Il
ministro dell'Istruzione e del Merito, come è stato
ribattezzato il dicastero di Viale Trastevere, ripropone
l'esame tratteggiato dalla legge del 2017. Intanto si
discute sugli stipendi degli insegnanti, che il ministro
vorrebbe variabili sul territorio secondo il costo della
vita
Il
ministero che sovrintende alle attività scolastiche
ha nuovamente cambiato nome: non più Istruzione Università
e Ricerca ma Istruzione e Merito. Il governo guidato da
Giorgia Meloni intende evidentemente sottolineare il ruolo
della valutazione di merito nel meccanismo educativo. Ma
non è questa la sola novità annunciata da
Viale Trastevere. Il ministro Giuseppe Valditara si è
trovato al cento dell'attenzione per due contrastate prese
di posizione.
La
prima riguarda il tema dell'esame di maturità. Tratteggiando
le linee programmatiche del ministero per il corrente anno
scolastico, Valditara ha proposto un esame basato su due
prove scritte e un colloquio multidisciplinare con la commissione
mista, formata cioè da tre docenti interni e altrettanti
esterni all'istituto, oltre al presidente. La cosa ha suscitato
qualche sorpresa, perché in pratica ricalca la normativa
tracciata nel 2017 dall'allora governo di centro-sinistra,
di tutt'altra sponda politica dunque rispetto al titolare
attuale del ministero. Se c'è qualcosa che funziona,
spiega quest'ultimo, va applicata.
Il
ministro sembra escludere dalla valutazione l'esito delle
prove Invalsi, alle quali attribuisce una finalità
puramente statistica che dunque non riguarda i singoli studenti
ma la classe cui appartengono. Valditara si riserva di chiarire
con un'apposita circolare le modalità dei colloqui,
anche in relazione al ruolo dell'alternanza scuola-lavoro,
o per essere più precisi dei percorsi trasversali
per l'orientamento (Pcto) che a differenza dall'alternanza
riguardano la classe e non il singolo.
L'altra
proposta ministeriale che fa discutere riguarda la remunerazione
degli insegnanti. Un tema delicatissimo come si sa, e può
bastare a qualificarlo la constatazione che i docenti italiani
sono agli ultimi posti in Europa per il livello degli stipendi.
Per correggere questa realtà il ministro suggerisce
una formula che ha immediatamente scatenato la reazione
critica dei sindacati: differenziare la remunerazione, pagando
di più se l'insegnante si trova dove è più
caro il costo della vita. Per esempio nelle grandi città
del Nord.
Come
sempre quando si tratta di questioni legate al reddito,
la proposta è stata salutata da polemiche accese.
Si parla di inaccettabili “gabbie salariali”
e soprattutto s'invita il governo non a differenziare gli
stipendi,, ma ad aumentarli per tutti, facendo corrispondere
per quanto possibile la remunerazione all'importanza cruciale
del ruolo svolto dal corpo docente in una società
alle prese con le sfide della modernità.
r. f. l.
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