche perché riflettono la loro evoluzione all’interno della civiltà umana, naturali per demarcare la loro contrapposizione rispetto ai linguaggi artificiali.

Caratteristica del linguaggio è quella di sviluppare un sistema di comunicazione capace di utilizzare un codice condiviso per esprimere, comprendere e rappresentare il pensiero. Nell’uomo è una funzione cognitiva innata e complessa, questo perché dotata di caratteristiche specifiche capace di differenziarla da altri sistemi comunicativi, siano essi naturali o artificiali.

L’irruzione repentina e massiccia del web nella vita quotidiana ha esercitato, così come successo con altri fenomeni di massa, quali il cinema e la televisione solo per citarne alcuni, un’influenza non da poco sul nostro modo di parlare e di scrivere. Rivoluzione che si è manifestata sia in campo lessicale che semantico. Si è iniziato ad utilizzare parole e linguaggi diversi per esprimere lo stesso concetto, oppure ad adottare termini ed espressioni tali da spingere maestre ed insegnanti di lettere sulle barricate o a minacciare la tanto temuta penna non rossa ma blu.

Evento che si è accentuato soprattutto negli ultimi anni, causa anche il lungo periodo di pandemia, in cui si è assistito alla trasposizione della comunicazione, soprattutto quella scritta, nella dimensione telematica. Questo ha visto il sorgere del fenomeno etichettato come algospeak, ossia un modo di parlare, o sarebbe meglio dire scrivere, frutto dell’unione dei termini inglesi “algorithm” e “to speak”. In altre parole un linguaggio alternativo capace di raggirare i controlli dell’IA (Intelligenza Artificiale) nella moderazione e distribuzione dei contenuti.

Per capire meglio il problema basti pensare che il Digital News Report di fine 2022 rilevava che Facebook ha quasi tre miliardi di utenti attivi al mese, YouTube oltre due miliardi e TikTok ben oltre 1 miliardo. E come è intuibile, si tratta di utenti non passivi che scrivono, fotografano, si riprendono e, naturalmente, pubblicano. Un traffico immenso di contenuti che per essere controllato necessita di un aiuto “non umano”, ed è per questo che i social network si affidano a filtri computazionali che fanno uso di algoritmi di categorizzazione che partendo da un elenco di parole vietate si perfezionano man mano che il software impara il linguaggio umano.

Naturalmente non si tratta di un neo-puritanesimo linguistico o mera salvaguardia di utenti minorenni, per giunta la fetta più grande dei fruitori dei social network, che occorre proteggere e salvaguardare da contenuti inappropriati (morte, suicidio, sesso, razzismo, violenza, pedopornografia, etc.), così come si presenta sterile già in partenza la discussione sulla libertà di parola e di espressione. E’ anche, e soprattutto, una questione di soldi: sui social i materiali che contengono parole “vietate” non solo vengono bloccati o rimossi, e quindi non raggiungono un ampio pubblico, ma rischiano di essere demonetizzati con relativo abbassamento dei livelli di CPM (Cost Per Mille) ed RPM (Revenue Per Mille). Ciò con ripercussioni negative sui guadagni di chi li ha creati.

L’utilizzo dell’argot, ossia di un linguaggio in codice, al fine di ingannare l’autorità non è certo una novità, basti pensare al Cockney(1) o, volendo restare in ambito digitale, al Leetspeak(2). La grossa novità, questa volta, risiede nel fatto che si ricorre ad un linguaggio fantasioso che adopera parole traslate, eufemismi, termini rimpiazzati da emoji o parole-sostitute oppure appositamente storpiate, per sfuggire all’occhio indiscreto dell’onnipotente algoritmo.

Se per alcuni versi il richiamo ad un linguaggio esopico potrebbe essere giustificato in contesti autocratici dove risulta difficile esplicitare liberamente il proprio pensiero, dall’altro canto l’utilizzo diffuso e rigido dei filtri algoritmici rischia di minacciare seriamente la chiusura di importanti argomenti di discussione.

Per adesso le maggiori ripercussioni sono rilevabili nella lingua inglese, forse per la maggior plasticità che la contraddistingue rispetto ad altri idioma o, semplicemente, perché è in quella lingua che si sono svolti i primi studi sul fenomeno. Quello che è sicuro è che si tratta di una battaglia senza vincitori le cui uniche vittime, al momento, sembrano essere le regole del linguaggio in generale.

 

                                       Clemente Porreca

 

1. Un dialetto in rima, utilizzato dalla classe proletaria dell’est di Londra nel XIV secolo per confondere le autorità di polizia.

2. Negli anni ’80 gli utenti più smaniosi erano soliti, al fine di raggirare le regole delle community, relazionarsi su argomenti proibiti, nelle bacheche pubbliche e nelle chat, utilizzando il Leetspeak: un particolare cifrario in cui le lettere erano sostituite da numeri e simboli graficamente simili. E’ passato alla storia con il simbolo 1337 perché così veniva scritto lo stesso termine leet e per l’esistenza di una versione di Google in Leetspeaking.

 

 


                                           

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