FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO- 2023

 

Il ministro dell'Istruzione e del Merito, come è stato ribattezzato il dicastero di Viale Trastevere, ripropone l'esame tratteggiato dalla legge del 2017. Intanto si discute sugli stipendi degli insegnanti, che il ministro vorrebbe variabili sul territorio secondo il costo della vita

 

Il ministero che sovrintende alle attività scolastiche ha nuovamente cambiato nome: non più Istruzione Università e Ricerca ma Istruzione e Merito. Il governo guidato da Giorgia Meloni intende evidentemente sottolineare il ruolo della valutazione di merito nel meccanismo educativo. Ma non è questa la sola novità annunciata da Viale Trastevere. Il ministro Giuseppe Valditara si è trovato al cento dell'attenzione per due contrastate prese di posizione.

La prima riguarda il tema dell'esame di maturità. Tratteggiando le linee programmatiche del ministero per il corrente anno scolastico, Valditara ha proposto un esame basato su due prove scritte e un colloquio multidisciplinare con la commissione mista, formata cioè da tre docenti interni e altrettanti esterni all'istituto, oltre al presidente. La cosa ha suscitato qualche sorpresa, perché in pratica ricalca la normativa tracciata nel 2017 dall'allora governo di centro-sinistra, di tutt'altra sponda politica dunque rispetto al titolare attuale del ministero. Se c'è qualcosa che funziona, spiega quest'ultimo, va applicata.

Il ministro sembra escludere dalla valutazione l'esito delle prove Invalsi, alle quali attribuisce una finalità puramente statistica che dunque non riguarda i singoli studenti ma la classe cui appartengono. Valditara si riserva di chiarire con un'apposita circolare le modalità dei colloqui, anche in relazione al ruolo dell'alternanza scuola-lavoro, o per essere più precisi dei percorsi trasversali per l'orientamento (Pcto) che a differenza dall'alternanza riguardano la classe e non il singolo.

L'altra proposta ministeriale che fa discutere riguarda la remunerazione degli insegnanti. Un tema delicatissimo come si sa, e può bastare a qualificarlo la constatazione che i docenti italiani sono agli ultimi posti in Europa per il livello degli stipendi. Per correggere questa realtà il ministro suggerisce una formula che ha immediatamente scatenato la reazione critica dei sindacati: differenziare la remunerazione, pagando di più se l'insegnante si trova dove è più caro il costo della vita. Per esempio nelle grandi città del Nord.

Come sempre quando si tratta di questioni legate al reddito, la proposta è stata salutata da polemiche accese. Si parla di inaccettabili “gabbie salariali” e soprattutto s'invita il governo non a differenziare gli stipendi,, ma ad aumentarli per tutti, facendo corrispondere per quanto possibile la remunerazione all'importanza cruciale del ruolo svolto dal corpo docente in una società alle prese con le sfide della modernità.

 

 

                                       r. f. l.

 

 


                                           

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