Generose
promesse e belle parole sulla centralità del sistema
educativo: a ogni crisi politica siamo ormai abituati
a questi accenti. É accaduto anche stavolta e ne
prendiamo atto. Forse c'è qualcosa di nuovo, ma
aspettiamo il nuovo governo alla prova dei fatti. Il ”debito
buono” di Draghi
Investire
nell'istruzione e nella ricerca, dice Mario Draghi, è
“debito buono”. Dunque, aggiunge l'ex presidente
della Banca centrale europea chiamato a guidare il governo
tecnico-istituzionale dal capo dello stato Sergio Mattarella,
questo investimento deve essere considerato prioritario.
Purtroppo, ricorda, i governi che si sono succeduti avevano
priorità diverse, e risorse preziose sono state sistematicamente
distratte verso obbiettivi di più immediato ritorno
politico. Privare i giovani del loro futuro, dice Draghi,
è una delle forme più gravi di disuguaglianza.
Non è una novità questa esternazione di buoni
propositi sulla gestione del sistema educativo all'inizi
di una esperienza governativa: ma è nuovo il fatto
che il presidente del consiglio è noto come uomo
abituato a misurare le parole. Intanto prendiamo atto che
al ministero di Viale Trastevere è stato chiamato
un addetto ai lavori, il prof. Patrizio Bianchi che dette
buona prova di se' come assessore all'istruzione, università
e lavoro in Emilia-Romagna. Bianchi, che all'università
di Ferrara è titolare della cattedra “Educazione
crescita e uguaglianza”, è uno dei tecnici
voluti da Draghi nel suo governo istituzionale. Faremo una
scuola nuova, ha promesso. Staremo a vedere.
Sta
di fatto che il presidente del consiglio incaricato ha molto
insistito, nei colloqui con i rappresentanti delle forze
politiche, sulla necessità di rilanciare la scuola.
A cominciare dall'opportunità di prolungare l'anno
scolastico per recuperare la molta didattica perduta a causa
delle restrizioni imposte dalla pandemia. Ha anche detto
che è necessario preparare fin d'ora una corretta
ripartenza per il prossimo mese di settembre. Il fatto che
fin dall'inizio delle consultazioni si sia molto parlato
di scuola lascia bene sperare, tanto più che il nuovo
governo nasce con il micidiale compito di affrontare tre
gravissime emergenze: la pandemia, l'economia boccheggiante,
un disagio sociale che potrebbe rapidamente diventare irreversibile.
In
effetti non va colmata soltanto la lacuna determinata nelle
attività scolastiche dall'emergenza sanitaria: come
ben sappiamo la scuola italiana è oberata da una
quantità di problemi strutturali. L'attenzione che
il sistema merita non si limita a un'attualità che
impone misure controverse come il distanziamento e l'obbligo
di mascherare il viso: sono decenni ormai che le comparazioni
internazionali, a cominciare dall'indagine Pisa condotta
dall'OCSE sulle capacità cognitive dei quindicenni
nei maggiori Paesi industriali, rivelano un distacco crescente
a caricoo dei nostri ragazzi rispetto alla media internazionale.
L'Italia risulta al di sotto delle media anche nel rapporto
della Commissione europea che analizza e confronta i dati
del 2019. Il solo elemento, fra i dodici presi in considerazione,
che figura al di sopra della media è il tasso di
scolarizzazione dei bambini in età da scuola materna.
Si registra inoltre che il nostro Paese è addirittura
in regresso rispetto ai dati degli anni precedenti. Dunque
non soltanto la situazione ella scuola italiana è
critica, ma continua a peggiorare.
Più
che riempirsi la bocca con formule e slogan tipo “la
buona scuola”, occorrono dunque da parte delle istituzioni
uno sforzo reale e un investimento massiccio, sia per la
formazione del personale docente e la sua promozione sociale,
in modo tale che il lavoro dell'insegnante torni ad attrarre
i giovani, sia per l'adeguamento della didattica alle sfide
del mondo contemporaneo. Non sarà facile, ma e il
meno che ci si possa aspettare da un governo che nasce affiancando
l'irrisolta questione scolastica alle grandi emergenze scatenate
dalla pandemia.
a. v.
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